Franca Faldini ricorda com'era il principe De Curtis, in arte Totò

1953 Silvana Pampanini 1000

Incontro con la donna che gli fu compagna per 15 anni

Roma, 19 ottobre.

Totò diceva che di mattina non si può far ridere e faceva mettere sui contratti che sarebbe arrivato sul set dei film alle due del pomeriggio. Pigrissimo, dormiva di giorno e la notte andava a spasso o girava per casa a chiudere i rubinetti del gas e a spegnere gli interruttori della luce. II più grande avvenimento della sua vita fu quando lo riconobbero principe. Lo angosciava la sua faccia brutta, lo ossessionava la paura del tetano e della «congestione»: sosteneva che non bisogna avere rapporti sessuali prima di quattro ore dai pasti se no «il sangue viene richiamalo da altre bande e si rischia brutto».

Superstizioso e pieno di pregiudizi, sensibilissimo e timido, non leggeva un libro, non viaggiava mai. «Io ricordo Antonio de Curtis — scrive Franca Faldini — ogni volta che ad una riunione di "signori", mi accorgo che lo sono solo di nome e non di fatto, come lo era lui». Benché credesse poco alla propria grandezza, previde che un giorno lo avrebbero «riscoperto». In mezzo al fiume di parole che costituisce adesso il suo revival, c'è da oggi fresco in libreria, per l'Universale Economica di Feltrinelli, un «Totò, l'uomo e la maschera», collage di vecchio e nuovo firmato da Goffredo Fofi, uno dei suoi più attenti studiosi, e dalla Faldini che racconta i propri «quindici anni con Antonio De Curtis» in ottanta pagine singolarmente ricche di umiltà e discrezione. Perché le ha scritte? «Per la grandissima rabbia di quello che si è detto di lui e anche di quello che non si è detto». E perché a tanti anni di distanza? «Appena ho potuto raccontare quello che volevo e come lo volevo. Dal '67, quando è morto, mi hanno offerto cifre favolose solo perché "vendessi" "La mia vita con Totò".

Non lo avrei fatto a nessun prezzo anche se avevo bisogno». Poiché non era mai stata sua moglie, la «vedova» di Totò non toccò nulla del patrimonio «non poi così grande di Antonio che amava spendere, era tallonato dal fisco e nei lunghi anni delia cecità potè lavorare poco». Avevano fatto credere di essersi sposati quando aspettavano il bambino che subito mori; erano stanchi di sentirsi tenuti ai margini, respinti. «Perché allora la società, a qualsiasi livello, non accettava certe unioni senza reagire. E' cambiato poco anche adesso». Ragion per cui Franca Faldini, qualche anno fa, si è sposata davvero con Nicolò Borghese, ancora un principe, con cui vive serenamente tra una casa di campagna vicino ad Arezzo ed un pied-à-terre a Roma. Quando Totò morì aveva 36 anni, era molto bella e lo è tuttora. Si mise a lavorare sfruttando l'inglese, americanizzato a Hollywood quando a diciotto anni era andata con un contratto della Paramount e in seguito ad un sondaggio tra i soldati in Corea l'avevano eletta «Miss Torta di Formaggio».

1950 Franca Faldini 100 L

Cominciò a fare traduzioni, diventò giornalista e continua. «Fu un periodo duro, soprattutto perché avevo il vuoto attorno, scomparso Totò tutti scapparono. Mi criticavano perché non ero piombata nel lutto. Ma è proprio da lui che ho imparato a rimettermi in cammino. "Quando un dolore ti piomba addosso, perché distruggersi? — diceva —. Nessuno ha il diritto di diventare una caricatura nel monumento alla memoria di qualcuno"». Vivo, non avrebbe ammesso distrazioni: chi stava con lui, doveva dedicarsi a lui. Si conobbero che Franca aveva 22 anni, Totò 55 e gli era fallito un matrimonio. «Mi affascinò trovare una "persona" invece di un "personaggio". Cominciammo subito a parlare; così continuò per quindici anni, il nostro fu un lungo, interminabile colloquio». Fece un po' l'attrice «ma non sapevo proprio recitare ed era avvilente stare con un grande artista essendo un'artista cane, mi sentivo una specie di accattone sullo stomaco di tutti quando Antonio mi fece fare qualche porticina nei suoi film. In palcoscenico sono salita un paio di volte, solo quando c'era bisogno di sostituire qualcuno». Un sacrificio completo della propria vita, strano per una donna che poi ha trovato giusto e irrinunciabile lavorare e sentirsi indipendente. «Il problema allora non si pose poiché c'era già abbastanza da fare per stare dietro a lui.

Certo Antonio aveva una concezione vecchia e assurda dei rapporti con le donne, eppure la nostra vita di coppia fu bellissima e anche aperta. La sua immagine preferita sarà stata la donna oggetto, la bellezza da addobbare e portare a spasso come un fiore all'occhiello ma poi si interessava e voleva bene a chi gli teneva testa; io polemizzavo di continuo, cominciò a chiamarmi Ravachol, un nomignolo inventato che suonava vagamente anarchico. Sapevo che, in fondo, mi ascoltava e aveva stima di me». Vennero poi gli anni della malattia agli occhi, lunghi e dolorosi, ma che Franca Faldini non rimpiange perché, «Ira le molte cose che devo a Totò c'è una filosofia dell'esistenza, un modo di accettarla che ho imparato proprio in quel periodo difficile». Sarà stata questa saggezza, la serenità distaccata di un uomo quasi vecchio che sapeva e voleva distinguere tra «le chiacchiere del guitto» e le responsabilità della vita, a «tener» così a lungo una ragazza giovane, sana, intelligente e dagli occhi blu?

Ride: «Ma no, per quanto assurdo possa sembrare, a me Totò è sempre piaciuto moltissimo come maschio». Forse con il passare del tempo ha dimenticato quanto era brutto? «Era brutto — acconsente con tenerezza — ma solo se lo guardavi da un lato. Dall'altro aveva un profilo regolare, normale, sembrava addirittura bello. Glielo dicevo, qualche volta». Franca Faldini è stata davvero una buona compagna.

Mirella Appiotti, «La Stampa», 20 ottobre 1977


La Stampa
Mirella Appiotti, «La Stampa», 20 ottobre 1977