Franca Faldini: «Totò, quella sua ombra stupenda»

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Colpisce il suo viso abbronzato con, al posto degli occhi, due fari di un colore mutevole a metà fra l'acqua marina e la lavanda in fiore. Il sorriso cordiale, la voce un po' tagliente, mascherano una riservatezza innata, un pudore fuori moda un'interiorità tutta da scoprire. Franca Faldini e stata per quindici anni la compagna di Toto, ma di lei donna si è parlato poco. Schiva, lontana dal chiasso, non fa parte della mondanità in vetrina, né del giro intellettuale - chic in cerca di identità. Per la sua radice ebraica, le sue origini toscane, viene in mente «Micol», la forte e delicata protagonista del "Giardino dei Finn Contini". Una «Micol» oggi cresciuta e miracolosamente scampata alle insidie contro la sua razza, ma anche a quelle di una vita apparentemente facile che l'ha spesso messa alla prova. Oggi, felicemente sposata, al nobile Nicolò Borghese, è tornata alle sue radici fuori città. Giornalista, scrittrice, sta ultimando il suo terzo libro «L'avventurosa stona del cinema italiano», secondo volume.

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— Sei stata sotto contratto a Hollywood dal 1950 al 1952, con la Paramount; volevi diventare una diva o un’attrice?

«Non volevo né l'uno né l'altro. Ero andata in America mandata dalla mia famiglia come si usava allora, per dimenticare una stona d'amore non andata a buon fine. Invece di stare tre mesi con quel viaggio organizzato, capitai alla Paramount e Hal Wallis mi propose di fare un provino; accettai più che altro per rimanere lontana dall'Italia. Prima ancora ero stata notata da Zampa e da De Sica, ma il cinema non mi interessava per niente».

— Se non avessi incontrato Totò, quale sarebbe stata la tua strada?

«Ho, come vedi, al collo questa catenina con la scritta: “Campa alla giornata" regalo di mia madre perché la vita passata, quella della guerra durante la clandestinità, ha insegnato a lei, e di conseguenza a me, che non vale la pena fare progetti; esiste solo l'oggi che va apprezzato, assaporato pienamente anche nel dolore. Siamo tutti così provvisori».

— Pensi che nella nostra società una donna si può costruire una credibilità da sola, senza l’appoggio di un uomo accanto?

«Si, decisamente Oggi giorno se una donna non è proprio un'ameba, ha un'attività, degli interessi, una vita propria anche stando a se stante. La donna non ha l'assoluta necessita di avere un uomo accanto per realizzare»».

— Perché hai sentito la necessità di scrivere un libro su Totò; pensi che la gente? non lo conosceva abbastanza, oppure male?

«Dopo la morte di Totò mi sono trovata nella necessità, non solo morale, di lavorare por vivere: era arrivato quel famoso momento anche per me. Ho cominciato senza l'appoggio di nessuno, presentandomi con molta umiltà e facendo delle prove, a tradurre libri di «fiction» dall'americano per le edizioni Longanesi e Sansoni; una quarantina di opere, poi ho tentato il giornalismo per diverse catene editoriali, poi sono arrivata a scrivere in prima persona "L'uomo e la maschera" per caso dovuto al fortunato incontro con Goffredo Fofi».

— Durante quegli anni Totò lavorava molto; tu, come occupavi il tuo tempo?

«Ero la compagna di Totò che era un uomo abbastanza interessante da riempirmi la vita. Mi sono occupata di lui, ho cercato di essergli vicina. Non sono mai stata la 'donna bambina' accanto all'uomo maturo: il nostro era un rapporto di parità».

— Vivere nell'ombra, accanto a un uomo celebre, non ti sembra sia stato come scegliere in partenza la sconfitta, rifiutare di batterti in proprio nella vita?

«No. A me andava benissimo stare nell'ombra; era una mia scelta precisa in quanto la sua era un’ombra stupenda e mi dava tanto come patrimonio interiore».

— Sapevi che Totò fondò la sua loggia massonica di nome «Ars et Labori», di cui fu Maestro venerabile per tutta la vita, te ne aveva mai parlato?

«No. L'ho saputo alla fine quando uscì un famoso articolo necrologico: con me non ne parlò mai. Si diceva un tempo, che la Massoneria faceva opere di bene segretamente, in questo senso, Antonio era massone, perché aiutava tanta gente senza raccontarlo a nessuno».

— La tua attività di scrittrice?

«Sono al terzo libro, sempre con la collaborazione di Fofi: "Toto, l’uomo e la maschera", "L'avventurosa storia del cinema italiano dal 1936 al 1959", e ora arriverà il secondo volume che coprirà gli anni '60 e '70; è anche, oltre che quella del cinema, la storia del costume, della politica di tutti quegli anni*

— Hai mal avuto voglia di scrivere un romanzo, delle novelle?

«La voglia forse c'è, ma bisogna prepararsi in ben altra maniera. Scrivere un romanzo è, immagino, un po' come dirigere un’orchestra: non so se ho tutti gli strumenti per mettere assieme la musica.

— Perché questa scelta di isolamento?

«Ho sempre amato la campagna e ci sono cresciuta da bambina; la città, ora, non offre più nulla. In campagna ho i miei orari per il lavoro e poi vado a spasso per i campi, cucino per mio marito, leggo. Sono sposata da sei anni e sono molto fortunata perché ho accanto un uomo intelligente che mi concede il mio spazio di attività.

Catherine Spaak, «Corriere della Sera», 2 luglio 1981


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Catherine Spaak, «Corriere della Sera», 2 luglio 1981