Vorrei sposare Franca in chiesa
Totò ha chiesto al tribunale della Sacra Rota di annullare il suo matrimonio con Diana Rogliani Sereno, che fallì dopo pochi mesi nel 1935: desidera che Franca Faldini possa ora diventare la principessa De Curtis e fregiarsi del titolo nobiliare più antico e prestigioso d’Italia. Malgrado la differenza di età (32 anni) e lo strano carattere dell’attore, l’unione è molto felice.
Roma, settembre
Questo Totò gli ammiratori non lo conoscono. Non è l’omino che scioglie in matte risate le sale di periferia, facendo boccacce e raccontando storielle, con in testa strani copricapi e addosso vestiti cascanti o troppo stretti che non sembrano mai suoi. È un signore dal sorriso pacato, in vestaglia rosso-bordò e con un foulard attorno al collo, che mi invita a sprofondare nella poltrona del salotto, sempre un poco in penombra perché gli occhi malati del prìncipe non possono sopportare la luce.
E la luce filtra appena appena attraverso le pesanti tende di velluto verde, ed illumina i volti pallidissimi dei principi De Curtis di tre, quattro, cinquecento anni fa, tutti in fila sulla parete, impettiti dentro grandi cornici dorate. In un angolo c’è la gabbia del pappagallo. nell’altro il pianoforte e poi dei libri. Non sembra davvero la casa di un attore comico che davanti alla macchina da presa improvvisa smorfie e piroette. Si respira un’aria austera: di colpo ci si dimentica di Totò e si pensa a Sua Altezza Imperiale Antonio Focas Flavio Angelo De Curtis di Bisanzio.
«Macché Altezza. Questa è la casa di un vecchio signore che si fa gli affari suoi», protesta Totò. «Dentro queste stanze io passo gran parte delle mie giornate. Non vado al caffè, al ristorante o nei locali alla moda. Sto qui col pianoforte, oppure detto poesie a Franca, e quando sono stanco Franca mi legge i giornali, perché i miei occhi sono deboli e faccio tanta fatica a fissare un’immagine o delle parole. In questa casa c’è sempre la stessa atmosfera di chiacchiere tranquille e risate fra amici: niente feste con troppa gente. Stiamo bene soli: la confusione non mi è mai piaciuta, mi fa girare la testa, e non mi è nemmeno mai piaciuto che la gente mettesse il naso nella mia vita privata. Ha mai letto su un giornale come vive Totò? Mai. Non per superbia, ma perché penso che al pubblico non interessi gran che di sapere come vesto, cosa faccio: se vuol vedermi è perché desidera fare quattro risate, e allora va al cinema. Ma quando si riaccendono le luci in sala, tutto è finito. Cosa se ne fa la gente di un signore in vestaglia e pantofole che ha le sue malinconie?».
Il comico rubacuori
Ecco un altro volto sconosciuto di Totò: la riservatezza e li rispetto per il prossimo che non vuole mai aggredire, ma conquistare con la finta allegria del clown, e infine una cosa che nessuno sospetta e che è difficile trovare in un attore, e per di più in un attore famoso come lui: la timidezza. Totò è un timido. Quand’è per strada prega il cielo che nessuno lo riconosca, ma è tanto difficile con un viso come il suo, dopo cento film e trent’anni di teatro, non essere indicato con un sorriso dai passanti. «Se entro in un ristorante tengo sempre gli occhi bassi e non vedo l’ora di essere seduto al mio posto e non più in piedi davanti alla gente», confessa.
Un altro sogno che Totò accarezza è un’esistenza ordinata, in una famiglia ordinata; un modo di vivere che cancelli il ricordo dei giorni inquieti e pazzi di quando faceva il guitto. E questa aspirazione dà un tono particolare ai suoi rapporti con la società, suggerendogli una vita appartata, un po’ distaccata dalle mode, proprio da vecchio gentiluomo custode di un blasone tanto illustre le cui tracce risalgono addirittura al 326 avanti Cristo.
Uno dei tratti di questo poliedrico personaggio è la fiducia nell’amore, una molla che lo ha spinto all’ultimo romantico gesto: il matrimonio con Franca Faldini che ha trentadue anni meno di lui, un matrimonio celebrato segretamente a Lugano nel 1955, e mai riconosciuto dalla legge italiana. Totò e la Faldini si erano incontrati quattro anni prima. Franca era allora una ragazzona ossigenata, sbarcata dall’America con il titolo di «Miss Formaggio»: quando fu vista prendere il posto di Silvana Pampanini al fianco di Totò, la gente invidiò la fortuna del non più giovane rubacuori: via uria bellezza, eccone un’altra. Sembrava una delle tante avventure, invece tra il principe e la reginetta nacque qualcosa di più importante di un’amicizia: lo si può dire adesso, dopo anni di serena vita comune, che per entrambi fu un incontro felice.
“Non è facile vivere con me”
«Dapprincipio per Franca non fu facile vivere con me», racconta Totò. «Io sono un animale notturno: dormo di giorno e al tramonto mi sveglio, mangio, bevo, canto, scrivo canzoni e quando la gente lascia le strade vuote, vado a passeggio. È un vizio che mi son preso in teatro; dopo lo spettacolo si faceva mattino discutendo, arrabbiandoci. Chi era il più grande attore napoletano? Chi era il comico più bravo? Adesso di parlare tutta la notte non ho più voglia, ma m’è restato, come una struggente nostalgia, l’amore per la città buia. Franca si adattò con fatica. Aveva poco più di vent’anni ed era abituata a vedere gente, ballare, stare in compagnia. Non l’ho mai accompagnata in un night, e gli amici che frequentiamo sono persone posate, che fanno sempre discorsi seri, tanto seri da sembrare alle volte noiosi per una donna giovane e bella. - Io vedevo che soffriva, ma non mi diceva niente. Adesso siamo invece una cosa sola e anche la sua vita si è rovesciata come la mia».
Totò è serio. Parla sottovoce; è un affascinante gentiluomo. Comincia ora la parte più importante del nostro colloquio. «Prima regola di un uomo innamorato è quella di donare ogni cosa alla donna a cui vuol bene: ora io voglio darle anche il mio cognome. Il resto Franca l’ha già, ma desidero che si chiami De Curtis e voglio sposarla in chiesa, in Italia. Ho chiesto perciò al tribunale della Sacra Rota di sciogliere il mio primo matrimonio. È una cosa di tanti anni fa: mi unii a Firenze nel 1935 con Diana Rogliani Sereno di Sangiorgio. Lei aveva diciassette anni, e subito dopo la nascita dell’unica nostra figlia (Liliana, sposata al produttore Buffardi e madre di tre ragazzi) capimmo d’aver commesso un errore. Ottenemmo il divorzio in Ungheria nel 1939, una separazione deliberata anche dalla Corte d’appello di Perugia e trascritta sui registri del comune di Roma».
Diana si risposò poco dopo all’estero con un amico di Totò: l’avvocato Tuffaroli, ma queste nozze non furono, come le altre, felici, e la signora tornò ad essere sola. Oggi i suoi rapporti con l’attore sono ottimi: anche lei aiuterà il principe ad ottenere l’annullamento. «Se tutto andrà bene Franca potrà finalmente avere il titolo di principessa, e il suo nome entrerà nei due annuari della nobiltà italiana (quello del collegio araldico e quello dell’Ordine di Malta) dove lo stemma dei De Curtis (le famose tre bande in campo rosso che significano altissima nobiltà) occupa un posto di grande rilievo»: cosi dice Totò con un sorriso, e finalmente il più famoso comico Italiano che, come tutti i comici ha sempre un’aria malinconica, sembra felice.
Tiene molto al titolo di Altezza Imperiale?
«Ci tengo... insomma un po’, e poi mi spetta: quello che è mio è mio. Alle volte mi imbarazza. Abitavo prima ai Parioli, in un condominio molto elegante dove erano tutti alti funzionari e pezzi grossi dell’esercito. Il portiere si informò subito quale era il mio grado di nobiltà: dissi che ero principe e il vecchio signore gallonato fu felice. Ogni mattino, come mi vedeva spuntare dall’ascensore, correva a spalancarmi la porta e con un inchino, tutto compunto, mormorava: "Buongiorno Eccellenza”. Passò una settimana e successe che lo informarono che facevo l’attore. Il vecchio portiere da anni non andava al cinema: era rimasto al muto, ma la sera stessa si recò a vedere una storia comica di cui ero il protagonista. Quando scoperse che facevo sberleffi, dicevo parolacce e mi mostravo con i calzoni rattoppati e la finanziera a pezzi, restò pietrificato. Da allora, con mio grande sollievo, non mi aprì più la porta e non mi chiamò più Eccellenza, ma con una certa freddezza si limitò ad augurarmi il buongiorno».
A proposito di personaggi comici, qual è stata la sua più esilarante caratterizzazione?
«Non la ricorda nessuno: fu il primo "burattino” della mia carriera. Imitavo "l’uomo di caucciù”. Avevo 17 anni e guadagnavo tre lire per sera. Più che dare vita a un personaggio dovevo fare il contorsionista. Ebbi l’idea di far sottolineare ogni mossetta dal crepitare della batteria: il mio fantoccio dinoccolato, con le braccia, le gambe e la testa che si muovevano con scatti Isterici, ebbe un successo Incredibile. Tutti i ragazzini delle borgate correvano ad applaudirmi, e a sentire quegli applausi e quelle risate orgogliosamente pensavo: questo è il successo, più di così non si può ottenere».
Le è simpatico Totò?
«Totò mi ha reso celebre, mi ha fatto guadagnare qualche soldo: alle volte mi è simpatico, alle volte mi è antipatico, come tutte le altre persone. Dipende dall’umore del momento. Ho visto pochissimi suoi film. Fanno solo ridere, ed lo sono anche un tipo sentimentale».
Un tipo sentimentale che scrive belle poesie...
«Ah, in quanto alla bellezza! Sono poesie: uno sente il bisogno di scriverle e lo fa. Non c’è nessuna discrepanza tra la mia professione (che adoro) e il fatto ch’io componga canzoni e butti giù qualche verso pieno di malinconia. Sono napoletano e i napoletani sono bravissimi nel passare dal riso al pianto».
Soffrirebbe molto se la sua vista si affievolisse al punto da dover rinunciare al cinema?
«Penso che morirei di crepacuore. Recitare, lavorare è la mia vita. E quando recito sono paziente: appena terminata una scena corro dal regista per sapere se sono stato bravo. Lo so che non ho fatto dei bei film; alcuni sono addirittura bruttissimi. Ma sono un attore, uno strumento in mano a un regista. E poi penso che i miei personaggi, anche i più semplici, abbiano fatto per un momento dimenticare a gente modesta, come sono io, le preoccupazioni della vita d’ogni giorno. Ridono e si scordano la bolletta del gas, le ore di lavoro, le liti con la moglie. Escono dal cinema più sereni e forse un po' più buoni. Di questo sono contento».
Maurizio Cherici, «Oggi», anno XX, n.38, 17 settembre 1964
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Maurizio Cherici, «Oggi», anno XX, n.38, 17 settembre 1964 |