Ricordo di Totò
Il 15 aprile è morto improvvisamente nella sua casa di Roma il celebre attore Totò.
Era nato a Napoli il 13 febbraio 1898 dal Marchese Giuseppe de Curtis e da Anna Clemente; destinato alla carriera di Ufficiale di Marina, la guerra 1915-18 impedì questa sua aspirazione; arruolatosi nel 1916, a 18 anni, partecipò a tutta la campagna, guadagnandosi la croce di guerra, la medaglia commemorativa, la medaglia dell’Unità d’Italia, l’Interalleata e quella della Vittoria.
Nel 1919 iniziò l’attività di attore comico, prendendo ad esempio il celebre de Marco; dopo alcuni anni in cui l’ostilità della famiglia lo costrinse ad una vita assai dura, il successo cominciò ad arridergli, e a poco a poco divenne il maggior attor comico italiano ed europeo, interprete di oltre cento films e settanta riviste; la critica lo paragonò a Chaplin, con la differenza che Chaplin fu grande solo come Charlot e fallì quando smise la sua maschera, mentre Totò, pur creando la famosa marionetta disossata con bombetta e frak, usò il suo vero volto e fu sempre se stesso.
Fu anche autore di canzoni di grande successo, e di un libro di poesie in dialetto napoletano (’A livella); di molti dei suoi films e riviste fu autore o co-autore.
Nella vita tenne sempre ben distinti il personaggio di Totò, che gli aveva dato fama internazionale, e l’uomo privato; fu di eccezionale generosità, benefattore di migliaia di persone, di ospedali, orfanotrofi, ospizi per vecchi; creò e mantenne fino alla morte un canile in cui ospitò e fece curare centinaia di cani randagi.
Dalla prima moglie, Diana dei Conti Rogliani Serena di San Giorgio, ebbe una sola figlia, Liliana, sposata Buffardi, e madre a sua volta di Salvatore e Diana; annullato in Ungheria questo matrimonio, sposò in Svizzera nel 1954 la giovane attrice Franca Faldini, dalla quale ebbe un solo figlio, Massenzio, nato nel 1954 e morto a poche ore dalla nascita.
Nel 1935 fu adottato dal Marchese Gagliardi di Tertiveri, suo parente, con l’obbligo di aggiungere questo cognome al suo; successivamente ottenne il riconoscimento di tutti i titoli spettanti alla famiglia paterna, de Curtis, già iscritta nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana con il titolo di Marchese, e con sentenza del Tribunale di Napoli aggiunse al proprio cognome de Curtis Gagliardi quelli Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Griffo, e il predicato di Bisanzio.
La Consulta Araldica gli riconobbe il titolo principesco, con il quale infatti egli è registrato nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana e in quello del Sovrano Militare Ordine di Malta, in cui appare come «Focas Flavio Angelo Ducas Comneno de Curtis di Bisanzio, Gagliardi, Antonio, di Giuseppe, di Luigi, Principe, Conte Palatino, Cavaliere del Sacro Romano Impero, Altezza Imperiale».
La sua Famiglia discendeva infatti direttamente da quella imperiale bizantina dei Focas, da cui uscirono l’Imperatore Flavio Foca (602-610), in onore del quale, che aveva donato alla Chiesa il Pantheon di Roma, fu innalzata nel Foro Romano la colonna tuttora esistente, detta appunto di Foca; l’Imperatrice Teodora, canonizzata dalla Chiesa Ortodossa; i celebri Generali Bardas I, Reggente Imperiale, Nice-foro I e Bardas II; l’Imperatore Niceforo II (963-969), l’Imperatrice Teofano, il Generale Leone, vincitore dei bulgari nel 964, Duca di Cappadocia; l’Imperatore Niceforo III, l’Imperatore Bardas III ed il celebre Ammiraglio Auripione, vincitore dei Saraceni in Sicilia, ove stabilì la sua discendenza, che fu detta del Griffo, avendo egli assunto questo cognome che significa appunto « principe bizantino »; il ramo rimasto in Oriente ebbe altri due Imperatori, Niceforo Briennio (1077-1078) e Niceforo Bòtonia-te (1078-1081).
I Griffo, divisi nei due rami di Sicilia (Principi di Partanna) e di Napoli, dettero molti illustri personaggi, dei quali del ramo di Napoli furono celebri gli Ambasciatori Bartolomeo e Decio (1380), il Legato Pontificio Pavo (1390), il Capitano dell’Aquila Claudio (1419) eccetera; Curzio Griffo, Signore del Castello di Bonato, oggi detto Vibonati, fu il capostipite del ramo che dal suo nome si disse Curzi e de Curtis, al quale appartennero Giannandrea, Presidente del S. R. Consiglio, il celebre giureconsulto Camillo, Gran Vice Cancelliere del Regno di Napoli, Scipione, Regio Consigliere e Conte di Ferrazzano, Paolo Vescovo di Isernia, il celebre Condottiero di Filippo II Leonardo Antonio, vincitore dei Turchi alle isole Terzereis, Giulio Vescovo di Cotrone, i banchieri Bartolomeo e Giovanni che prestarono denaro perfino al Re Carlo I, Muzio Vescovo e celebre teologo, e moltissimi altri; le maggiori glorie religiose della Famiglia furono Guglielmo, eletto Cardinale nel 1334, e, come hanno accertato studi recenti, il Pontefice Benedetto XII, noto con il cognome Four-nier e la cittadinanza francese, ma in realtà cognominato de Curtis e cittadino italiano.
I de Curtis furono decorati del Marchesato in persona dei fratelli Michele (ascendente diretto dell’attore), Gerardo, Leone, Gaspare e Federico, dall’Imperatore Carlo VI con Diploma del 13 dicembre 1733, dopo aver ottenuto dallo stesso Imperatore, con Diploma del 20 ottobre 1733, il Cavalierato del Sacro Romano Impero; ebbero i feudi di Caspoli, Cassano, Gabice, Gravedona, GifEone, Mazzara, Me-lissano, Policastro, Segreize di Naro e Termine.
Furono inoltre ascritti alla Nobiltà di Ravello, Cava, Lucera, Rossano, Palermo e Napoli, e furono ricevuti nell’Ordine di Malta nel 1668. Monumenti che li ricordano sono a Napoli nelle Chiese di S. Severino e dello Spirito Santo, a Palermo nella Chiesa di S. Francesco e a Cava dei Tirreni nelle Chiese di S. Maria della Neve e di S. Michele Arcangelo.
Si imparentarono con le nobilissime famiglie Ayerbe d’Aragona, Borghese, Carafa, Caracciolo, Ga-leota, Guevara, Mayo, Milano, Pagano, Riccardi, di Palma, eccetera.
Furono ammessi negli Ordini di Calatrava, Alcantara, SS. Maurizio e Lazzaro, del Cristo, della Stella e dell’Aquila Rossa.
Un’antichissima leggenda vuole che i Focas, Imperatori d’Oriente, discendano dalla Gens Curtia Patrizia Romana, illustre per un gran numero di Generali, Consoli, Tribuni e Senatori; capostipite ne fu Mezio Curzio, Generale Sabino che duellò con Romolo nel luogo detto ancora Lacus Curzio nel Foro Romano, e personaggio famoso il Cavaliere Marco Curzio, che, avendo gli indovini romani nel 362 av. Cr. predetto che una voragine vomitante fiamme, apertasi improvvisamente nel centro della città, non si sarebbe richiusa finché in essa non fosse stato gettato quanto Roma aveva di più sacro ed illustre, vi si gettò armato e a cavallo, dicendo che solo la vita e le armi sono le cose più sacre ed illustri che un uomo possa avere; dopo di che la voragine si richiuse e sul luogo fu eretto un altare, tuttora esistente nel Foro Romano e denominato Ara Curtia.
Di questa leggenda, comprovata dal fatto che zio del primo Imperatore della Dinastia dei Focas, Flavio Foca, era il centurione Curtizio, capo dei centurioni dell’armata romana del Danubio, è memoria e prova nell’antichissimo stemma della»Famiglia, che è: partito: nel I interzato in fascia: a) di rosso, alla fenice al naturale, coronata d’oro sulla sua immortalità, fissante un sole radioso posto nel cantone sinistro del capo; b) d’azzurro, a tre colonne d’argento accosttae, quella di mezzo coronata d’oro; c) di oro, al griffo di nero; nel II troncato: a) d’azzurro, al crescente d’argento accompagnato in capo da tre stelle di sei raggi dello stesso ordinate in fascia; b) di rosso, a tre sbarre d’oro. Sul tutto d’argento, al cavaliere armato al naturale precipitantesi in una voragine fiammante.
Sostegni: a destra un’aquila di nero coronata d’oro; a sinistra un leone con la testa rivolta, coronata d’oro, la coda biforcata. Manto d’ermellino. Corona Imperiale.
Al lutto generale per la morte dell’Attore hanno preso parte i maggiori giornali italiani, che gli hanno dedicato la prima pagina e molte pagine interne, e quasi tutti i principali giornali europei.
Hanno mandato telegrammi di condoglianze S. M. Umberto II, i Duchi Filiberto ed Adalberto di Savoia Genova, il Presidente della Repubblica On. Saragat, il Presidente del Consiglio dei Ministri On. Moro, i Ministri Andreotti e Corona, gli Onorevoli Leone, Covelli e Compili, il Marchese Lucifero, i Sindaci di Roma e di Napoli, e migliaia di persone, illustri e sconosciute, nobili e plebee, tutte accomunate nel dolore per la perdita del grandissimo attore e del perfetto gentiluomo.
L'ANIOC, alla quale l’Attore era iscritto quale Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia e Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine di S. Agata di San Marino, si associa al lutto della Famiglia, e fa sua la preghiera apparsa sullo Specchio. «Signore, accogli nel tuo regno Totò, dispensatore di risate, e dagli la precedenza sui grandi della terra, dispensatori di lacrime».
Luciano Pelliccioni di Poli, «Orizzonte dei Cavalieri d'Italia»n.4, 5, 6, aprile-giugno 1967
Luciano Pelliccioni di Poli, «Orizzonte dei Cavalieri d'Italia»n.4, 5, 6, aprile-giugno 1967 |