Il Senato minaccia i Cavalieri di Totò

1901 Anna Clemente

La nuova legge sulle onorificenze mette in pericolo il titolo nobiliare dell'ultimo discendente della dinastia Focas: il principe Antonio de Curtis de Griffo Gagliardi, meglio conosciuto come Totò.

Amedeo VIII lasciò nel testamento questa descrizione dei suoi cavalieri, i cavalieri dell’Ordine di San Maurizio e Lazzaro : «Uomini egregi, di età provetta, lungamente e laudabilmente esercitati in onorate militari fazioni, in viaggi e in peregrinazioni lontane e in ardui maneggi di Stato, di provata integrità e prudenza, netti ogni macchia di misfatto o d’infamia e disposti, per finir bene la vita, a rinunziare volenterosamente al cavalierato e alla pompa mondana ed a viver casti, nell’esercizio della virtù ».

Essi si dovevano impegnare, poi, a non sposare che una vergine, nè sposarne più d'una, facendo voto di castità coniugale. Portavano tutti barba e capelli lunghi, un bastone ricurvo in mano e una croce appesa al collo. L’abito del duca e dei cavalieri era di panno grigio di Malines e così pure il cappuccio; avevano i mantelli delle stesso colore, con pellicce di martora zibellina il duca, con pellicce nere di Romagna i cavalieri.

Di altri ordini, dal passato più o meno avventuroso e dai nomi strani a decine se ne sono estinti in Italia e all’estero: l'Ordine della Spada e del Silenzio, l'Ordine dei Pazzi e dei Buffoni, l'Ordine della Testa di Morto. l’Ordine della Palma e dell’Alligatore, l'Ordine delle Dame e della Scure, l’Ordine del Cane e del Gallo, l’ordine del Baccello di Ginestra. E tanti altri.

Tra quelli che hanno resistito all’ingiuria del tempo e ai mutati gusti degli uomini c'è quello di Totò, l’Imperiale Militare Angelico Ordine Costantiniano della dinastia Focas. Totò che due sentenze, una in data 18 luglio 1946 in nome di Umberto di Savoia e un’altra in data 7 agosto 1946 in nome del Popolo e della Repubblica italiana, hanno riconosciuto e confermato discendente «jure sanguinis» di Teodoro Fabio, capitano generale nonché cognato di Costantino Imperatore.

Quest’ordine, così come Totò (Principe Antonio De Curtis de Griffo Gagliardi) lo ha riformato due anni fa, è molto meno austero di quello di San Maurizio, sia per quanto riguarda la castità dei cavalieri che per il colore dei mantelli.

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Quanto al primo punto, certe clausole debbono essere sembrate troppo severe, benché il gentil sesso venga preso in particolare considerazione e all'art. 36 si dica che ogni appartenente a quella «Milizia» deve «ossequiare le dame come conviensi a un perfetto gentiluomo ».

All’uniforme è dedicato l’art. 39 :
«consiste in una tunica a due petti, di colore bianco o cremisi, secondo i gradi, con due file di bottoni bombati di oro e caricati della croce gigliata dell'Ordine, smaltata di rosso (sette per parte). Tanto sui rovesci che sui paramani sono ricamati i motivi e le bande che distinguono le Classi e i Gradi. Pantaloni colore cremisi con bande dorate. Cinturone alla vita chiuso da un fermaglio di metallo dorato e a cui è fissato un porta-spada. Questa è a forma di croce con lama piatta a doppio taglio. Spalline dorate e cappello a due punte, ornato di piume di struzzo, bordata d’oro e di seta nera, coccarda e granoni secondo le Classi e i Gradi. Speroni dorati, guanti bianchi, e stivaletti di pelle lucida nera». La descrizione seguita per il mantello ed altri dettagli.

Senonchè l'impero di Totò, il cui statuto cavalleresco si apre solennemente con un «Noi Antonio, Altezza Imperiale, Porfirogenito della Stirpe Costantiniana dei Focas Angelo Flavio Ducas Comneno, Principe Imperiale di Bisanzio» ecc. ecc., questo Impero correrà nei prossimi giorni un pericolo grave. Tanto più grave in quanto non ci sarà da impugnare le armi e correre a Ponte Milvio: il nemico è la legge sulle onorificenze, da mesi in agguato nell'incorruttibile Aula del Senato Repubblicano.

Già la Costituzione ha negato qualsiasi riconoscimento ai titoli nobiliari : essere conti o marchesi costituisca uno stato di fatto personale che l'autorità dello Stato non può nè confermare nè revocare, ma per la Repubblica il Principe De Curtis è solo il signor De Curtis.

Ora la legge sulle onorificenze viene a rompere le ultime uova nell’augusto paniere di Sua Altezza Imperiale. Presentata da molti mesi dal ministro dell’Intemo, ha subito da parte della Commissione competente del Sellato una lunga e faticosa elaborazione, per la molteplicità degli interessi che necessariamente coinvolge. Comunque, una opposizione preconcetta non si è avuta neanche da parte dei comunisti, in quanto lo stesso Stalin di onorificenze e decorazioni è solito con cederne a piene mani, per cui si prevede che sarà approvata. Si è arrivati cosi all'inserimento del disegno di legge all'ordine del giorno dell'assemblea Bilancio degli Esteri permettendolo, questa settimana tra i velluti di Palazzo Madama, verrà pronunciata la condanna degli ordini a generazione spontanea, e di quelli con vaghe giustificazioni storiche, come quello di Totò.

L’art. 6 del nuovo statuto dell’ordine di Totò prevede Cavalieri di Gran Croce e Devozione, Cavalieri di Gran Croce d'Onore, Cavalieri di Gran Croce di Merito, Commendatori con placca di Merito e altre onorificenze, che per le donne assumono denominazioni speciali. Neanche i minorenni sono trascurati, e figurano perfino i Cappellani Effettivi e Onorari «addetti ai servizi dell’Ordine».

Tutta questa sapiente gerarchia franerà con la promulgazione della nuova legge. Se nessuno può proibire a chi ne abbia voglia di fregiarsi di titoli nobiliari, di corone e di stemmi appunto perchè considerati decorazioni innocue senza rilevanza giuridica, lo Stato non consentirà invece a chi non sia cavaliere di innestare il sospirato «Cav.» o «Cav. Uff.» o «Comm.» al proprio nome: per il semplice fatto che l’art, I della legge dirà. «E’ istituito l’Ordine Cavalleresco al Merito della Repubblica Italiana», e la Repubblica non desidera concorrenti.

Come funghi, dopo che il mutamento delle forme istituzionali aveva in pratica sospeso l’attività degli Ordini Cavallereschi, erano sorti Ordini non riconosciuti, larghissimi nella distribuzione ai insegne decorative: ordini sacri, militari, equestri, costantiniani, capitolari, sovrani, nobiliari, religiosi, angelici, lascaridi, imperiali, reali. E non di rado il denaro richiesto per diventare commendatori invece di finire in opere di beneficenza, prendeva la via di tasche truffaldine.

Su questo disinvolto commercio è calato l’art. 8: «... è vietato il conferimento di onorificenze, dìi distinzioni e decorazioni cavalleresche, con qualsiasi forma e denominazione, da parte di enti, associazioni e privati. I trasgressori sono puniti con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire 250 mila a lire 500 mila».

Non sembra probabile che Totò sia disposto ad accumulare anni di Regina Coeli per mantenere in efficienza le sue legioni. Ancora meno probabile è che la legge subisca un emendamento per ammettere accanto all’Ordine della Repubblica quello della dinastia Focas. Sulla copertina purpurea dello Statuto Totò ha fatto stampare in lettere d’oro «In hoc signo vinces» e più sotto : «anno della dinastia 1346». Sarà l'ultimo O gli angelici cavalieri trasferiranno la loro gloria, perseguitati ma non domi, all’ombra delle catacombe?

La missione dell'Ordine non ammette interruzioni : «ingentilire i costumi, onorare ed esaltare la virtù, insegnare con l'esempio a vivere con dignità ed onore, rinnovando le gesta oieà Maggiori perchè la civiltà non muoia e il mondo ritorni alla serenità della vita».

Queste direttive, che il gran maestro Antonio De Curtis ha inserito nello statuto al capitolo primo, non sono state ancora raggiunte. Ma per non tradire questi ideali — pensa con tristezza Totò — occorrerà tra poco essere dei fuorilegge.

Salvo l’uso delle onorificenze già conferite cessa di esistere anche Io ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. «Anche l’Ordine della SS. Annunziata e le relative onorificenze sono soppresse» — incalza poi inesorabile l’articolo 5... Che farà la Repubblica dei bei collari d'argento dorato? Erano formati di nodi «d’amore e di Rose», con innestata la parola FERT, e da essi pendeva una ghirlanda composta di altri tre nodi intrecciati.

«L’umile funzionario — ha scritto il sen. Fantoni nella relazione della legge — che dopo una carriera percorsa con decoro, onestà, disinteresse e zelo, ma non sempre adeguatamente retribuita, va in riposo, non terrà il broncio allo Stato se la misera pensione che non gli consentirà la vita comoda, sarà accompagnata da una croce o da un titolo che lo eleveranno nella considerazione dei cittadini»

Ma Totò rimarrà del parere che le onorificenze servono a ben altro che a mitigare i «mugugni» dei pensionati.

Fabrizio Schneider, «La Settimana Incom Illustrata», anno III, n.20, 27 maggio 1950


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Fabrizio Schneider, «La Settimana Incom Illustrata», anno III, n.20, 27 maggio 1950