A Somma Vesuviana il castello di Totò

Qui il Principe trovò le prove della sua nobiltà

Castello di Somma Vesuviana: il luogo dove Totò trovò le prove della nobiltà dei De Curtis (foto, 1998)


Il Castello di Somma: tra nobili amanti, baroni affittuari e il Principe della Risata

Se vi dicessi che un castello, oggi in rovina, un tempo fu teatro di passioni regali, passaggi ereditari degni di una soap napoletana e scenari degni di un film di Totò, ci credereste? Benvenuti al Castello di Somma Vesuviana, dove la pietra racconta più intrighi di una puntata di Beautiful in salsa aragonese.

1458: Lucrezia d’Alagno, la donna che sussurrava ai re

Partiamo con Lucrezia d’Alagno, non una regina, ma poco ci mancava. Amante ufficiale (mica una relazione clandestina da sottoscala) del Re Alfonso d’Aragona, la signora si trovò improvvisamente vedova... dell’amante. Che si fa in questi casi? Altro che lutto e clausura: Lucrezia si trasferisce a Somma Vesuviana e fa costruire un castello. Non una casetta in collina, ma una struttura architettonica con quattro torri cilindriche agli angoli, tanto per ricordare ai posteri chi comanda.

Il castello sorge proprio accanto al centro storico, a un tiro di schioppo da una delle antiche porte del borgo. Una posizione strategica, ovviamente, per dominare – almeno con lo sguardo – le vite altrui. Roba da influencer medievale.

Il tempo passa, i nobili restano (e ristrutturano)

Dopo l’addio di Lucrezia, il maniero cambia mani come un appartamento in affitto su Airbnb: passa a vari nobili, ognuno dei quali ci mette del suo. Restauri, fortificazioni, aggiustatine qua e là, ma niente che ne snaturi il fascino originario. Diciamo che è stato trattato come una vecchia gloria: un po’ di trucco, una rinfrescatina, ma il carattere resta quello.

Il castello, a un certo punto, finisce anche tra le mani (e le chiavi) di Giovanna III d’Aragona e di sua figlia Giovanna IV. Le due – regine anche di nome – probabilmente lo usarono come buen retiro, lontano dai fasti e dalle malelingue di corte.

Il barone in affitto e la stirpe dei De Curtis

Nel 1691 entra in scena un personaggio da romanzo: Luca Antonio, Barone de Curtis di Napoli. No, non Totò ancora, ma un suo antenato. Il castello viene dato in affitto (sì, affitto: niente titolo gratuito per i nobili decaduti) e i De Curtis iniziano una lenta e inesorabile occupazione della proprietà. I successivi discendenti comprano pezzi del castello, li restaurano, li vendono, come se fosse un grande puzzle di pietra. A un certo punto installano pure delle capriate in legno per sostenere il tetto in coppi. Più che un castello, sembra un cantiere perenne.

Totò: il colpo di scena con tanto di pedigree

Ed eccoci al colpo di teatro, manco a dirlo. Proprio qui, tra mura cadenti e pergamene polverose, Antonio De Curtis – in arte Totò – scopre le prove della sua tanto discussa nobiltà. Altro che sketch, qui si tratta di un documento serio: il Principe della Risata scopre che il titolo nobiliare non era solo un vezzo artistico, ma un fatto anagrafico.

Insomma, se Totò era “principe”, questo castello era il suo personale Palazzo Reale. Con un po’ meno marmi e un po’ più di muffa, certo, ma sempre pieno di storia.

Dottori, eredi e... il Comune: il finale istituzionale

Dal 1946 il maniero finisce nelle mani del Dott. Vernicchi di Montella e dei suoi eredi. Poi, come in ogni grande romanzo italiano che si rispetti, arriva il Comune. Oggi il castello è di proprietà pubblica, in attesa di essere restaurato e – si spera – trasformato in un centro museale e biblioteca.

Una seconda vita, forse più tranquilla, per un edificio che ha visto più amanti, nobili, baroni, attori e carte bollate di un ufficio anagrafe.

Conclusione: rovine sì, ma con classe

Il Castello di Somma Vesuviana è oggi un nobile decaduto con storie da vendere. Rovina romantica? Forse. Ma anche memoria viva di un’Italia che sa mischiare passione, nobiltà e comicità in un’unica, bellissima farsa storica.


Al Comune il castello di Totò

Somma Vesuviana acquista il maniero per un miliardo - La storia: Nella fortezza dell’antenato Antonio, il comico trovò i documenti che lo fecero nobile. Liliana: «Mio padre amava quel luogo. Vorrei la stanza dove dormii con mamma e papà», Il sindaco: anche due.

Correva l’anno 1691 ed il barone Antonio Luca De Curtis rilevava «in affitto perpetuo» il castello di Felice Fernandez de Cordoba Folchi Cardonay Aragona, duca di Sessa e di Somma. In principio, dunque, fu un Antonio De Curtis. Due secoli e mezzo dopo ancora Antonio De Curtis, l’ex ragazzino della Sanità, ormai il grande Totò, in quel castello trovava le tracce del suo passato e della sua famiglia. Vecchie carte, documenti che, con il cugino Gaspare, Totò andava trovando ovunque in quel labirinto di nicchie, stanze segrete, sale affrescate, segrete, cantine. Fra le mille leggende di una rocca nata con i Normanni, saltavano fuori frammenti di storia di famiglia. Le carte del castello di Somma fecero nobile Totò al termine di una causa per il riconoscimento del titolo. Soprattutto, ai suoi occhi, quelle carte gli restituirono le radici che gli furono negate per anni.

Il castello oggi torna a Totò. Non ai suoi eredi diretti, alla figlia Liliana. Ma il comune di Somma che lo ha rilevato, firmando venerdì un preliminare d’acquisto dai fratelli Virnicchi, ne farà un 'attrazione culturale nel nome della più grande maschera del cinema italiano.


Totò soggiornó in questa roccaforte per una settimana con la moglie e la figlia Liliana. Un suo grande sogno era diventarne proprietario


Dopo vent'anni di trattative estenuanti gli eredi Virnicchi hanno ceduto sulla cifra di un miliardo e quaranta milioni. Le quattro torri merlate, «rotonde, bellissime» che Liliana ricorda e che risaltano sulle vecchie foto, le ha abbattute il terremoto nel 1980. Ristrutturare il vecchio maniero sarà roba di miliardi ed il sindaco Carmine Mocerino già pensa a coinvolgere la Sovrintendenza e l’Ente Parco Vesuvio. Liliana, nel frattempo, ha una preghiera da fare. «Una stanza. Qualunque cosa facciano di quel castello, vorrei chiedere al Comune una stanza per me. Penso a quella grandissima, affrescata con animali, dove dormii per due mesi con mio padre e mia madre. Mio padre quel castello non lo potè avere mai e lo amò tantissimo. So che sarebbe felice per quella stanza».

Il sindaco Mocerino risponde a stretto giro: «È prematuro far progetti. Ma alla signora dico: una stanza ed anche più di una. Ci contatti. Non speriamo in nulla di meglio che la sua collaborazione. I tempi non saranno cortissimi, però. Un mutuo l’abbiamo già acceso, ma non è sufficiente a restaurare tutto il castello. Per farlo rinascere, perchè diventi un centro di attrazione, occorre che la Sovrintendenza e l’Ente Parco facciano la loro parte».

Dopo vent’anni di trattativa, dunque, l’opera è a metà. Liliana dovrà ancora attendere per tornare a sedersi in quelle stanze «a sentire», come dice lei, i De Curtis che hanno abitato il castello e che, voce di popolo, ancora lo abitano assieme a schiere di povere anime assassinate nei secoli. «Quando ero piccola, cinque-sei anni, vissi là per due mesi. Era un posto pieno di luoghi sconosciuti e io li volevo girare tutti. Qualche adulto mi disse che c’erano i fantasmi. Ma io non ho mai avuto paura di loro». Come il suo grandissimo padre Liliana si strugge per tutto quello che le Rievoca la famiglia. «Se tornassi là - dice - so che li sentirei ancora».

Il castello di Totò, battezzato ormai così ancora dalla voce del popolo, di questi echi sembra pieno. Regine assassine, cunicoli che lo collegherebbero direttamente a Palazzo Reale a Napoli, cadaveri mummificati con le armi al fianco che nei secoli sono stati restituiti da segrete e pozzi. E la carrozza d’oro della Regina Giovanna, sottoterra, in quel cunicolo che c’è davvero, ma solo Dio sa dove porta sbarrato com’è dai detriti, pericolante, infestato da topi. I ragazzini di Somma ci si spingono con le torce, ma nessuno va oltre, e a ragione. Totò, durante una breve vacanza, coltivò il sogno di tornare da proprietario, come il primo Antonio De Curtis, nel 1691. E forse sta per riuscirci oggi.

Chiara Graziani, «Il Mattino», 16 marzo 1998


«Diventi un museo e casa della musica»

Per ora è un'idea, ma al Comune di Somma Vesuviana comincia a farsi strada la convinzione che quel magnifico castello, una volta recuperato, possa essere destinato a centro di cultura. Un museo, ad esempio, che preveda una sezione dedicata al principe della risata. Già la precedente amministrazione aveva contattato Liliana De Curtis per chiederle la disponibilità alla realizzazione di questo progetto. «Penso che si potrebbe allestire anche una sezione per la musica napoletana, propone Liliana. Intanto è necessario l'intervento di recupero dell'edificio, che pure in condizioni degradate, non perde completamente il suo splendore.

Daniele Iorio, «Il Mattino», 16 marzo 1998


Logo del quotidiano Il Mattino (rassegna stampa, 16 marzo 1998)
«Il Mattino», 16 marzo 1998

🎭 Conclusioni

Nel castello di Somma Vesuviana, edificato nel solco di Lucrezia d’Alagno e passato ai De Curtis (1691), Antonio de Curtis Totò rintracciò documenti civili e patrimoniali che chiariscono la sua nobiltà d’anagrafe. Le carte – oggi memoria storica del territorio vesuviano – collegano la vicenda di un attore simbolo del cinema italiano (1937–1967) alla stratificazione di proprietà e restauri che, tra età aragonese e Novecento, hanno definito il profilo del maniero. Dal preliminare d’acquisto del Comune di Somma (1998) all’idea di museo e biblioteca, il castello resta una “porta d’archivio” sulle radici dei De Curtis, utile a ricostruire linee genealogiche, vicende "documentarie", passaggi di affitto perpetuo e trasformazioni edilizie (capriate, coppi, crolli post-1980). In questa cornice, l’itinerario critico su Totò integra fonti d’epoca, rassegna stampa e immagini, favorendo l’estrazione di dati fattuali utili a citazioni e schede per studi biografici e storia locale.


Riferimenti e bibliografie:

  • http://www.borgocasamale.it