Totò. Che secolo...

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1998-02-09_-_Il_Mattino

Nato cent’anni fa alla Sanità, conservò l’humus del suo quartiere lasciando capolavori in cui s’intrecciano comico e patetico

Totò morì a Roma all’alba del 15 aprile del 1967. Con Grazia Cherchi e Piergiorgio Bellocchio, i due direttori dei «Quaderni piacentini» di cui ero condirettore anch'io per loro benevolenza, eravamo scesi in macchina da Piacenza il 14 per vedere un po' di gente, e per un’assemblea sul Vietnam all'Università che si sarebbe tenuta il 15 e alla quale ci era stato chiesto di intervenire. Vedemmo, ricordo, Pasolini, Asor Rosa e Colletti con il quale ultimo ci si lasciò freddamente. e alloggiammo dal fratello di Bellocchio, il giovane regista nostro sodale. Nel pomeriggio del 15, all’assemblea studentesca, fu Grazia a leggere un intervento che avevamo scritto in tre strada facendo, molto duro nei confronti deliapolitica del PCI. Replicò per il PCI il migliore - secondo noi - di quella schiera, Natoli, ma proprio mentre lui difendeva l’operato del suo partito, entrò nell'aula uno strillone di «Paese Sera» (ancora esistevano gli strilloni) che sollevò in silenzio la prima pagina del giornale mostrandola in giro, aperta su un titolo enorme: «È morto Totò».

1928 Antonio De Curtis 000 L

Due cose incommensurabili, Totò e il Vietnam, o Totò e il ’68? La storia gioca sempre strani scherzi e accosta l’inaccostabile, avvenimenti, generazioni, persone.

Dal giorno della nascita di Antonio de Curtis, in arte Totò, il 15 febbraio del 1898 sono passati cent’anni. Un secolo, e che secolo!

È successo di tutto, è cambiato il mondo tre volte; la prima con la fine della «belle époque» e la prima guerra mondiale, poi con la fine della seconda guerra mondiale, e infine con il trionfo di un «miracolo economico» dalle conseguenze inesauste.

1997: trent’anni dalla morte di Totò.

1998: cent’anni dalla nascita di Antonio de Curtis in arte Totò, avvenuta il 15 febbraio dei 1898 a Napoli, in via Santa Maria Antesaecula, in quel rione Sanità che resta ancora una città della città, e che è stato mirabilmente narrato da Eduardo De Filippo in un suo celebre lavoro teatrale, "Il sindaco del Rione Sanità", e più recentemente in cinema, da Antonio Capuano in "Pianese Nunzio, 14 armi a maggio".

Festeggiamenti, giornate televisive, convegni, pubblicazioni, ristampe di film e di dischi, omaggi di ogni sorta: cent’anni fa nasceva infatti, con Antonio de Curtis, il comico principe di questo secolo in Italia, la cui maschera e bravura permettono il paragone con i più grandi, con i Chaplin e i Keaton, i Laurel-and-Hardy e i fratelli Marx.

Via Santa Maria Antesaecula è un budello contorto che va dai Vergini a San Severo, fino a incontrare la collina di Capodimonte. Questa parte di Napoli era un tempo extra-moenia, fuori di Porta San Gennaro, ed era terra di orti e di grotte, luogo di antichi culti là dove, come nel cimitero sotterraneo delle Fontanelle, sempre dentro la Sanità, il mondo dei morti incontrava quello dei viventi.

Alle Fontanelle tuttora vige il culto delle «aneme pezzentelle», quelle a cui non pensa più nessuno e che non hanno più nome, e in mezzo alle sue piramidi di teschi si aggirò, in una scena famosa, Ingrid Bergman diretta da Rossellini nel suo Viaggio in Italia; poche settimane prima che Rossellini dirigesse Totò in un film sfortunato, che avrebbe potuto e dovuto essere un capolavoro, "Dove la libertà!" e Totò, così ossessionato dalla morte, autore di un poemetto come "A livella", ha certo molto amato, se l’ha vista, la scena delle Fontanelle.

Nel frastuono delle celebrazioni, neanche via Santa Maria Antesaecula viene risparmiata, e proprio ai Vergini, al Palazzo dello Spagnuolo che si sta cercando di restituire all'antico splendore, avrà sede un Museo Totò che si spera non frivolo e banale... La Sanità si sta insomma riappropriando del grande attore, che nei suoi vicoli è cresciuto e ha ricevuto la sua vocazione, come ha spesso narrato, assistendo bambino alle piccole recite improvvisate di famiglia, sulle soglie dei «bassi» o nella piazzetta, o alle feste con musica e «giochi di fuochi» che fino a poco tempo fa culminavano alla Sanità nella sua piazza centrale per la festa di San Vincenzo protettore del quartiere, che i napoletani hanno soprannominato il «Monacone». Gli anni in cui Totò si formò erano quelli della «belle époque», e finirono con la prima guerra mondiale. Erano gli anni in cui il teatro, sia il ricco che povero, viveva a Napoli una stagione esplosiva. C’era il grande Viviani attore, regista, autore di spettacoli corali di perlustrazione della vita della città e dei suoi dintorni: c’era Gustavo De Marco, il «fantasista svitabile» che fu maestro di Totò e delle sue inimitabili contorsioni corporee e facciali; c’erano i cantanti Pasquariello, Gilda Mignonette e Elvira Donnarumma, i poeti e parolieri Salvatore di Giacomo, Libero Bovio, Rocco Galdieri, Ernesto Murolo e tanti altri; c’era Eduardo Scarpetta padre dei tre De Filippo.

Furono loro allievi Totò e Eduardo, Taranto e Tina Pica e le centinaia di altri attori e caratteristi che ci hanno rallegrato lungo un secolo passando dal teatro al cinema, dalla radio alla televisione. Totò imparò dal teatro napoletano del suo tempo tutti i trucchi e le astuzie del mestiere, ma ci mise del suo, e grazie a un formidabile istinto seppe rinnovare canovacci (La camera per tre come La scampagnata dei tre disperati, i copioni «a soggetto» dei Pulcinella come le farse di Scarpetta) tuffandoli nelle avventurose improvvisazioni degli avanspettacolo e dei varietà.

Egli mediò tra due anime, sempre opportunamente congiunte; quella della «fame», molla vitale immediatamente comprensibile dai pubblico povero del tempo, anche in cinema almeno fino agli anni del «boom» (ma questa «fame» era anche fame di sesso, di spazio, di dignità...) e quella della marionetta. E sono allora gli intermezzi in cui Totò si trasforma in Pinocchio o nel Rinaldo dell’Opera dei Pupi o in un frenetico direttore d’ orchestra o in un finto manichino, in un artificiere di fuochi che si trasforma in fuoco d’artificio egli stesso e si trattava di inimitabili evoluzioni mimiche in cui tutto il corpo veniva coinvolto, dagli occhi sempre mobili alla mascella «deragliata» agli arti impazziti in una meccanica incontrollabilmente furiosa. Concretissimo negli appetiti, astrattissimo nelle estroversioni fisiche, Totò impose una maschera che è, appunto, solo e sempre «Totò».

Fu davvero così sfortunato nella carriera, come molti hanno detto? Non ebbe davvero grandi occasioni? È discutibile. Totò ha avuto la fortuna di lavorare con la Magnani e con una schiera di «spalle» formidabili (da Fabrizi a Peppino, da De Sica a Furia, da Dolores Palumbo a Ave Ninchi, da Taranto a... Celentano, e tutti al suo servizio, a dargli la battuta o a farsi tiranneggiare da lui!) ma anche con registi rispettosi come Rossellini, De Sica, Monicelli, Lattuada, Steno, Mattoli, e ovviamente Pasolini; e con sceneggiatori come Zavattini o Brancati, Flaiano o Maccari e Age e Scarpelli, Metz e Marchesi. Ha lasciato il suo segno con piccoli grandi capolavori volentieri intrecciando comico e patetico, e sfociando in una sorta di poetico surrealismo che Pasolini intuì e illustrò con i bellissimi mediometraggi Che cosa sono le nuvole e in La terra vista dalla luna. Avrebbe potuto dire di più, certamente, ma fu in gran parte per sua colpa se ciò non avvenne, tanto freneticamente e nevroticamente egli fu attaccato al lavoro e al denaro, che sperperò per tutta la vita.

Goffredo Fofi, «Il Mattino», 9 febbraio 1998


NOTE:

Le pagine iniziali del libro «Un secolo con Totò» di Goffredo Fofi, edito dalla Libreria Dante & Descartes di Raimondo Di Maio. Dedicato a Mario Monicelli, fa parte della collana «Napoli in trentaduesimo». Il volume, infatti, misura 2,5 cm. per 4 cm. di...altezza.


Il Mattino
Goffredo Fofi, «Il Mattino», 9 febbraio 1998