La febbre di Totò

Totò Franca

Il 15 aprile del 1967 si spegneva a Roma il grande comico napoletano, compianto da milioni di spettatori. Oggi, a distanza di cinque anni, si assiste al rilancio dei suoi film più noti, con un grande successo di pubblico. Anche la TV ha in progetto un omaggio al "principe”. Quali sono i motivi dell’attuale interesse per vecchi film, anche trascurabili e di rozza fattura, nei quali l’attore faceva la parte del mattatore? Alcune personalità del mondo dell’arte e dello spettacolo parlano di questa nuova, improvvisa "fortuna”

A cinque anni dalla morte di Totò, si assiste a un rilancio dei film del celebre comico napoletano scomparso sessantottenne, a Roma, il 15 aprile 1967, per infarto. Non si tratta degli ultimi lavori, diretti da registi importanti come Pasolini («Uccellacci e uccellini», «Le streghe») o Lattuada («La Mandragola»), bensì delle pellicole più dichiaratamente commerciali, magari un po’ sguaiate, ma nelle quali Totò poteva far esplodere tutta la sua carica di humour. Alcuni dei titoli ripescati: «San Giovanni Decollato», «Il medico dei pazzi», «Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi», «La banda degli onesti», «Totò a colori», «Un turco napoletano», «Totò cerca casa». La TV ha in progetto di un ciclo dei suoi film.

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In basso Totò in una delle sue e prime interpretazioni cinematografiche, «San Giovanni Decollato», girato nel 1940. Questo film, insieme con molti altri del comico, viene ora ripresentato nelle sale cinematografiche di seconda e terza visione. Nato a Napoli il 7 novembre 1898, Totò — ossia Antonio De Curtis, principe di Bisanzio — ebbe i suoi primi successi a Roma, alla Sala Umberto, nel 1917. Al cinema arrivò soltanto nel 1937, con il film «Fermo con le mani». Per lungo tempo alternò il cinema al teatro di rivista. Nel 1956 diede l'addio al palcoscenico con la rivista «A prescindere»: era già in stadio avanzato l'infermità agli occhi che doveva condurlo verso la cecità quasi totale. Da quell'anno si dedicò interamente al cinema, muovendosi davanti alla macchina da presa senza lasciar sospettare la menomazione che lo affliggeva. Totò — in alto una galleria di espressioni — è morto a Roma per infarto cinque anni fa.

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«Odio il personaggio Totò — egli diceva. — Che cosa ci trovate di tanto divertente?» Nella sua perplessità era sincero. Chi l’ha conosciuto nella vita privata ricorda un omino malinconico, compiaciuto dei suoi titoli nobiliari («Antonio Focas Flavio Comneno De Curtis», diceva la targhetta della sua porta, nella casa ai Parioli, ma a elencarli tutti i suoi titoli, incluso il «principe di Bisanzio», avrebbero portato via molto più spazio), ricorda un attore scrupoloso, che riuscendo a superare una grave menomazione agli occhi — vedeva soltanto confusamente — lavorava instancabilmente, un «signore» un po’ all’antica, un napoletano ossessionato dalla superstizione, prudentissimo quando veniva il momento di viaggiare («Possibilmente in treno — diceva. — Mai e poi mai in aereo»), pessimista, ansioso, con pochi amici intorno, capace di restarsene isolato nella sua abitazione con il conforto della compagna Franca Faldini, ma più spesso solitario, volontariamente. Comico? Soltanto in scena. E anche allora era di una comicità gaia in apparenza: il sottofondo era permeato di tristezza.

Totò era arrivato al cinema abbastanza tardi, con «Fermo con le mani». Aveva già trentanove anni e un lungo passato di comico di varietà e rivista. Nato a Napoli nel 1898, dopo la maturità classica aveva preferito le tavole dei piccoli palcoscenici della sua città ai rigorosi studi universitari, esibendosi in macchiette e in imitazioni. Fu l’impresario romano Beppe Jovinelli a strapparlo alla piccola routine per lanciarlo nella Sala Umberto di Roma, anticamera di teatri ancor più ambiti e prestigiosi. «Scoprii la bombetta e nacque il personaggio Totò», raccontava il comico, semplificando al massimo quella che invece era stata una lunga e faticosa maturazione. C’era sì la bombetta, ma c’erano anche l’abito dai calzoni troppo corti, il tight nero, il piumetto che veniva infilato sul cappello al momento del gran finale; questo per l’abbigliamento. Ma la «marionetta Totò» aveva ben altro in serbo: un procedere ora legnoso ora disarticolato, un muovere di capo davvero unico e inimitabile, una parlata bizzarra che mescolava giochi di parole a espressioni tipiche e immutabili (e sempre esilaranti) sul sottofondo di un accento costantemente napoletano. A questo «equipaggiamento» Totò accompagnava una grande sapienza scenica. Negli ultimi anni, poi, il personaggio Totò aveva acquistato uno spessore diverso, una consistenza umana lontana dalla meccanica della «marionetta», grazie alle qualità di attore del «principe De Curtis».

Ogni spettatore ha il ricordo del «suo Totò»: chi lo preferisce nei film di Pasolini, chi ha più caro il «basista» di «I soliti ignoti», chi il mariuolo di «Guardie e ladri», e chi ancora il tuttofare di «Napoli milionaria» (un piccolo capolavoro). E chi più candidamente ama rammentare il Totò più corrivo delle tante commediole girate in poche settimane. «Ma perché vi piace Totò?», continuava a chiedere. Le risposte potrebbero essere centomila, una diversa dall’altra.

1972 04 25 Domenica del Corriere f5Il comico in uno dei suoi film più lodati dalla critica, «Guardie e ladri» di Monicelli (1951) in cui recitava con Aldo Fabrizi. L'ultimo film di Totò è «Le streghe»: interpretava l' episodio «La terra vista dalla luna», diretto da Pasolini.


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Totò attore di rivista nella notissima scena del vagone-letto, da «C’era una volta il mondo» di Michele Galdieri. Con il comico vediamo la fedele «spalla» Mario Castellani e Sandra Milo. Si tratta di una ricostruzione per la televisione; nell'edizione originale, in teatro, la partner di Totò era Isa Barzizza. Questo filmato fa parte del ciclo «Tuttototò», interpretato dal comico pochi mesi prima di morire. In basso: Totò con Franca Faldini, l'attrice che gli è stata compagna per quindici anni. Fino al 1939 egli era sposato con Diana Rogliani; dalle nozze, annullate in quell'anno, era nata una figlia, Liliana. Oltre ai film, Totò ha lasciato versi e canzoni.

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Una vera maschera

Wanda Osiris

(soubrette)

«Confesso che da anni io vado a vedermi, magari in un cinemino alla periferia di Milano, le pellicole "storiche" di Totò. Adesso tutti gridano al miracolo, lo riscoprono. Devo tutto a Totò: fu lui, quando avevo soltanto 16 anni, a farmi debuttare al suo fianco nel " Piccolo caffè " al teatro Excelsior di Milano. Bentornato Totò: adesso potrò andarmelo a vedere nei cinema del centro.»

Remigio Paone

(impresario teatrale)

«In teatro tutto "ritorna". Di Totò la nostra generazione ha fatto indigestione negli anni Cinquanta. A tal punto che le splendide trovate del comico napoletano ci sembravano oramai ovvie, come ovvio ci sembrava il fatto che Totò ci facesse immancabilmente ridere. Lo riscopre questa ultima generazione, che non s’è rotolata di risate sulle poltrone di tanti teatri per le "gag" di Totò. Ricordo la puntualità di Totò, che cominciava lo spettacolo alle 21.15 precise. Se la prendeva con quelle signore impellicciate che arrivavano a teatro in ritardo. Appena vedeva nel corridoio della platea farsi avanti una di quelle ritardatane, Totò bloccava l'orchestra e interrompeva l'azione scenica. Diceva: " Grazie signora, eravamo tanto in pensiero per lei...". Quanti comici lo imitano? Meglio non fare nomi.»

Giovanni Grazzini

(critico cinematografico del «Corriere della Sera»)

«Perché meravigliarsi del successo che tornano a riscuotere i film di Totò? E’ tipico dei giovani d'oggi attribuirsi il merito di scoprire figure e valori già da tempo consacrati. Nel caso di Totò la critica cinematografica è sempre stata concorde nel dire che ci troviamo di fronte ad uno dei più grandi attori comici del secolo e nel lamentare che in molti casi egli si sia lasciato penosamente sfruttare dai mercanti di celluloide. La nuova popolarità di Totò, forse, si spiega anche con la "bancarotta" della ragione, di cui tutti siamo testimoni. Nel mondo assurdo in cui viviamo, Totò è un po' il simbolo di un’umanità miserabile e deforme, che trova salvezza soltanto nella fantasia e nella risata.»

Giovanni Mosca

(scrittore, commediografo, critico teatrale del «Corriere d'informazione» e della «Domenica •)

«Con le dovute proporzioni, accade per Totò quello che è accaduto per Charlot. La "maschera” dell’attore napoletano sta dimostrando di avere tutte le carte in regola per andare al di là di una determinata epoca. A differenza di altri attori comici italiani, Totò ha avuto la grande fortuna d'essere stato partorito dal golfo di Napoli: e Napoli non è una semplice città, ma un vero e proprio mondo, quindi anche i suoi cittadini sono i cittadini del mondo.»

Pietro Bianchi

(critico cinematografico di «Il Giorno*)

«Il cinema italiano in particolare è ricco di film importanti nella sfera politica e della contestazione, ma non è altrettanto ricco in commedie comiche, evasive o di semplice divertimento. Negli ultimi tempi si sono visti i nostri maggiori attori comici, come Nino Manfredi (" Per grazia ricevuta"), Alberto Sordi ("Detenuto in attesa di giudizio"), Vittorio Gassman e
Ugo Tognazzi ("In nome del popolo italiano”), impegnati in film in cui il divertimento va ricercato sotto abbondanti dosi di amarezza. Il ritorno di Totò, secondo me, è dovuto non solo ai meriti del grande attore, ma anche al fatto che la gente, nei tempi calamitosi in cui viviamo, ha voglia di ridere, come reagente ad una situazione politica ed economica che non ha più nulla di divertente.»

Erminio Macario

(attore)

«Non ci sono in Italia film puramente comici validi, all’ infuori dei tentativi di Franchi e Ingrassia: ecco perché Totò è ritornato da vincitore. Il pubblico è stufo di ridere amaro, o, peggio ancora, di vergognarsi di ridere con semplicità. Modestamente sono stato io a "lanciare" Totò. Ero in compagnia con A-chille Maresca, in " Madama follia”, al teatro Lirico di Milano. Improvvisamente dovetti cercare il mio sostituto: dovevo tornare a Torino per motivi familiari. Mi segnalarono un comico napoletano ai varietà "Apollo" di Napoli. L’andai a vedere, e dopo due "battute" l'avevo già scritturato.»

Silvana Pampanini

(attrice)

«I giovani riscoprono Totò perché si è sparsa la "voce" che i suoi film fanno ridere, che la sua "maschera” è intatta. Di Totò ho un ricordo umano straordinario. Dicevano che si fosse innamorato di me. Ricordo, quando lavoravamo insieme, che mi mandava ogni giorno in camerino mazzi di rose, scatole di cioccolatini: un gentiluomo d’altri tempi. Per tutta risposta io dissi a Totò una frase che vorrei non aver mai detto: "Caro Totò, io ti voglio bene, ma come ad un padre”. Solo quando se n’è andato per sempre ho capito di avere amato Totò: per le indimenticabili lezioni di gentilezza d'animo che ha dato a me e a tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo da vicino.»

Nino Taranto

(attore)

«Il pubblico è alla ricerca di una ventata d'aria pulita, senza lo "smog della problematica”. Che cosa c'è di me-
glio di un buon film di Totò per passare due ore in allegria? Una cosa non mi spiego, perché la critica, quando il povero Totò era vivo, non ha mai voluto ammettere una volta per tutte che lui era il numero uno dei comici italiani. Ma si sa: dare con generosità, come faceva in ogni suo film Totò, è un'abitudine che pochi sanno apprezzare.»

Anna Magnani

(attrice)

«Se ne potevano accorgere anche prima del vero valore di Totò. Ma in questo nostro Paese è sempre stato così: per essere apprezzati fino in fondo bisogna proprio crepare!»

Franca Faldini

(per 15 anni sua compagna)

«Le lodi sperticate di tanti uomini di cinema, oggi, sono un "mea culpa” per avere sprecato Totò da vivo. Poteva diventare una maschera internazionale: solo che gli avessero offerto dei film non prettamente commerciali. Era un mimo meraviglioso: eppure nessuno, allora, gli finanziò il sogno di tutta la sua vita, quello di realizzare un film muto, basato sulle e-spressioni del viso. Una specie di sfida a Charlot. Gli proponevano soltanto il "filmaccio” commerciale da 100 milioni: tanto sapevano che tutto sarebbe andato a gonfie vele. Adesso è facile dire "viva Totò": tanto non costa più una lira!»

Alberto Bevilacqua

(scrittore, regista)

«Secondo me, nonostante le apparenze, la comicità di Totò non era "adatta” per la generazione di ieri. Va invece "a pennello” per il gusto di oggi. I giovani non ridono soltanto per la "battuta" o l' "espressione" esteriore di Totò: loro vanno a fondo, leggono attraverso le righe tutta l'amarezza del comico. Azzarderei che la maschera di Totò è più "cattiva” di quella di Chaplin: più disperata.»

Luigi Comencini

(regista)

«Ai giovani d'oggi piace Totò non solo perché è un grande comico, ma anche perché hanno scoperto i valori autentici e popolari di quel cinema italiano tanto denigrato dalla critica intellettuale che va sotto il nome di cinema "bozzettistico". Ho sempre pensato che c'era più fantasia e verità in tanti film "bozzettistici" degli anni Cinquanta che in tutta la letteratura italiana del dopoguerra.»

Franco Berutti e Paolo Mosca, «Domenica del Corriere», anno LXXIV, n.17, 25 aprile 1972


Franco Berutti e di Paolo Mosca, «Domenica del Corriere», anno LXXIV, n.17, 25 aprile 1972