Totò, vent'anni di cinema con il principe clown

1973 Toto Riscoperta 210

Cento film abitati da una maschera

Totò attore di teatro, Totò attore di cinema. Mentre è iniziata la retrospettiva di Tòtò alla televisione, "Tempo” vuole ricordare l’attore nei suoi due aspetti, a volte molto dissimili anche per circostanze tecniche Quello che ha rappresentato Totò per il cinema lo dice il nostro critico Morando Morandini. E’ più difficile dire quello che fu Totò in teatro, perchè da molti anni il "principe clown" era stato costretto a rinunciare, per malattia, alle fatiche del palcoscenico. Perciò abbiamo voluto risalire — con un incontro di Orio Vergani con "l'attore comico fra i più singolari del mondo” — all'epoca d'oro del teatro leggero, anzi, al 1948 quando Totò recitava nella mitica rivista "Bada che ti mangio".

Fra le tante cose che sono state scritte su Totò voglio ricordare quella di Ennio Flajano: Totò "non esisteva in natura”, non era "vero". Non era un tipo o un carattere proveniente dalla commedia dell'arte, un Pulcinella, un Brighella, un Pantalone, un Arlecchino, anche se poteva improvvisarne i modi: poteva rappresentare soltanto se stesso. « ...i personaggi che più ci divertono, perchè riflesso della nostra realtà — ragionava Flajano — sono quelli che una volta animavano il sottobosco della commedia, la variopinta canaglia dei semplici, degli infingardi, degli spacconi, dei ladri, in una parola dei servi, i famigli. Anzi, da personaggi secondari sono diventati personaggi principali, il servo è ormai l'eroe... ».

Questa promozione sociale è avvenuta col passaggio dalla commedia popolare a quella borghese, conseguenza e rispecchiamento dell'evoluzione della società italiana. Guardiamo gli altri comici del cinema italiano: se si tolgono Franchi-Ingrassia e Peppino De Filippo che continuano la tradizione dei "servi" con la loro bertoldesca sciocchezza o astuzia (e che altro è, infatti, Pappagone?), i Sordi, Manfredi. Tognazzi. Gassman sono maschere o caratteri borghesi, realistici nella misura in cui ritraggono vizi, difetti, viltà, miserie dell'italiano medio e della scadente realtà nella quale anche noi spettatori siamo immersi fino al collo. Attraverso loro assistiamo alla nostra autobiografia.

Totò è diverso e lontano da questa realtà. Clown di genio, antichissimo e moderno, osceno e crudele, umanissima marionetta, mimo eccentrico e irripetibile, Totò rappresenta — secondo l'ipotesi di Flajano che condividiamo in tanti — la zona metafisica della commedia italiana, non i caratteri, ma l'imponderabile, il grottesco, l'inverosimile.

Certo: Totò è napoletano, erede di Scarpetta, ultimo Pulecene'. Si possono scoprire sotto la sua metafisica buffoneria gli strati di una cultura intera: il San Carlino e i de Filippo, Raffaele Viviani e Nicola Maldacea, Peppino Villani e Armando Gill, la commedia dell'arte e Pirandello, l'opera dei pupi e Plauto, i fescennini e le atellane.

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Totò ha potuto, sullo schermo, indossare personaggi di Campanile e Pirandello, di Martoglio e Scarpetta, di Eduardo e Petrolini, di Metz e Marchesi, di Marotta e Moravia, persino di Machiavelli. Totò ha potuto e dovuto, in obbedienza ai tempi, inserirsi nel filone neorealista mettendosi al servizio di Eduardo, De Sica-Zavattini. Steno-Monicelli e qualche altro minore. Totò s’è incontrato con Rossellini ("Dov'è la libertà”, film sbagliato ma curiosissimo) e, al tramonto della sua stagione, con Pasolini ("Uccellacci e uccellini" e i due episodi "Che cosa sono le nuvole?” e "La terra vista dalla luna"). Totò ha potuto fingersi jettatore e morto che torna, padre di numerosa prole che cerca casa e la trova in una ex-casa chiusa (in "Arrangiatevi!” di Bolognini), medico dei pazzi e pazzo, sonnambulo. gentiluomo, ladro, psichiatra, soldato, frate ruffiano, ballerino, spia, eccetera, rimanendo sempre se stesso e illustrando l'assurdità della propria presenza in ciascuno dei mondi immaginari che attraversava.

Quanti film ha fatto Totò? Chi li ha contati, dice centoquattordici dai 1937 ai 1968. I critici affermano che se ne salvano una decina: qualcuno ha scritto che, in un certo senso, è stata la grande occasione mancata del cinema italiano perchè aveva la possibilità di arrivare al livello di un Chaplin o di un Keaton, dimenticando che Totò era attore e soltanto attore perchè non aveva il talento, la forza, la volontà per diventare un autore. (Questione di pigrizia, egli diceva, quando gli domandavano perchè non gli interessasse il mestiere di regista. Ma, forse, dipendeva dal suo amore per il teatro).

E' inutile rimpiangere quel che sarebbe potuto essere: come si sa, la storia non si fa con i "se”... Totò va cercato non in uno solo o in dieci ma attraverso i cento e più film abitati da una maschera, da una marionetta che propone soltanto sé stessa.

Morando Morandini, «Tempo», anno XXXV, n.14, 8 aprile 1973


Morando Morandini, «Tempo», anno XXXV, n.14, 8 aprile 1973