Vincenzo Mollica: «Pescando perle in un oceano di versi e gag»
Accadrà sicuramente nel futuro che qualche serio studioso del mondo dello spettacolo decida di affrontare un lavoro solo apparentemente facile: raccogliere in un’opera omnia tutti gli scritti del principe Antonio de Curtis in arte Totò. Il lavoro gli costerà qualche anno di ricerca, ma finalmente potremo leggere (ci auguriamo in maniera cronologica e con interessanti annotazioni filologiche) le poesie, i testi delle canzoni, le scenette, le lettere e la sua unica autobiografia che dettò ad Alessandro Ferraù ed Eduardo Passarelli nel 1952, che uscì presso l’editore Capriotti con il titolo «Siamo Uomini o Caporali?».
Inutile negarlo, chiunque farà quest’opera avrà la gratitudine infinita di tutti gli appassionati di questo straordinario artista, anche perché per la prima volta si potrà tentare di comporre in maniera completa il mosaico dell'universo Totò. La scrittura per il principe de Curtis non era un'attività secondaria, era un modo per manifestare l'altra faccia della sua medaglia; una faccia in cui dominavano la malinconia e l’ironia che coabitavano in perfetta armonia con la sua comicità. Mi auguro veramente che prima o poi questo sogno sì avveri, anche perché avremmo la possibilità di scoprire che Totò non ha scritto solo «Malafemmena», «’A livella» e la famosissima scenetta «Interno di un vagone letto», ma tanti altri gioielli che meritano la stessa attenzione. Non a caso il principe proprio come finale della sua autobiografia già citata pubblicò una piccola antologia delle sue poesie e delle sue canzoni che comprendeva già uno dei suoi capolavori, «Malafemmena», che era stata incisa nel 1951 (un anno prima della pubblicazione del libro «Siamo Uomini o Caporali?»), con un’interpretazione bellissima, da Giacomo Rondinella che la portò al successo.
Sempre nello stesso volume nell’introduzione Totò scriveva: «In questi ultimi tempi, dopo tanti anni di ozio letterario (a causa delle fatiche teatrali n.d.a) ho derogato alla regola impostami fin da ragazzo e ho scritto qualche verso che potrete leggere in questo libro. Nella vita basta derogare la prima volta, per derogare anche una seconda: e così ho acconsentito, me vivente, di scrivere, in collaborazione con due amici, una serie di quadri in cui vengono tracciati alcuni episodi della mia vita. Fàsi per lo più tristi: in così violento contrasto con la mia vita di attore comico, di attore cioè impegnato a far divertire il pubblico. Forse in tutto ciò si applica la legge della compensazione che orchestra le vicende degli uomini. Un attor comico, fortunato sulle scene e sempre sorridente nella vita, costituirebbe un paradosso».
Sta proprio in questa lucida consapevolezza la grandezza di Totò che, come Chaplin, aveva capito che comicità e malinconia in fondo sono come dei vasi comunicanti da cui trarre energie. Altrimenti non potevano nascere versi come: «Però sta faccia d’angelo te serve pe’ ’ngannà» (da «Malafemmena»). Oppure: «'Sti ppagliacciate ’e fanno sulo ’e vive / nuje simmo serie... Appartenimmo ’a morte!» (da «’A livella»).
Ma è come pescare due perle in un oceano. Moltissime altre sono ancora da pescare seguendo come un’eco la voce di Totò che dice: «Io il pubblico so come farlo patire di piacere».
Vincenzo Mollica, «Il Mattino», mercoledi 15 aprile 1992
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Vincenzo Mollica, «Il Mattino», mercoledi 15 aprile 1992 |