Approfondimenti e rassegna stampa - Antonio de Curtis e la nobiltà
Indice
Rassegna stampa: Marziano II di Lavarello contro Antonio de Curtis
Rassegna stampa dal 1940 ad oggi sulla disputa legale affrontata da Totò per il riconoscimento dei suoi titoli nobiliari
Le battaglie legali di Antonio de Curtis divertirono e appassionarono i lettori di rotocalchi, i curiosi e naturalmente anche gli altri nobili, che di solito trattavano con sufficienza il loro sedicente collega. Dopo aver dilapidato molti denari tra ricerche e procedimenti legali, finalmente ottenuto il titolo, riconosciute le ascendenze, battuti i millantatori, nella vita privata Antonio de Curtis cerca di mettere quanta più distanza possibile tra sé e il buffone cinematografico. Alla dilagante Totòmania, il principe reagisce costruendosi un’immagine estremamente elegante e vagamente malinconica. Uno dei passi fondamentali per ridefinirsi agli occhi della società è la pubblicazione nel 1952 di "Siamo uomini o caporali?", un’autobiografia in cui divulga l’immagine dell’attore-gentiluomo, forgiato da un passato che tende a colorarsi di leggenda. Ancora oggi, a molti anni dalla sua morte, avvenuta il 15 aprile 1967, sui giornali e alla televisione si insiste volentieri nel porre in dubbio la legittimità del titolo “principesco” di Totò. Dalla storia si impara che, occupata Bisanzio dai turchi nel 1453 e ucciso l’Imperatore Costantino XI, reo di non essersi convertito all’Islam e morto da “martire”, cessò praticamente di esistere l’Impero Romano d’Oriente.
La cronaca giornalistica della lunga disputa legale per il riconoscimento dei titoli nobiliari
Durò quasi dieci anni la battaglia che Antonio de Curtis condusse per avere riconosciuti i titoli nobiliari di cui riteneva averne i diritti. La stampa dell'epoca e l'opinione pubblica si appassionò a questa disputa legale, combattuta su più fronti e con più pretendenti al titolo, a suon di carte bollate e numerose udienze tenute nei vari tribunali d'Italia.
1940-1949
Totò e la nobiltà: articoli dal 1940 al 1949
Totò e la nobiltà: la casta è casta e va sì rispettata...
Marziano II Lavarello, Imperatore di Bisanzio?
Totò oggi potrebbe essere canonico o ufficiale di marina
Totò e le Totoate: la critica «negativa» e «distruttiva»
Ehi, della Gonda, quale novità?
Ecco Totò, Altezza Imperiale
A Somma Vesuviana il castello di Totò
Pioggia di croci e commende sulla democrazia
Antonio de Curtis, l'uomo che non ride alle recite di Totò
Articoli & Ritagli di stampa - Rassegna 1948
Cronache romane
Un re che non si diverte, Sua Altezza Totò - Dalle monarchie del poker a quelle delle pastasciutte
Roma, 2 aprile
Mi dicono che la «Montagna di meraviglie» abbia molto ammirato il Pantheon, il Colosseo, la fontana di Trevi e la réclame di un aperitivo, dilettandosi anche di sapere che il rami, gioco indostano, è molto in voga pure in Italia. Ma perchè le signore italiane non giocano anche a pochesi? Pare che quest’altra specie di sollazzo abbia sul remì il vantaggio d’essere più spiccio e più eccitante. Strano, davvero strano che neppure l’Aga Khan non sia riuscito in Europa a metterlo alla moda! In Italia, a giocare il pochesì, dovrebbe cominciare un signore d’altissimo lignaggio; il principe De Curtis, per esempio. In verità io non ne vedo un altro più eletto, almeno fra i coronati in circolazione. A questo punto debbo informarvi come il principe De Curtis non sia altro, tradotto in lingua ordinaria, che il comico napoletano Totò.
Sino a qualche tempo fa, egli era soltanto marchese. Fatte però le debite ricerche alla Consulta, in base a documenti di cui nessun esperto in araldica oserà contestare nè l’autenticità nè la consistenza, il marchesato si è convertito in principato, anzi in principato del sangue; per cui a Totò tocca adesso nè più nè meno che il titolo di altezza. «A prescindere — come egli direbbe in palcoscenico, tra una allungatura di collo e una slogatura di mascelle — «a prescindere» dalla modestia personale, che obbliga l’eccellente attore a schermirsi, in presenza d’estranei, ogni qual volta un cameriere o un compagno di scena lo chiama a quel modo, il suo diritto è incontestabile.
Sarà adesso tanto spietato, il generale Nobile, da volerglielo impedire? Per modesto che sia, Totò vive di quel titolo, anzi di quei titoli gentilizi. Toglietegli il principato, toglietegli il marchesato, toglietegli magari il «de» lasciandogli quel tapinello di Curtis sui biglietti da visita: sarebbe un uomo finito. Gli ho detto, per consolarlo, che in ogni caso gli sarebbe rimasta la gloria: tanto de Musset che de Chénier, allora che furono consacrati artisti, non vollero più saperne della particola nobiliare. Sua altezza mi ha guardato, un po’ di sbieco, e poi mi ha detto che volevo adularlo.
Per la verità non era nelle mie intenzioni. Ma può anche darsi che, senza volerlo, nel paragone mi sia capitato di esagerare.
«Gazzetta Sera», 3 aprile 1947
Il comico Totò distribuisce croci
Un sarto torinese nominato cavaliere dal "porfirogenito della stirpe costantiniana dei Griffo Focas"
Ognuno ha la sua croce e, si sa, deve portarla con pazienza e rassegnazione. C'è, invece, chi può dare le proprie croci ad altri con gesto grandioso: e sono i maestri degli ordini cavallereschi. Ora, tra i molti ordini, quasi ignorati primo che la repubblica eliminasse quello della Corona d'Italia, ve ne è uno — quello del "Sacro Militare Angelico Ordine Costantiniano" — assai curioso per la persona ohe ne detiene in pugno le sorti e le chiavi: S. A. S. Antonio De Curtis, o più semplicemente Totò, come è conosciuto in italia e fuori. Bono note le vicende per cui il notissimo comico pud oggi fregiarsi di tanti titoli, dopo accurate e serie ricerche nello albero genealogico della sua famiglia.
[...]
Tale ventura è toccata a un sarto torinese, parmense di nascita, che da trent'anni conosce e veste Totò il quale, in una foto con dedica lo chiama "mago" (dei vestiti però, tanto per intenderci); egli è stato creato "cavaliere di grazia". La commenda invece è toccata al direttore del Carignano, caro amico di tutti gli attori (e dei portoghesi). Le pergamene dell'investitura (regolarmente bollate da un notaio di Milano, per l'autenticazione della firma) recano ul centro in alto lo stemma degli imperatori di Bisanzio con il motto che Costantino vide scritto in cielo: "In hoc signo vinces". In calce è la firma "Antonio", preceduta da una croce come usano i prelati. Il perchè di questo segno appare misterioso. A meno che Totò non si consideri — e non del tutto a torto — il "pontefice massimo" della risata!
«Nuova Stampa Sera», 11 agosto 1948
don Marzio, «Il Nostro Tempo», 2 luglio 1949
1950-1959
Totò e la nobiltà: articoli dal 1950 al 1959
L'impero di Totò nacque a Ponte Milvio
Firmamento Totò
Il Senato minaccia i Cavalieri di Totò
Totò non discende da Costantino il Grande?
Totò in lotta con un gruppo di nobili
Totò conferma di essere Principe e querela chiunque lo metta in dubbio
Totò querela un giornale che negava la sua nobiltà
Marziano II contro Totò
Totò cerca maschio
Spassosa guerra fredda fra Totò e la «Casa di Bisanzio»
Il popolare attore Totò è di origine imperiale?
La discendenza imperiale di Totò confermata dai magistrati romani
Archiviati dalla magistratura romana gli «esposti» contro Totò
Sua Altezza Totò I
Totò e la nobiltà: la casta è casta e va sì rispettata...
Condannato alle spese Marziano di Lavarello. Nuova disputa in tribunale per la «guerra fredda di Bisanzio»
Marziano II Lavarello, Imperatore di Bisanzio?
Totò parla napoletano anche a Monaco Principato
La rivale di Totò
Una bionda diciannovenne contende l'impero a Totò
Una ragazza è la nuova pretendente del trono di Bisanzio
Marziano II di Bisanzio denunciato all'A.G. dall'araldista di Totò, conte Luciano Pelliccioni di Poli
Anche una ragazza vuole il trono di Bisanzio
Processo e condanna di Marziano di Lavarello ed i suoi consulenti
Forse anche un papa fra gli antenati di Totò
Il passato di Totò
Lo spirito di Pulcinella rivive nell'arte di Totò
Totò e le Totoate: la critica «negativa» e «distruttiva»
A Somma Vesuviana il castello di Totò
Gli telegrafarono: "sei imperatore!"
Articoli & Ritagli di stampa - Rassegna 1950
Il Patriarca me l'ha data e guai a Totò se me la tocca
Articoli & Ritagli di stampa - Rassegna 1953
Articoli & Ritagli di stampa - Rassegna 1952
Articoli & Ritagli di stampa - Rassegna 1957
Sua Altezza Totò
CARAVAGGIO, 10 gennaio 1950
Egregio Direttore,
ho letto nella sua rivista che il comico Totò ha diritto al titolo di Altezza Imperiale in qualità di discendente della più antica dinastia d'Europa. Nello stesso articolo si aggiunge che Totò avrebbe la potestà di conferire il titolo di principe, duca ecc., essendo fornito di tutte le prerogative reali. Ora con un mio amico si è discusso sul fatto che questa ultima è una prerogativa solo di sovrani regnanti, e che quindi Totò, per quanto antico possa essere il suo lignaggio, non potrebbe assolutamente non solo cedere ma neppure conferire alcun titolo di nobiltà, come è invece affermato nell’articolo. Risponde a verità questo? Desidereremmo una sua chiarificazione. La ringrazio.
Gianfranco Tartaglia
La questione è molto discussa in questo momento in Italia. Alcuni esperti sono di un avviso, altri di contraria opinione. Effettivamente, solo l sovrani regnanti usano conferire titoli e onori. Quelli in esilio se ne astengano con discrezione. Cionondimeno la loro potestà resta teoricamente intatta.
«La Settimana Incom Illustrata», 21 gennaio 1950
Totò in lotta con un gruppo di nobili
Il noto comico avrebbe usurpato cognomi e titoli che non gli spettano. Non esclusa un'azione penale
Roma, sabato sera.
E' stato presentato alla Procura detta Repubblica da parte di un noto legale, un esposto per conto di un gruppo di nobili italiani che hanno visto lesi i loro diritti dall'ordinanza del tribunale di Napoli — in data 3 febbraio 1950 — e secondo la quale il marchese Antonio De Curtis, in arte meglio conosciuto col nome di «Totò», otteneva di aggiungere ai suoi precedenti cognomi quello di Flavio Angelo Ducas Comneno di Bisanzio etc. Diventava così erede diretto di Costantino il Grande, cosa questa che però non avrebbe dato alcuna noia atte suddette famiglie nobili le quali accusano per ora Totò solo di aver usurpato cognomi che loro spettano.
[...]
Tra l'altro sarà difficile anche provare come Totò sia riuscito a riunire in una sola persona, egli stesso, i cognomi di due famiglie, i Focas e i Ducas, che, secondo gli storici e l'araldica, non furono mai parenti tra loro. [...]
«Nuova Stampa Sera», 29 aprile 1951
Totò querela un giornale che negava la sua nobiltà
Roma, 28 aprile.
Il noto attore comico Totò ha presentato querela alla Procura della Repubblica contro un giornale che parlava in tono ironico e metteva in dubbio l'autenticità dei suoi titoli nobiliari e cavallereschi; fra l'altro gli si contestava il diritto di proclamarsi l'erede diretto di Costantino il Grande. «Ho con me quattro sentenze, dico quattro sentenze del tribunale, passate tutte in giudicato — ha spiegato a chi gli chiedeva ragione del suo gesto — che mi autorizzano a portare tutti i nomi di cui mi fregio. Vi è uno stato civile che sul mio conto parla chiaro: io sono Sua Altezza imperiale il principe Focas Flavio Angelo Ducas, Comneno, De Curtis di Bisanzio Gagliardi Antonio; seno nato a Napoli nel quartiere Stella il 15 febbraio 1898 da Giuseppe ed Anna Clemente e sono stato adottato dal marchese Francesco Maria Gagliardi di Tortivesi. Inoltre chi ha ancora dei dubbi, perchè non si rivolge alla consulta araldica presso il Ministero degli Interni o presso i Cavalieri dì Malta dove, proprio pochi giorni or sono, è stato presentato l'albero genealogico, dal quale risulta come stanno effettivamente le cose e che precisa la mia diretta discendenza maschile dai cavalieri De Curtis?».
«Già qualcun altro ha tentato di darmi fastidio: ma non gli è andata bene. Nel 1945 a Napoli ebbi una vertenza giudiziaria con il principe Nicola Nomagna Paleologo, che contestava i miei buoni diritti. Vinsi la causa non solo in tribunale, ma anche in appello. Ma vi è di più: esiste un libro d'oro della nobiltà italiana. Ebbene, io sono ricordato al vo lume XXVIII a pagina 42. «Quello che mi dispiace i mi addolora soprattutto è un altro particolare, però: le insinuazioni che si fanno sul conto di mia madre. Quando nell'esposto si dice che fui iscritto all'anagrafe con il nome di mia madre perchè figlio di ignoto e che solo nel 1928 presi il nome di De Curtis che aveva sposato mia madre dichiarando che io ero figlio naturale, si sostiene il falso e lo provano tutti i miei documenti dai quali risulta che io sono figlio di Giuseppe e Anna Clemente regolarmente sposati, era una donna semplice, mia madre, questo è vero; ma nient'affatto ignorante e nessuno ha il diritto di offendere impunemente la sua memoria».
«La Stampa», 29 aprile 1951
Il principe Antonio De Curtis, noto in arte col nome di Totò, ha querelato per calunnia Guido Jurgens, Luigi Colisi-Rossi e Lavarello Lascaris Marziano. La querela è stata presentata perchè i predetti avrebbero, in concorso fra loro, con denunzie dirette alla Procura della Repubblica, incolpato Totò di falso continuato in atto pubblico, e precisamente di aver commesso degli illeciti per quanto riguarda i suoi titoli nobiliari. Allo Jurgens, inoltre, è contestato il reato di diffamazione per avere offeso la reputazione di Totò, comunicando con più persone. [...]
«Il Messaggero», 11 luglio 1952
Una giovane donna diciannovenne la studentessa universitaria Maria Teresa y Dites Lule Argundissa-Tocco, afferma che, secondo una pergamena del 1730, la sua famiglia detiene il «privilegio perpetuo » della ereditaretà della corona bizantina. E' dunque una rivale di Totò, il popolare comico Italiano. Totò, comunque ha dichiarato che in caso di restaurazione del trono di Bisanzio, egli rinuncerebbe al titolo di Imperatore per continuare a dedicarsi all'arte... Sempre cavalleresco, il nostro Totò, tanto più che di restaurazione non c’è neppure da parlarne.
«l'Unità», 18 settembre 1952
Si chiama Maria Teresa y Dites Lule Argondizza-Tocci ed è discendente, in linea femminile, della famiglia Tocci di Bisanzio che secondo una pergamena del 1730 ha ottenuto il «privilegio» perpetuo della ereditarietà alla Corona di Bisanzio, quella stessa di cui fino ad oggi era considerato legittimo pretendente il principe Antonio De Curtis, cioè Totò.
Fino ad oggi la «pretendente» non ha rivendicato il titolo in altro modo che facendo pubblicare scritti sui suoi diritti soprattutto dalle pubblicazioni araldiche. Ma in auesti giorni la polemica è entrata in una fase più viva e il padre della pretendente ha avuto con Totò uno scambio di lettere su un giornale romano. Totò, del resto, si è limitato a dire che se per caso la Corona di Bisanzio potesse essere restaurata egli vi rinuncerebbe volentieri per seguitar a fare, più comodamente, l’attore. E’ previsto nei prossimi giorni un «incontro tra i pretendenti».
«Settimo Giorno», anno V, n.37, 10 settembre 1952
Rivale di Totò e del principe Lavarello
Una ragazza chiede il trono di Bisanzio
Roma, giovedì sera.
[...] La ragazza afferma di essere una discendente diretta di Sona, sposa a Ivan III il Grande, fondatore della potenza russa e costruttore del Cremlino; sua figlia sposò Don Leonardo III Tocco, di cui sopravvive il ramo cadetto, e fuggita dall'Epiro al tempo dell'invasione turca, si rifugiò In Albania. Di qui, nel 1780, i Tocci di San Cosmo Albanese riconosciuti principi del sangue, si rifugiarono In Italia: da loro discende In linea femminile — cori almeno afferma — la bella pretendente al trono di Bisanzio. Ma all'anagrafe italiana la bella fanciulla risulta molto più semplicemente col nome di Lule Argondlzza.
«Stampa Sera», 21 agosto 1952
Quali cause non si faranno se la Camera approverà l'amnistia
Colpo di spugna sulla controversia Totò-Lavarello per il trono di Bisanzio
Roma, 17 dicembre
Tra i reati ai quali si applica l'amnistia anche se la pena sancita dal codice è superiore al limite di quattro anni previsto per tutti gli altri .reati, non militari o finanziari, il Senato ha compreso la diffamazione aggravata commessa a mezzo della stampa. Se, come si ha ragione di ritenere, tale inclusione sarà approvata anche dalla Camera, due sezioni del tribunale di Roma, specializzate nei reati di diffamazione a mezzo della stampa, vedranno notevolmente alleggerito il loro lavoro, perchè un gran numero di processi in corso di definizione dovranno passare agli archivi [...]
Cosi cadrà sotto il colpo di spugna della amnistia l’annosa controversia tra il principe Antonio De Curtis, più popolarmente noto come Totò, col suo antagonista in fatto di rivendicazione di discendenze dinastiche, Marziano Lavoretto. [...]
«Gazzetta del Popolo», 18 dicembre 1953
Una denuncia di Totò contro un libraio fiorentino
Roma, 29 luglio
Il principe Antonio De Curtis, il popolare «Totò», ha presentato in questura una denuncia che riguarda un libraio fiorentino. Tempo fa la marchesa Carmela Spreti, residente a Roma vendette a un libraio fiorentino una intera libreria che aveva ereditato dal marito defunto; fra i libri si trovavano, all’insaputa della marchesa, importanti documenti che il principe De Curtis aveva consegnato, per rapporto di lavoro, al marito di lei.
Questi documenti sono costituiti da pergamene firmate in bianco dallo stesso principe De Curtis: attestati di benemerenza o di onorificenza che col suo titolo di unico discendente dell’imperiale casa di Bisanzio, Totò può conferire a suo piacimento. Sembra che il libraio fiorentino le abbia rivendute ad alcuni individui senza scrupoli che le avrebbero riempite e quindi, previo compenso, le avrebbero «cedute» ad alcuni benestanti desiderosi ai acquistare un titolo nobiliare.
«Gazzetta del Popolo», 30 luglio 1955
Diventa più difficile avere un titolo nobiliare
[...] La seconda deliberazione tende a porre precisi limiti di caratteri dinastici e di famiglia : essi non potranno essere riconosciuti se non agli ordini tradizionali di case sovrane, considerate come tali al congresso di Vienna lei 1815 o successivamente.
[...]
La terza deliberazione è stata cosi formulata: sono considerati come termini invalicabili per la documentazione delle genealogie quelli del XII secolo, in quanto qualsiasi accertamento precedente non può avere valore sicuro e obiettivo. Questo principio venne applicato nel «Libro d’oro della nobiltà italiana» di recente pubblicazione, dove furono collocati in una sezione speciale i nobili riconosciuti da tribunali e da magistrature ordinarie, come avvenne per il principe Antonio Comneno Lascaris de Curtis, in arte Totò. Secondo gli istituti araldici, la magistratura italiana, che rappresenta uno Stato agnostico, in fatto di nobiltà, non è competente a giudicare questioni dinastiche, nè un giudice, non esperto in araldica, è in grado di riconoscere l'autenticità di antichi documenti che gli si presentano. Ma si può osservare in proposito che le deliberazioni del Congresso di Madrid non possono avere una validità retroattiva per annullare decisioni prese dalla magistratura e divenute irrevocabili, come avvenne appunto nel caso dì Totò.
Arnaldo Geraldini, «Corriere della Sera», 15 novembre 1955
Domani in tribunale si dirà se Totò è veramente principe
Sarà discussa la causa per diffamazione, ma i napoletani vogliono sapere qualcosa di più preciso sulla discendenza dal trono di Bisanzio.
Orlando Mazzoni, «La Nazione», Firenze, numero 151, domenica 26 giugno 1955
Folla e clamore al processo di Totò
La causa è stata rinviata per indisposizione dell’imputato. L’improbo lavoro delle forze dell’ordine.
Napoli lunedì 27 giugno.
«Totò sei bello»:con questo grido la folla di popolani e di curiosi che stamattina si era data convegno davanti al tribunale o all’intemo di Castelcapuano... Folla inverosimile. Totò giunto con la sua “LINCOLN”. La corte ha accettato il rinvio in quanto l’avvocato Battaglia ha prodotto certificato medico. Totò è rimasto seduto tranquillo accanto al parente Gennaro. All’uscita Totò, assediato, sorridente, firmò decine di autografi, salutò tutti, ed è ripartito applaudito.
«La Nazione», Firenze, martedì 28 giugno 1955
Il popolare comico è pago di essere un «cavaliere del Sacro Romano Impero»
«Gazzetta del Popolo», 28 maggio 1957
Totò interviene nella questione del "duca" che vuol vendere il titolo
Il comico sostiene che il «predicato» attribuitosi dal Gagliardi è inesistente
Roma 11 novembre, notte.
[...] «I Gagliardi — ha dichiarato Totò — hanno un solo predicato, che è quello di Casalicchio. Nell’elenco ufficiale della nobiltà italiana non figurano invece i predicati di S. Miniato e di Brescia, ed è quindi chiaro che il caso dell’ottantenne di Sardigliano è un caso di pura e semplice omonimia».
«Corriere d'Informazione», 12 novembre 1959
Totò dichiara inesistenti i titoli messi in vendita da Goffredo Gagliardi
Secondo l'attore, che sta raccogliendo materiale per una pubblicazione sulla famiglia Gagliardi, non figurano i predicati di S. Miniato e di Brescia - Si tratterebbe di un'omonimia
[...] Totò, al secolo principe Antonio de Curtis Focas Flavio Angelo Ducas Comneno di Bisanzio Gagliardi, ha dichiarato che i Gagliardi hanno un solo predicato che è quello di Casalicchio. «Nell’elenco ufficiale della nobiltà italiana — ha precisato l’attore il quale s’interessa molto da vicino di questioni araldiche — non figurano i predicati di San Miniato e di Brescia ed è quindi chiaro che il caso dell’ottantenne di Sardigliano è un caso di pura e semplice omonimia. Questa è materia di mia competenza e mi dispiace di dover togliere le illusioni a un povero vecchio. Ma è anche una materia che mi appassiona e che rispetto e quindi dovevo intervenire anche perche ho sentito parlare di una cosa che non solo non si può vendere ma che non esiste neppure...».
Il principe De Curtis ha aggiunto infine di aver raccolto, proprio in questi giorni, il materiale che dovrà servire a una pubblicazione sulla famiglia Gagliardi il cui nome gli viene per adozione. «Per questo — ha sottolineato Totò — ho creduto opportuno di interloquire nella questione».
«Il Messaggero», 12 novembre 1959
Dal 1960 ad oggi
Totò e la nobiltà: articoli dal 1960 al 1969
Totò e la nobiltà: la casta è casta e va sì rispettata...
Marziano II Lavarello, Imperatore di Bisanzio?
Gli «arrivati»: Totò
Principi dappertutto, anche al cinema
Il principe metafisico, ovverosia Totò
Facciamo visita a Totò
Totò va in treno con la maschera antigas
Caro Totò: due giorni prima aveva girato la scena di un funerale
La scomparsa di Totò: siamo uomini o caporali?
Totò e le Totoate: la critica «negativa» e «distruttiva»
Liliana de Curtis: la vita ha dato molte coltellate alla schiena di mio padre
Totò, il comico irripetibile
Ricordo di Totò
A Somma Vesuviana il castello di Totò
Il grande Totò muore ignorato dalla critica - «Il principe straccione»
Il Patriarca me l'ha data e guai a Totò se me la tocca
Totò e la nobiltà: articoli dal 1970 al 1979
Totò e la nobiltà: la casta è casta e va sì rispettata...
Marziano II Lavarello, Imperatore di Bisanzio?
La febbre di Totò
La tardiva RIscoperta di Totò
Piangeva su ogni de Curtis
Totò e le Totoate: la critica «negativa» e «distruttiva»
Totò, il principe surrealista di Napoli
A Somma Vesuviana il castello di Totò
Totò, che piacere rivederti
Totò e la nobiltà: articoli dal 1980 al 1989
Ecco la prova che Totò era veramente principe
Totò comprò l'onore per sua madre
A Somma Vesuviana il castello di Totò
Totò, il marziano del Rione Sanità
Totò non rideva mai
Totò e le Totoate: la critica «negativa» e «distruttiva»
L'antenato che Totò non poté comprare
Marziano II Lavarello, Imperatore di Bisanzio?
Totò e la nobiltà: la casta è casta e va sì rispettata...
Totò e la nobiltà: articoli dal 1990 al 1999
Totò e la nobiltà: la casta è casta e va sì rispettata...
Marziano II Lavarello, Imperatore di Bisanzio?
Totò e le Totoate: la critica «negativa» e «distruttiva»
Totò trenta anni dopo: la rassegna stampa
A Somma Vesuviana il castello di Totò
Totò e la nobiltà: articoli dal 2000 al 2009
Totò e la nobiltà: la casta è casta e va sì rispettata...
Marziano II Lavarello, Imperatore di Bisanzio?
Totò e le Totoate: la critica «negativa» e «distruttiva»
A Somma Vesuviana il castello di Totò
Totò e la nobiltà: articoli dal 2010 al 2019
A Somma Vesuviana il castello di Totò
Totò e le Totoate: la critica «negativa» e «distruttiva»
Marziano II Lavarello, Imperatore di Bisanzio?
Totò e la nobiltà: la casta è casta e va sì rispettata...
Il marchese de Curtis racconta come l'artista ebbe il titolo di principe
Miseria e nobiltà di Totò
E' tornato apposta da Caracas, dove abita, a Somma Vesuviana, dov’è nato e dove abitano ancora la sorella e i nipoti. A 82 anni, quanti ne ha appena compiuti, il marchese Camillo de Curtis ha deciso di scrivere una storia della sua famiglia e di sgombrarla di una presunta parentela che gli fu imposta, suo malgrado, in gioventù. Quella con Antonio De Curtis, in arte Totò.
[...] Nel 1936 Antonio De Curtis, attore, ha già cominciato la scalata alla ricerca di un quarto di nobiltà. Da pochi anni porta questo cognome, essendo stato tardivamente riconosciuto dal padre Giuseppe, e ha dunque impresso nella sua storia di bambino cresciuto nei vicoli della Sanità il marchio di figlio illegittimo, il che, data l'epoca, non è peso da poco. Da qui, probabilmente — come annota Vittorio Paliotti, che ha dedicato al comico napoletano un libro «Totò, principe del sorriso», edito da Pironti) stravenduto — l'ansia di riscatto che lo induce prima a cercare un tutore d'alto lignaggio (lo trova nel '33 in un marchese, Francesco Maria Gagliardi Focas, che lo adotterà) e subito dopo una vena di sangue blu nell'ascendenza paterna.
Sarà proprio Gagliardi, vecchio amico di famiglia, ad accompagnare Totò al castello di Somma Vesuviana, perché incontri il marchese Gaspare, alla ricerca di una linea parentale di cui, fino a quel momento, nessuno ha saputo nulla. «Il nostro casato — racconta ora Camillo de Curtis — era nel punto più basso della sua parabola. Ci restava qualche terra, ma affondavamo nei debiti. Sicché l'attore entrò plebeo al castello e ne uscì con un titolo nobiliare, essendosi autonominato cugino di nostro padre e nostro zio». Ne uscì anche alleggerito di 100 lire («Un direttore di banca ne guadagnava 360 al mese») che regalò ai ragazzi, e di un contratto con cui nominò il "cugino" Gaspare, con lo stipendio di 3000 lire, amministratore della sua compagnia teatrale. Poco dopo, racconta ancora Camillo, «Totò si comprò un quadro, una crosta settecentesca, che ritraeva Gaspare de Curtis, succeduto nei 1756 al fratello Michele nel titolo di marchese. La pagò 2000 lire. E si comprò vari diplomi di cavaliere dei fratelli de Curtis». [...]
[...] Se lo storico napoletano Aldo De Gioia può sostenere: «Molte sentenze rintracciate da Totò erano datate in epoca monarchica, e con la Repubblica non valevano più. Senza contare che alcuni fascicoli all’Archivio di Stato o mancano del tutto o presentano cancellazioni sospette». Deciso a fare giustizia almeno «delle falsità che riguardano la mia famiglia», il marchese de Curtis ha contattato uno studioso di storia locale, Domenico Russo, e ha cominciato a scrivere un libro di memorie. Il titolo? Non c’è ancora. Totò suggerirebbe forse: “Miseria e nobiltà, facciamoci una risata”.
Eleonora Bertolotto, Ferruccio Fabrizio, «Repubblica», 20 ottobre 2004
Rassegna stampa: Marziano II di Lavarello contro Antonio de Curtis
Marziano II di Lavarello, rassegna stampa
Marziano II contro Totò
Condannato alle spese Marziano di Lavarello. Nuova disputa in tribunale per la «guerra fredda di Bisanzio»
Marziano II Lavarello, Imperatore di Bisanzio?
Marziano II di Bisanzio denunciato all'A.G. dall'araldista di Totò, conte Luciano Pelliccioni di Poli
Processo e condanna di Marziano di Lavarello ed i suoi consulenti
Il Patriarca me l'ha data e guai a Totò se me la tocca
Marziano di Bisanzio contro il comico Totò
Per "abuso di titoli dinastici"
Roma, giovedì sera.
La battaglia tra Marziano di Bisanzio e Totò De Curtis, si sarebbe arricchita di un nuovo episodio. Facendo seguito al suo precedente esposto al Procuratore della Repubblica, Marziano di Bisanzio avrebbe trasmesso alla medesima autorità un opuscolo à stampa edito a Milano nel novembre del 1948 e messo in vendita, al prezzo di lire 500. [...]
Questo, sempre secondo Marziano, costituirebbe la lampante dimostrazione del come Totò si fosse appropriato titoli che non gli spettavano. Inoltre Marziano dichiara che con quell'atto Totò intendeva c arrogarsi diritti dinastici a lui non spettanti ed all'evidente scopo di esercitare la grande maestranza, di un ordine cavalleresco con evidente lesione dei miei diritti familiari e dinastici».
«Nuova Stampa Sera», 24 maggio 1951
Ad Antonio de Curtis, in arte «Totò» è stato ormai definitivamente riconosciuta dall’autorità giudiziaria di Roma (che ha così implicitamente confermato quattro giudicati del Tribunale e della Corte d’Appello di Napoli), la discendenza dalla famiglia degli imperatori bizantini, con tutti i diritti, onori e titoli che a tale discendenza sono connessi, come il diritto al titolo di principe e di altezza imperiale.
Come si ricorderà, nell'aprile scorso i signori Luigi Colisi-Rossi, nella sua qualità di ministro della casa imperlale di S. M. Marziano Lavarello, e quest’ultimo, ricorsero al Magistrato romano vantando gli stessi diritti del de Curtis, affermando che la magistratura napoletana aveva commesso un errore storico-giuridico e giudicato in base a documenti falsi nell'attribuire allo stesso de Curtis i diritti nobiliari da lui affermati.[...] per cui il giudice istruttore presso il nostro Tribunale, dott. Gabriotti, con suo recente decreto — e su conforme richiesta del procuratore della Repubblica dott. Sangiorgi — ha ordinato l’archiviazione degli atti relativi al due esposti, affermando «il comportamento per lo meno deplorevole degli esponenti, che non seppero asseverare neanche genericamente, le accuse formulate contro il de Curtis». Quest’ultimo è stato assistito dall'avv. Eugenio De Simone.
«Il Messaggero», 20 settembre 1951
Totò citato in tribunale per abuso di titolo nobiliare
ROMA, 18 giugno
La «Imperial Casa di Costantinopoli» ha convocato oggi nell’elegante saletta di un grande albergo romano un ristretto numero di giornalisti per annunciare di aver iniziato un’azione a fondo contro quello che da essa viene definito come «lo scandalo Totò». Marziano II Basilaeus Lavarello Lascaris di Bisanzio, custode della corona di Bisanzio, si era degnato di dare incarico al conte Guido Jurgens, consulente araldico della sua dinastia e socio d’onore del centro costantiniano di Firenze, di illustrare ai plebei il tema «Dalla congiura di Bisanzio che provocò la fine di Niceforo Focas alla giuria del Palazzo di Giustizia». In succo, il discendente costantiniano annunciava ufficialmente di aver chiamato in sede penale il sig. Antonio De Curtis (Totò) per gli Illeciti commessi, vantandosi unico discendente di una stirpe con la quale, a dire dei promotori del plurimo colloquio, non ha alcun titolo di parentela, nemmeno nei più lontani secoli.
[....]
Ora, ha fatto rilevare il conferenziere, Totò si vanta di discendere da Niceforo Focas: ma sa egli chi era costui? Nel decimo secolo il generale della Cappadocia, Niceforo Focas era riuscito a cattivarsi le simpatie e la fiducia dell’imperatore Romano II al punto da vedersi alla sua morte nominato per testamento tutore dei figli. L’uomo, intrigante ed ambizioso, valendosi di questa tutela non solo si proclamò imperatore ma obbligò a nozze Teofania, la vedova del suo protettore. Questa parve subire supinamente l’imposizione, ma combinò una congiura di palazzo che scannò l’usurpatore rimettendo le faccende sul loro giusto binario. Dicono le istorie che il Focas mori in tal modo senza discendenti.
Come può oggi Totò asserire di discendere da questo signore che non ebbe mai figli, nè fu mai legittimo sovrano? «Come Niceforo lasciò le penne per una congiura di palazzo, Totò lascierà le penne per una sentenza di palazzo (di giustizia)» ha asserito stasera il conte Guido Jurgens. Totò minaccia fuoco e fiamme contro i suoi avversari, i quali si limitano freddamente a rispondere che si arrenderanno soltanto davanti alla inoppugnabilità di autentici documenti storici. Intanto non sarebbe vano ricordare a chi lo avesse dimenticato che un articolo della nostra costituzione repubblicana asserisce testualmente: «I titoli nobiliari non sono riconosciuti. I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome. La legge regola la soppressione della consulta araldica». Quindi è stata iniziata una guerra che non avrà mai conquiste.
f. d., «La Gazzetta del Popolo», 19 giugno 1951
Totò è veramente erede del trono di Bisanzio
Le accuse di Marziano II non sono state provate e il giudice istruttore ha archiviato gli atti della causa - Una conferenza stampa in casa del comico per annunciare la vittoria
ROMA, 19 settembre
Il conflitto giudiziario tra Sua Maestà imperiale Teodoro Costantino Augusto Giulio Angelo Flavio Lavarello Lascaris, più noto come Marziano II, e Sua Altezza imperiale Antonio Porfiriogenito Angelo Flavio Comneno Ducas Griffo De Curtis, della stirpe costantiniana dei Focas, assai più conosciuto come Totò, si è finalmente concluso; il giudice istruttore presso il tribunale di Roma ha infatti ordinato l’archiviamento degli atti, riconoscendo implicitamente che le accuse mosse da Marziano II e dal suo ministro di corte Colisi Rossi devono considerarsi infondate. Le quattro sentenze della magistratura napoletana, con cui il comico Totò allungava successivamente il suo nome e diventava discendente di troni orientali, non sono state provocate da documenti apocrifi, come Marziano voleva far credere, ma rispecchiano la realtà di una discendenza provata e riprovata. Il principe De Curtis è l’unico vero erede del trono di Bisanzio.
[...]
Davanti al giudice istruttore però, gli avversari di Totò non seppero provare le loro brillanti argomentazioni, e l’«usurpatore» ha potuto riunire stasera nel salotto di casa sua giornalisti e operatori cinematografici, per annunziare, con tutto il lustro che merita, la sua vittoria. Con la riservatezza degna di un così nobile gentiluomo, il principe De Curtis non ha infierito sul soccombente Marziano II. «Non ci tengo io, a queste cose» ha premesso con molto sussiego. «Lui mi ha ” sfrugugliato ”, e io mi sono difeso». Tutto il contrasto infatti si fondava sull’equivoco tra due Focas, usurpatore l’uno, l’altro legittimo regnante. Il primo Focas fu ucciso da Eraclio, nell’anno 602 dopo Cristo. «E questo — specifica Totò — non mi riguarda per niente». Il «suo» Focas regnò invece dal 963 al 969, e morì tranquillamente nel suo letto, di morte naturale, lasciando due figli, Saturazio e Procopia, oltre un fratello, Leone, dal quale appunto discende l’attore italiano. Leone fu un eroico combattente della fede, vinse e uccise il generale bulgaro Grifo, e da allora aggiunse ai suoi vari nomi anche quello di Griffo e Grifeo. Un ramo dei Grifeo, attraverso Niceforo II, si estinse in Sicilia molti secoli fa. L’altro passò a Napoli, dove nel secolo XVI si trasformò in De Curtis, quando tale Curzio Griffo, per sfuggire alle persecuzioni politiche, falsificò in tal modo i propri documenti.
Totò conosce a menadito la catena dei propri avi, la ripete cominciando da qualsiasi punto, e la recita con l’aria sommessa di ehi sopporta, suo malgrado, il péso di tanta storia. Accetta anche con buon grado, e con un misurato sospiro le osservazioni del suo avvocato, che lo segue passo passo e lo ferma ogni volta che l’attore sta per prendere il sopravvento sull’erede di Bisanzio. «E’ stato un bel processo • declama, senza riflettere che tutto s’è mente concluso prima di cominciare. «Un conflitto potenze» aggiunge.
u. z.,«Gazzetta del Popolo», 20 settembre 1951
Il Tribunale di Roma ha sentenziato
Totò ha tutto il diritto di farsi chiamare principe
Marziano pretendente al trono di Bisanzio è stato battuto. Totò è stato riconosciuto quale l'unico discendente di Costantino il Grande
Roma, settembre
Dopo la «tregua» estiva, durante la quale tanto il principe Antonio de Curtis (Totó) che Marziano Lavarello (imperatore di Bisanzio) in lotta tra loro, avevano affilato le armi per sferrare l’ultimo attacco allo scopo di uscir vincitori dalla lunga e nota «vertenza dei titoli» c’è stato l'altro giorno il «match» davanti ai giudici che alla fine hanno respinto le denunce degli avversari di Totó e terminata così la battaglia. A darne l'annuncio è stato proprio il popolare attore, il quale, nel corso di una conferenza stampa ha esibito la copia legalizzata della sentenza del tribunale che pone fine ad ogni dubbio e fuga tutte le insinuazioni che erano state fatte durante la polemica.
[...]
Ora si è saputo il responso dei giudici, eccolo: «Il giudice istruttore presso il tribunale di Roma facendo sue le richieste del pubblico ministero, ha ordinato l'archiviazione degli atti relativi ai due esposti presentati al procuratore della Repubblica dai signori Colisi Rossi e Lavarello Marziano contro il principe Antonio de Curtis».
[...]
Con i due esposti presentati nell’aprile scorso al procuratore della Repubblica, Colisi Rossi e Marziano Lavarello insinuarono che la magistratura aveva commesso un errore storico-giuridico avendo giudicato in base a documenti falsi. Da qui la vicenda giudiziaria sulla quale il procuratore della Repubblica prima e il giudice istruttore poi, hanno portato la loro indagine sia in relazione ai diritti nobiliari del principe de Curtis, sia in relazione alla sua personalità morale nei confronti degli avversari. La vertenza è stata ora brillantemente conclusa grazie all’intervento dell'avv. Eugenio de Simone, il noto penalista che difese con successo Lydia Cirillo.
«Il Piccolo di Trieste», 21 settembre 1951
Il comico Totò ha pericolosi rivali
Ancora falsi pretendenti al titolo di imperatori di Bisanzio
Roma, 14 mattino
Nuove beghe si vanno delineando fra gli eredi, presunti o reali, dell’imperatore di Bisanzio. E’ di turno una denuncia a carico del sig. Marziano Lavarello, il quale avrebbe falsificato il proprio atto di battesimo per far risultare la propria nobiltà. La denuncia è partita dal conte Pelliccioni di Poli, noto araldista, il quale si è riferito al certificato presentato dall’interessato durante una polemica sui titoli spettantigli. Mentri infatti - allo Stato civile per il Lavarello non risulta titolo alcuno, una serie di titoli si legge sull’atto di battesimo; ma all’esame è risultato che i titoli stessi sono stati aggiunti con diversa calligrafia in epoca posteriore alla stesura nei registri.
[...]
Lo scalpore suscitato dalla denuncia deriva anche dalla recente sentenza della Cassazione in materia di titoli nobiliari, dizione che il primo uomo sbarcherà da un razzo sulla luna entro 25 anni. Entro dieci o quindici anni vi sarà una stazione nello spazio sulla quale vivranno da 80 a 100 uomini. Sarà un satellite della terrà, che si muoverà secondo un'orbita e sarà tenuto al suo posto dalla forza di gravità proprio come la luna.
[...]
«Il Piccolo della Sera», 21 settembre 1951
Oggi Totò in tribunale accusa chi non lo crede Imperatore di Bisanzio
Roma, 5 mattino
[...] Totò alcuni anni or sono dimostrò ai magistrati napoletani con documenti autentici la legittimità dei suoi titoli. Recentemente Marziano Lascari Lavarello, un giovane che dichiarava di essere lui il vero pretendente al trono di Bisanzio, denunciò Totò affermando ohe il noto comico aveva sorpreso la buona fede dei magistrati esibendo loro dei documenti falsi o apocrifi.
Mentre la Procura della Repubblica stava svolgendo le indagini su questa denuncia, Totò, senza attendere la decisione dei giudici (i quali archiviarono la pratica ritenendola non fondata) denunciò a sua volta per calunnia Marziano Lascari Lavarello, il suo segretario Luigi Colisi Rossi e Guido Jurgens, il consulente araldico della Casa di Marziano II. Qualche mese dopo fu tenuta in un salone dell’Albergo Hassler una conferenza stampa dal signor Guido Jurgens, il quale si lasciò andare ad espressioni che Totò ritenne diffamatorie. Da qui un’altra denuncia di Totò per diffamazione. A conclusione di tutto ciò, oggi, nella aula del Tribunale il noto comico si presenta. per accusare i suoi diffamatori e calunniatori Marziano Lascaris Lavarello, Luigi Colisi Rossi e Guido Jurgens, e per chiedere al Tribunale la loro condanna.
«Il Piccolo di Trieste», 5 dicembre 1952
Totò difende il suo titolo di discendente della stirpe dei Focas
Roma 5 dicembre, notte.
[...] Oggi Totò si è presentato in Tribunale per sostenere la sua azione contro gli autori della denunzia; l'artista, in cappotto grigio, non ha potuto assistere all'interrogatorio degli imputati da lui querelati; circondato da una piccola folla, è restato negli ambulacri del tribunale in attesa di poter deporre; ogni tanto si passava la mano sui piccoli baffi che si è lasciato crescere.
Marziano Lavarello, il pretendente alla discendenza costantiniana, non era presente al giudizio. Hanno risposto per lui alle contestazioni del giudici e della parte civile, rappresentata dall'avv. Eugenio De Simone, Luigi Colisi Rossi e Guido Jurgens
[...]
Il presidente ha Invece deciso di rinviare la causa al 20 dicembre.
A. Ge., «Corriere della Sera», 6 dicembre 1952
Totò di nuovo in tribunale per il trono di Bisanzio
Roma, 5 dicembre
Forte delle sentenze ormai numerose che gli riconoscono non solo il titolo di principe ma anche la legittima discendenza dell’ultimo imperatore di Bisanzio, Antonio De Curtis, il popolare comico Totò, difende in tribunale i suoi titoli nobiliari, che questa volta gli sono contestati da un altro pretendente al medesimo trono bizantino e cioè da Marziano Lascaris Lavarello, che vanta un eguale numero di sentenze a lui favorevoli. La singolare controversia ha richiamato stamane nell’aula della X sezione penale del tribunale un folto pubblico di curiosi e di ammiratori del querelante. Totò indossava un soprabito grigio; non era invece presente il suo rivale Lavarello, che ha giustificato la sua assenza con un certificato medico. Altri due querelati sono il « cancelliere » della corte di Marziano, Luigi Colisi Rossi e il dott. Guido Jurgens, consigliere araldico della medesima, Questi ultimi due sono, insieme al Lavarello, i firmatari di un esposto inviato alla procura della Repubblica nel quale si affermava che il principe De Curtis non aveva alcun titolo per proclamarsi unico dell’imperatore di si aggiungeva che titolo per discendente Bisanzio e se una sen- tenza della Corte d’appello di Napoli gli ha riconosciuto tale diritto, ciò doveva essere avvenuto perchè la magistratura partenopea era stata tratta in inganno con documenti falsi o apocrifi. Di qui la querela di Totò.
Respinta una richiesta di rinvio del processo e risolti alcuni incidenti preliminari, si è passato all’interrogatorio dei due imputati presenti. Il Colisi Rossi ha detto: « A me però consta che quattro sentenze affermano che la discendenza dell’imperatore dì Bisanzio spetta al principe De Curtis, altrettante fanno fede che invece spetta al principe Marziano Lascaris Lavarello. In questa situazione io sono ritenuto autorizzato a formulare Tipotesi, perchè solo di un’ipotesi si tratta e non di una affermazione, che qualcuno abbia tratto in inganno il magistrato. Comunque io non contesto il buon diritto del De Curtis, gli contesto solo la pretesa di arrogarsi il titolo di ’’ unico ” discendente imperiale, dal momento che tale discendenza si è effettuata attraverso vari rami ». L’altro imputato dott. Jurgens ha a sua volta chiarito alcuni punti di una conferenza stampa da lui tenuta in un albergo cittadino e per la quale è stata elevata a carico dei querelati anche la imputazione di diffamazione.
Data l’ora tarda Totò non ha potuto rendere il suo interrogatorio come parte lesa, ciò che farà nell’udienza del 20, alla quale il processo è stato rinviato.
«Gazzetta del Popolo», 6 dicembre 1952
Alla conquista di un trono deserto - Totò rivendica in Tribunale la sua regale discendenza
Il popolare attore ha citato Marziano Lavarello pretendente alla discendenza imperiale bizantina e che accusò Niceforo II della stirpe dei Focas di essere un usurpatore
Il principe Antonio De Curtls, in arte Totò, è salito ieri sera sulla pedana del Tribunale per ribadire le sue accuse di calunnia contro Marziano Lavarello, pretendente alla discendenza Imperlale bizantina attribuita dalla magistratura al popolare artista, contro Luigi Colisi Rossi, segretario di Lavarello, ed il suo consulente araldico Guido Jurgens.
[...]
Totò, presentandosi al Tribunale in cappotto, bleu, cravatta rossa, anello con grossa pietra al dito, portava sotto il braccio una specie di album azzurro pieno di iscrizioni e di stemmi con aquile, draghi volanti, lune.
«Da questo documento rileverete — ha detto con una certa solennità — la mia iscrizione al libro d'oro della nobiltà italiana. Si tratta, come lor signori sanno, di un atto pubblico. I miei quattro quarti di nobiltà sono in regola; fin da quando, nel 1733, Carlo VI fece nobile dei Sacro Romano Impero e marchese un mio antenato, la mia famiglia potè considerarsi ricollegata alla stirpe di Bisanzio».
Il volume azzurro, pieno di fregi d oro, è stato esaminato dal Presidente del Tribunale. Marziano Lavarello, il principale imputato, non era presente. L’aula era gremita di signore. L'attrice Franca Faldini, fidanzata di Totò, in pelliccia di astrakan, si era assicurata uno del posti migliori.
[...]
Il seguito della causa si avrà il 10 gennaio 1953.
Arnaldo Geraldini, «Il Messaggero», 21 dicembre 1952
Un terzo pretendente al trono di Bisanzio
Roma, 10 gennaio
Le vicende del trono di Bisanzio. che sono al fondo della querela sporta dal principe Antonio De Curtis, più noto come Totò. contro il principe Marziano II Lavarello Lascaris, minacciano di complicarsi per la comparsa di un terza pretendente. Ripreso infatti stamane il processo dinanzi la XI sezione del Tribunale, è venuto sulla pedana in qualità di testimonio il principe Vittorio Sammartino di Valperga dei Lascaris di Ventimiglie, indotto a discarico degli imputati, che sono Luigi Colisi Rossi, Gran Cancelliere della casa imperiale di Marziano II, e il sig. Guido Jurgens. consigliere araldico della medesima, ai quali si contesta di aver diffamato il De Curtis in occasione di una conferenza stampa tenuta in un albergo cittadino. Il giovane principe Sammartino di Valperga ha dichiarato di aver assistito a tale conferenza stampa e di averne riportato l’impressione che lo Jurgens non abbia affermato alcun che di offensivo per il De Curtis. « Era, la sua, una tesi storica — egli ha aggiunto — che come tale non poteva avere per conseguenza che il principe De Curtis debba essere considerato un usurpatore; del resto non mi si può accusare di essere un fautore del Lavarello perchè tra noi due c’è un’antica rivalità. Io solo sono un Lascaris e presto avremo una causa ».
[...]
«Gazzetta del Popolo», 11 gennaio 1953
Litigi fra gli eredi di Bisanzio
Il nobile Totò di nuovo in Tribunale
Roma, 15
«La mattina del diciannove febbraio 1898 una donna si presentava all’ Anagrafe di Napoli, dichiarando di chiamarsi Anna Clemente e di voler denunciare la nascita di un figlio al quale aveva imposto il nome di Antonio. La donna disse anche di non saper scrivere il proprio nome e per lei il fratello vergò la firma alla denuncia. «Da quel momento l’attuale pretendente al trono di Bisanzio, Antonio de Curtis, meglio conosciuto come Totò, entrava a far parte dei possessori di un cartellino anagrafico, che nel futuro molti cambiamenti e trasformazioni doveva subire. Io sono in possesso di una copia fotografica di quell’atto di nascita. Totò non è nato quindi nel 1902 — come va dichiarando — ma quattro anni prima». Questo dichiara ad alta voce, davanti ad un folto pubblico, colui che si dichiara il principe Marziano II Lascaris Lavarello (nonché Teodoro, Costantino, Augusto, Giulio, Angelo, Flavio).
[...]
Egli dichiara di aver scoperto il vero certificato di nascita di Totò: afferma inoltre di aver saputo che la madre del suo rivale sposò a quarant’anni, nel 1921, Giuseppe de Curtis, che solo otto anni dopo diede il suo nome all’allora ormai trentenne Antonio. Il riconoscimento del figlio avvenne da parte di Giuseppe de Curtis con atto rogato in Napoli dal notaio Greco e recante il numero 9/81928.
Fino all’età di trent’anni dunque, afferma Marziano, Totò ignorava le nobili origini del suo acquisito padre, origini che — come risultò — risalgono ad un decreto emesso nel 1860 da Francesco II, il popolare «Franceschiello». Per un puro caso (avendo appreso che Giuseppe de Curtis aveva esibito la documentazione delle sue nobili origini al Tribunale di Avezzano nel 1914 per difendersi dall’imputazione di correità in truffa e abuso di titoli) Totò entrò nell'ordine di idee di entrare a far parte dei titolati, e piano piano, spulciando albi genealogici, incartamenti aulici, rari incunaboli e popolaresche enciclopedie, giunse a dimostrare la sua discendenza dall’Imperatore Costantino di assai remota, per quanto ottima memoria.
«Il Piccolo di Trieste», 16 gennaio 1953
Pallidissimo Totò in tribunale
Eh già, è sorto qualche altro pretendente al trono di Bisanzio e i tribunali devono occuparsi. Totò si difende...Sangue blu, che nostalgia! Io, vi parrò plebeo, ma quando vedo sui cartelloni cinematografici quel viso beffardo nella corona di donnine procaci, penso che Darwin ha sbagliato direzione: non è l'uomo venuto dalla scimmia, ma è l'uomo che va verso... la scimmia. (E mi scusino le scimmie se manco di rispetto!)
«L'Unione Monregalese», 17 gennaio 1953
Troppi gli eredi di Costantino
Totò e il «re di Bisanzio» davanti al Tribunale di Roma
Roma, 19 mattino
Antonio Angelo Flavio Comneno Lascaris de Curtis, alias Totò, ha avuto la sua grande soddisfazione: vedere il suo avversario — colui che più di ogni altro in questi ultimi anni gli ha dato fastidio — Marziano Lavarello, pretendente alla discendenza imperiale di Bisanzio in un’aula del tribunale in qualità di imputato. Sino ad oggi per tutte le udienze di questo processo determinato dalla querela per diffamazione e dalla denuncia per calunnia contro i suoi avversari Marziano Lavoretto aveva preferito starsene a casa. Questa volta, però, è dovuto venire: c’era pericolo che lo andassero a cercare i carabinieri. E s’è presentato con una certa aria disinvolta e sicura di sè: elegante con una raffinatezza persino eccessiva, giovane avrà sì e no 26 anni), colorito, molto, persino troppo colorito con delle sopracciglia in verità un po’ troppo regolari, con un bel ciuffo di capelli biondi sulla fronte: insomma un vero «dandy», Totò, se lo è guardato bene bene, ed ha aspettato che parlasse.
E Lavarello ha parlato. Conclusione: lo hanno incriminato anche per diffamazione estendendo a lui e al cancelliere della sua casa, Luigi Colisi Rossi, la imputazione che riguardava solamente il consulente araldico Guido Jurgens. S’è trovato di fronte ad una specie di insurrezione di palazzo: il suo «cancelliere», infatti, Luigi Colisi Rossi, ad un certo momento è intervenuto nell’interrogatorio di Marziano II ed ha spiegato ai giudici che fu proprio il signor Lavarello a stendere le minute degli esposti inviati atta procura della Repubblica. Lavarello ha guardato con aria di sufficienza i fogli che Colisi Rossi sciorinava sul banco del tribunale e che erano le minute di quegli esposti, poi ha chiarito: «Sono dei semplici appunti per il mio consulente». E dopo qualche minuto s’è vendicato: «La conferenza stampa in cui Jurgens parlò e disse che Totò non aveva alcun diritto al titolo di principe l’ha organizzata Colisi Rossi, mio ex cancelliere». Pari e patta. E’ intervenuto il P.M. dott. Corrias che ha messo d’accordo entrambi chiedendo che sia loro estesa la imputazione di diffamazione. Totò sorrideva soddisfatto.
[...]
Un altro passo innanzi s’è fatto. Il processo è stato rinviato al 24 prossimo.
«Il Piccolo di Trieste», 19 gennaio 1953
Totò vince la «sua» causa
Condannato Marziano che aveva messo in dubbio diffamando la discendenza imperiale del principe de Curtis
Roma, 27 mattino
Antonio de Curtis, il popolare attore comico Totò, ha vinto la causa contro Marziano Lavarello, che aveva messo in dubbio l'autenticità dei titoli principeschi e della discendenza imperiale dell’attore. Cinque anni di reclusione sono stati infatti inflitti ieri sera dal tribunale alle tre persone che Totò aveva querelato per diffamazione. Il tribunale ha ritenuto Marziano Lavarello, il suo ex «cancelliere» Luigi Colisi Rossi e il suo ex «consulente araldico» Guido Jurgens, colpevoli di calunnia e di diffamazione in danno del de Curtis, condannando i primi due a 18 mesi di reclusione ed il terzo, recidivo, a due anni. Oltre alle spese di giudizio, Lavarello, Colisi Rossi e Jurgens dovranno liquidare a Totò i danni subiti.
I tre incorsero nel reato di calunnia affermando, in alcuni esposti alla Procura della Repubblica, che il titolo del principe de Curtis non era genuino perchè ottenuto con mezzi illeciti; quanto alla diffamazione, essa si manifestò durante una conferenza-stampa tenuta in un albergo della Trinità dei Monti, allorché si affermò che era stata iniziata un’azione per dimostrare che il principato di Totò non era genuino.
L’attore aspettò che la magistratura archiviasse le denunce di Marziano e dei componenti la sua «Corte imperiale» perchè prive di elementi concreti: poi sporse contro i tre querela, concedendo ampia facoltà di prova.
«Il Piccolo di Trieste», 27 gennaio 1953
Totò ha vinto la battaglia in Tribunale
Roma, 26 gennaio
La battaglia per la corona di Bisanzio è finita questa sera alle 20.45 quando il presidente della undicesima sezione del tribunale ha letto il dispositivo della sentenza che ha condannato per calunnia e diffamazione coloro che avevano posto in dubbio che la legittima discendenza degli ultimi imperatori di Bisanzio spettasse al principe Antonio Angelo Flavo Comneno De Curtis, conosciuto col nome d'arte di «Totò».
Veramente l'avversario del De Curtis, Marziano II Lascaris Lavarello, che aveva trascinato con sè sul banco degli accusati due dignitari della sua (corte, il commendator Luigi Colisi Rossi suo gran cancelliere. e il ragionier Guido Jurgens. non aveva infirmato i titoli nobiliari di Totò e la sua imperiale discendenza ma gli contestava che è lui solo il legittimo discendente di Costantin. E su questo dato di fatto si sono battuti i difensori dei tre imputati per invocare nell’udienza d'oggi una sentenza di assoluzione per mancanza di dolo, in contrasto con le conclusioni del pubblico ministero che erano state invece per la piena colpevolezza degli imputati di cui aveva chiesto la condanna.
Alla difesa degli imputati — ha detto tra l’altro l'avv. Funaro difensore del Colisi Rossi — non interessa che Totò sia discendente degli imperatori di Bisanzio, interessa solo stabilire che egli non è l'unico che possa vantare questa discendenza. Ora il Lavarello con gli esposti alla procura della repubblica ha inteso solo di investire la magistratura delle indagini per cui la sua buona fede come quella degli altri due imputati non può essere messa in dubbio. Del resto la storia ci fornisce abbondanti esempi di pretendenti al medesimo trono: la storia di Francia in particolare. Critiche alla legittimità di una discendenza ne sono state fatte in ogni tempo; anche la Casa Savoia non ne è andata esente.
[...]
Il tribunale dopo due ore dopo due ore di permanenza in camera di consiglio ha condannato il Lavarello e il comm. Colisi Rossi a un anno e sei mesi di reclusione, il rag. Jurgens a due anni della stessa pena dichiarando tutti e tre colpevoli dei reati loro ascritti. Ha condannato inoltre i tre in solido al pagamento delle spese liquidate in L. 78 mila di cui 75 mila per onorari di parte civile salvo i danni da liquidarsi in separata sede. Totò impegnato in un film è mancato a quest’ultima
udienza
«Gazzetta del Popolo», 27 gennaio 1953
Il concorrente di Totò bollato dalla magistratura
Roma, 21 marzo
Le accuse lanciate contro il principe Antonio Angelo Flavio Commeno Lascaris De Curtis — in arte Totò — dal suo antagonista Marziano Lavarello, poggiano su un «vuoto barometrico». Questo hanno affermato i giudici nella motivazione della sentenza oggi depositata nella cancelleria dell'XI sezione penale del tribunale. con la quale, a conclusione del movimentato dibattimento svoltosi nel gennaio scorso, condannarono il Lavarello medesimo e il suo cancelliere Luigi Colisi Rossi, a 18 mesi di reclusione; e a 2 anni della stessa pena, perchè recidivo, il suo ex consulente araldico. Guido Jurgens, avendo ritenuto tre colpevoli dei reati di diffamazione e calunnia.
[...]
La sentenza afferma che l'esposto del Lavarello all'autorità giudiziaria aveva una chiara finalità e cioè far si che a carico del De Curtis fosse iniziato procedimento penale, in quanto in esso si accennava all'epoca di particolari turbamenti degli animi in cui sarebbe stata emessa la sentenza di Napoli che attribuì al De Curtis medesimo il titolo di principe; esposto in cui era anche detto testualmente: «Non si sa con quali elementi e con quale documentazione egli ha ottenuto di far risalire la sua origine ai Focas». Il magistrato giudica severamente la condotta dei tre imputati, i quali, al momento di assumere le rispettive responsabilità. cercarono di fare a scaricabarile tentando ognuno di riversare sulle spalle degli altri il peso dell’azione che invece era stata condotta concordemente. Parole particolarmente dure sono usate nella sentenza nei riguardi del Lavarello «che col suo comportamento processuale ha dato prova di una davvero poco invidiabile rettilineità di carattere e si è attribuito disinvoltamente negli atti del processo il cognome Lascaris che non risulta affatto nel suo atto di nascita».
«Dopo ciò», afferma la sentenza, «negare resistenza dell’elemento intenzionale significherebbe incoraggiare ogni delittuosa impresa del genere ai danni della libertà, della tranquillità e della reputazione del cittadino». Secondo i giudici, le cause determinanti della rabbiosa campagna condotta contro il De Curtis dal Lavarello vanno ricercate nella creazione di un ordine costantiniano della dinastia dei Focas e nell'assunzione della «Gran Maestranza» da parte del De Curtis mentre il Lavarello sosteneva che l’istituzione cavalleresca fosse un patrimonio suo personale.
«Gazzetta del Popolo», 22 marzo 1953
Alla Corte d'Appello di Roma - Il principe Totò difende il suo titolo
Il popolare comico in aula contornato d'ammiratrici. I giudici confermano la condanna dei calunniatori
Roma, 6 ottobre
Per il Principe Antonio De Curtis, più noto col nome di arte di «Totò», la battaglia per la difesa del titolo nobiliare e della sua discendenza dal ceppo costantiniano si è fatta più serrata dinanzi ai giudici di appello — al cui esame la singolare vicenda è stata portata nell’udienza di stamane — di quello che non fu nel primo grado di giudizio, come hanno rivelato le prime scaramucce in sede preliminare, che hanno subito movimentato le acque.
Dinanzi al tribunale «Totò» aveva addirittura sbaragliato i suoi avversari nelle persone del suo antagonista per antonomasia Marziano Lavarello, del «cancelliere» Luigi Colisi Rossi e di costui del «consulente araldico» Guido Jurgens, ottenendo la condanna dei primi due a 18 mesi di reclusione e del terzo a 2 anni della stessa pena, perchè recidivo. I tre erano stati rinviati a giudizio per rispondere dei reati di calunnia e diffamazione per aver affermato, in esposti inviati alla procura della Repubblica, che il titolo di principe attribuito al De Curtis nel 1946 dal tribunale di Napoli era stato ottenuto con mezzi illeciti il che era stato poi ribadito in una conferenza stampa tenuta in un albergo della capitale, nel corso della quale fu affermato e scritto, in una velina distribuita ai giornalisti, che era stata iniziata un’azione penale per dimostrare che il principato di «Totò», con tutti i titoli annessi e connessi non era genuino.
[...]
La curiosità del dibattito ha richiamato nell'aula della Corte d'appello un pubblico d'eccezione. Attorno a «Totò» che era assistito dall'avv. Eugenio De Simone, era il solito gruppo di «fedeli» e di ammiratrici. Le prime avvisaglie hanno subito lasciato intendere che la contesa diremo dinastica per la discendenza costantiniana si riaccendeva più vivace di prima. Il prof. Carnelutti infatti, oltre che chiedere, in sede preliminare, una parziale rinnovazione del dibattimento con la ammissione di nuovi testi, ha formulato dubbi sulla validità dei titoli che il De Curtis si attribuisce in base a sentenze della magistratura partenopea, di cui anzi ha chiesto che fossero acquisiti gli originali. Il patrono di «Totò» ha risposto che, a tagliare corto sulla disputa circa la validità delle sentenze pronunciate dal tribunale di Napoli nel '46, basta un decreto, di cui ha esibito copia, del 1° marzo 1950 in cui il tribunale civile di Napoli ordina all’ufficiale di stato civile la rettifica del certificato di nascita di Antonio De Curtis, qualificandolo come «altezza imperiale».
La discussione è seguita nel pomeriggio e vi hanno partecipato l’avv. Battaglia per lo Jurgens, gli avv. Funaro e D’Agostino per il Colisi Rossi, il prof. Carnelutti e l'avv. Ameta per il Lavarello. La Corte, dopo che la parte civile e il Proc. generale avevano controbattuto le argomentazioni della difesa, ha confermato in pieno la sentenza dei tribunale condannando gli imputati alle maggiori spese. La causa avrà il suo epilogo in Cassazione.
«Gazzetta del Popolo», 7 ottobre 1953
Confermata la condanna ai calunniatori di Totò
Affermarono che il titolo di principe de Curtis non era genuino
Roma 3 dicembre, notte.
Le condanne inflitte alle tre persone, che, nel giugno 1951, misero in dubbio la discendenza imperiale del principe Antonio Angelo Flavio Comneno Lascaris de Curtis, in arte Totò, incorrendo nel reato di calunnia, sono divenute definitive. La Suprema Corte di cassazione ha respinto, per quanto riguarda codesto reato, i ricorsi proposti da Marzano Lavarello, dal suo «cancelliere» Luigi Colisi-Rossi e dal suo ex consulente araldico Guido Jurgens, i quali in un esposto alla Procura della Repubblica affermarono che il titolo del principe De Curtis non era genuino perchè ottenuto con mezzi illeciti.
[...] Per questo secondo reato la Cassazione ha ritenuto di applicare l’amnistia dello scorso Natale.
«Corriere della Sera», 4 dicembre 1953
Nonostante le sentenze giudiziarie a favore del principe de Curtis circa il riconoscimento di legittimità di appartenenza al trono di Bisanzio ai danni di Marziano Lascaris Lavarello, quest'ultimo si fa incoronare imperatore in una sfarzosa, suggestiva e folcloristica cerimonia. Interessante l'articolo pubblicato sul settimanale "Le Ore" del 1 dicembre 1956 dal titolo «Il patriarca me l'ha data e guai a Totò se me la tocca»
Marziano Lascaris Lavarello all'offensiva
L'avversario di Totò si incorona imperatore
Una fastosa cerimonia in una chiesa metodista. Si attende ora la reazione del principe de Curtis, che la magistratura ha ritenuto il legittimo erede del trono di Bisanzio.
Roma, mercoledì sera.
Marziano Lascaris Lavarello, [...] si è fatto Incoronare imperatore nel corso di una fastosa cerimonia svoltasi domenica pomeriggio nella chiesa evangelica metodista di via XX Settembre. Per l'occasione, Marziano Lascaris Lavarello vestiva un abito regale, in testa aveva una splendida corona, e mentre nella mano destra teneva lo scettro, con la sinistra reggeva una palla raffigurante il mondo. Un pubblico numeroso e sceltissimo assisteva al rito. Il pretendente all'impero sedeva in trono (una grande poltrona dai molti fregi dorati e ricoperta di damasco color vermiglione); accanto a lui sedevano i «fedelissimi» con emblemi e stendardi e l'imperatrice madre che indossava un magnifico ermellino.
Officiava un pastore metodista che aveva gentilmente accondisceso a venire da Parigi. La notizia dell'incoronazione è stata per tre giorni mantenuta scrupolosamente segreta, ma ora che è stata ugualmente conosciuta è logico chiedersi quale sarà la reazione del popolare comico Totò, o. meglio del principe Antonio De Curtis, che la magistratura ha ritenuto essere 11 legittimo erede del trono dell'antica Bisanzio.
«Stampa Sera», 21-22 novembre 1956
Come fu incoronato il rivale di Totò
Roma, giovedì sera
Le prime reazioni all'incoronazione di Marziano Lascaris Lavarello a imperatore di Bisanzio non sono state del principe Antonio De Curtis, in arte Totò, [...], bensì del signor Mario Sbaffi, pastore della chiesa metodista di Roma, nel cui tempio di via XX Settembre si è svolta la cerimonia
Il signor Sbaffi ha infatti dichiarato che il «venerabile» che ha proceduto al rito — non quindi un pastore metodista venuto appositamente da Parigi — ha ottenuto l'uso del tempio con l'inganno, essendosi presentato come vescovo di una chiesa appartenente al movimento ecumenico e chiedendo di poter celebrare, trovandosi di passaggio a Roma, un semplice «culto» per un gruppo di amici residenti nella capitale. «E' evidente — ha aggiunto il pastore della chiesa metodista — che se avesse menomamente accennato al rito che intendeva compiere, la chiesa metodista — per il proprio de coro — si sarebbe rifiutata di prestargli benevolmente il proprio tempio».
«Stampa Sera», 22-23 novembre 1956
A chi spetta il titolo di Imperatore di Bisanzio?
Lettere del principe S. Martino al Pontefice e a Gronchi
L’annosa questione relativa a chi possa, con pieno diritto, fregiarsi del titolo di Imperatore di Bisanzio, che pareva risolta col riconoscimento, da parto del Tribunale, al principe Antonio De Curtis, meglio noto col nome d’arte di Totò, di aggiungere al propri cognomi anche quello che gli permette di proclamarsi l'ultimo discendente degli imperatori di Bisanzio, minaccia di avere altri strascichi. Contro la recente messa in scena, in una chiesa metodista romana, della cerimonia dell'incoronazione di Marziano II a «Imperatore di Bisanzio» da parte del pittore Marziano Lavarello, é insorto non solo il De Curtis, ma anche il principe e conte del Canavese, Vittorio Emanuele di San Martino Valperga Làscaris Ventimlglia.
[...]
Quale azione immediata, il principe di San Martino ha intanto indirizzato al Pontefice e al Presidente della Repubblica due lettere in cui, «quale erede legittimo di Casa Làscarls e come cittadino italiano e studioso di storia», protesta vibratamente per l’assurda «incoronazione» del pittore Lavarello, che ha offeso, oltre che la sua famiglia, anche l’Italia e la Chiesa cattolica. Alla riunione sono intervenute anche personalità dell’aristocrazia.
«Corriere della Sera», 5 dicembre 1956
Marziano II rivendica la proprietà della Serbia
Nel corso di un originale ricevimento offerto in occasione del terzo anniversario della sua consacrazione e incoronazione a duecentesimo nono Imperatore dei romani, il trentottenne Marziano II ha annunciato l'altra sera la sua decisione di rivendicare la Serbia. Agli invitati che affollavano il salone dei ricevimenti, Marziano II ha mostrato un volume rilegato in pelle rossa, formato da 167 cartelle dattiloscritte e che e la copia autentica della mozione che ieri l’altro egli ha ratificato e inviato per «corriere civile ordinario» — cioè per raccomandata con ricevuta di ritorno del costo di lire 260 — all'Alta Corte di giustizia internazionale dell'Aja.
[....]
Sulla base delle norme del diritto internazionale, Marziano II sostiene di poter rivendicare i beni patrimoniali dei propri parenti e discendenti e cioè di Anna Milano Visconti vedova Cesarina Nemanitè Palaiologas di Serbia, moglie di Nicola Nemagna, residente a Napoli, e del principe Sergio Romanowsky, duca di Leuchtenberg, figlio della principessa Anastasia Petrovich Niegas.
«Il Messaggero», 20 novembre 1959
Marziano Lavarello, noto per aver subito anni orsono un processo per calunnia promosso contro di lui dall'attore Totò, è stato rinviato a giudizio per sostituzione di persona, in seguito a denuncia della nobildonna napoletana Anna Milano, vedova Nemagna Paleologo, assistita dall’avvocato Eugenio De Simone. Secondo l'accusa, Marziano Lavarello avrebbe indotto in errore la signora Milano ed il notaio romano dottor Salvatore Albano, attribuendosi il falso nome di Marziano II Lascaris Paleologo ed il falso stato di «Basileus» di Costantinopoli. I fatti risalgono alla primavera del 1959, allorché Marziano Lavarello si presentò a Napoli in casa della signora Milano e le disse di essere un cugino del di lei defunto marito.
[...]
Successivamente, il Lavarello conferì una procura di ministro plenipotenziario presso la Corte internazionale dell’Ala a tale Carlos D'Ambrosiis, perchè tutelasse le proprie ragioni e quelle della signora Milano presso la Corte dell'Ala. Marziano Lavarello firmò l'atto di procura con la dizione « Marziano II Lavarello Lascaris Paleologo. Basileo di Costantinopoli ». Tale firma fu, poi, autenticata, per errore, dal notaio romano dottor Albano, che non si accorse della falsità delle generalità. Di qui la denuncia per sostituzione di persona, l'istruttoria ed il rinvio a giudizio dinanzi alla terza Sezione del Tribunale di Roma dove presto «Marziano II» comparirà in veste di imputato.
«Il Messaggero», 15 luglio 1962
Si era attribuito il titolo che spetta all'attore Totò
Roma 29 dicembre, notte.
Il pretore dottor Scutari, della prima sezione penale, ha condannato a tre mesi di reclusione. senza i benefìci di legge perchè recidivo, Marziano Lavarello, ritenuto colpevole di falsa identità personale. Secondo l’accusa. Lavarello, in un documento, si era attribuito, tra l'altro, il nome di Lascaris, che spetta al principe Antonio De Curtis, in arte Totò, e che dimostra la discendenza dell'artista da un imperatore di Bisanzio.
Nell'aprile del 1959, Lavarello si presentò alla signora Anna Milano, vedova di Nicola Memagna Paleologo, discendente da un’antica dinastia bizantina e imparentata col ramo degli Obranovich. che regnarono in Grecia e che al momento della loro esautorazione si videro confiscare il loro ingente patrimonio: Lavarello. dicendosi cugino del defunto, si fece consegnare dalla signora alcuni documenti per intraprendere una causa dinanzi alla corte internazionale di giustizia dell’Aja al fine di rientrare in possesso dei beni degli Obranovich.
[...]
«La Stampa», 30 dicembre 1964
Riferimenti e bibliografie:
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- La Stampa
- Stampa Sera
- Nuova Stampa Sera
- Il Messaggero
- Corriere della Sera
- Corriere d'Informazione
- Gazzetta del Popolo
- Il Piccolo di Trieste
- L'Unione Monregalese
- Il Piccolo della Sera
- Il Giornale dell'Emilia
- La Settimana Incom Illustrata
- Repubblica
- La Nazione
- Settimo Giorno
- L'Avanti
- Tempo
- l'Unità