«Bada che ti mangio»: muro del pianto tra le quinte dopo la "prima" di Totò
Il debutto di Totò a Milano era stato preso molto seriamente. Quattro rinvii, una preparazione pubblicitaria eccezionale, l'annuncio di quadri fantastici e di cifre da far venire il capogiro. Le sole fontane luminose, fatte fabbricare a Milano su un'idea copiata in Spagna, costavano oltre 4 milioni. I bagarini facevano aumentare il costo delle poltrone e i ritardatari correvano il rischio di vendere indumenti personali se dovevano accontentare le richieste della borea nera.
La sera della i prima, la Celere era schierata davanti al teatro Nuovo e lasciava passare il cordone steso agli ingressi solo a chi già possedesse il biglietto, acquistato praticamente 15 giorni prima. Paone distribuì alle signore presenti un giocattoletto racchiuso in cellophane: era un Totò minuscolo che muoveva la manina destra in un suo tipico gesto marionettistico. E qualcuno ha osservato, alla fine, che se S.M. Totò si era presentato nei primi quadri con una sicurezza superiore e regale, finì poi, nel secondo tempo, per farsi piccino quasi quanto il giocattolo di Paone. Diciamo subito che, in tema di coreografie e di eleganza, di scene e di costumi, la rivista di Totò supera in molti punti qualsiasi altra apparsa sinora sulle nostre scene: ma il copione è meglio dimenticarlo. Evidentissimi sono gli squilibri tra i quadri fantastici delle coreografie e gli sketch di una palese povertà e l'estro dei balli ha spesso cozzato contro la scarsa vena del copione.
Dietro le quinte, le alternative del debutto avevano provocato un terribile senso di ansia, dopo una tensione di nervi che durava da un mese: Galdieri, dopo i primi fischi, se ne era andato più per avvilimento che per mancanza di coraggio; Totò imprecava ogni qualvolta doveva uscire in scena e non ritrovava il suo umore adatto a far sbellicare dalle risa la platea; Castellani aveva le mani nei capelli della parrucca. Ma la vera crisi si sviluppò infine, con accenti un po' drammatici e un po' umoristici, tra le artiste della compagnia, le quali offrirono un altro commosso spettacolo nel retroscena. Calato il sipario, la Giusti era forse la meno abbattuta, ma strillava per come era andata: « Un copione migliore e sarebbe venuto il più grande successo di questi ultimi tempi! »
La Barzizza colava lacrime nere per via del trucco, a pena consolata da e Tatina, la giovane e avvenente mamma che da due notti non dormiva per starle accanto. Silva era anch'ella piangente. Ma le sue lacrime non erano dovute a un fiasco: tutt'altro. Il famoso i quadro delle fontane fa apparire in controluce, davanti alla cascata luminosa dell'acqua, una donna nuda o quasi che, a mala pena illuminata, danza lentamente. Un successo sicuro! La figuretta esile doveva essere quella di Silva; all'ultimo momento, invece, fu Ginger Stuart che si slacciò íl reggiseno ed esegui la danza. E Silva, coal lei diceva fra le lacrime, fu rinchiusa a chiave nel suo camerino dall'amministratore Rosina perché non uscisse a protestare. A prescindere, si replica.
«8Otto», 31 marzo 1949
«8Otto», 31 marzo 1949 |