Il Gagà e la Signora

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Il Gagà e la Signora: ovvero la crisi dell’apparenza in cappotto doppiopetto

Corre l'anno 1938, e mentre il mondo si avvita in un turbine politico tutt’altro che frivolo, in Italia il varietà si prende la briga di stendere un gigantesco tappeto rosso ai personaggi più vacui della capitale: i gagà, creature ibride tra il dandy e il ciarlatano, epigoni sbiaditi del bel mondo che fu, e le loro equivalenti in gonnella, le gagarelle, tutte piume, profumi e poche idee.

Totò, Anna Magnani e Michele Galdieri — tre che l’aria dei caffè di Via Veneto l’avrebbero tagliata con un coltello satirico affilato come una rasoiata — decidono che è giunto il momento di offrire un piccolo omicidio teatrale, con tanto di autopsia comica, di questo costume grottesco.

Gaga L

Via Veneto, salotto o salottino d’asilo infantile?

Lo sketch è ambientato, ça va sans dire, in un caffè di Via Veneto, vero epicentro del vaniloquio con tazzina. Qui si danno appuntamento i gagà, armati di monocolo e presunzione, e le signore bene che sembrano uscite da una pubblicità dell’acqua di colonia, ma con l’intelligenza evaporata.

La “scena madre” è un duetto surreale tra un gagà, interpretato da Totò in modalità ridicolo à la page, e una signora snob, verosimilmente impersonata da Magnani con l’arguzia tagliente che solo lei sapeva modulare da diva proletaria a duchessa decaduta in 30 secondi netti. I due si parlano, o meglio, si accavallano chiacchiere come se stessero facendo un puzzle di niente. Discutono di moda, tempo atmosferico, profumi, cappelli, cavalli da parata e pettegolezzi mondani. È una conversazione che non porta da nessuna parte, se non alla demolizione comica della loro stessa inutilità sociale.

🧥 Moda e Gagà: Sartoria dell’Assurdo

I costumi, si dice, erano uno sketch nello sketch. Totò sfoggiava completi improbabili, con rever lucidi e pantaloni così stretti da sembrare un esperimento di autocompressione umana. La Magnani, invece, sfilava con cappellini improbabili e boa piumati, parodia vivente di una borghesia che voleva giocare all’aristocrazia con l’entusiasmo di chi ha letto Il Gattopardo solo fino a pagina cinque.

Le battute, al vetriolo, erano scritte da Galdieri con la precisione di un chirurgo sociale: sotto l’apparente leggerezza si nascondeva la diagnosi di un morbo ben più diffuso di quanto si pensasse — quello dell’inconsistenza esistenziale imbellettata.

🎭 Una satira mai filmata (e ci domandiamo: perché?!)

Eppure, questo sketch così geniale non arriverà mai al cinema. Misteri dell’universo o pudori della censura culturale? Probabilmente un po’ l’uno e un po’ l’altra. Forse il bersaglio era troppo riconoscibile, troppo vicino agli spettatori seduti in platea. Forse era troppo femmina, troppo feroce, troppo "Magnani", per un’Italia ancora desiderosa di crearsi miti rassicuranti invece di farsi rovesciare in faccia il suo ritratto più grottesco.

Oppure, e non è da escludere, fu il destino ingiusto di tanti capolavori dell’effimero: vivere solo tra le quinte, nei teatri della memoria, tra una risata amara e un "ma ti ricordi quando…?".

📜 Il senso profondo: chi ride di chi?

Il gagà, come lo tratteggia Totò, non è solo una macchietta: è il simbolo dell’uomo che ha sostituito la sostanza con lo stile, che parla per esserci, che si veste per sembrare, che esiste solo in relazione a uno specchio. La signora non è da meno: è il correlativo oggettivo della vanità decorativa, della donna ridotta a icona ornamentale, feticcio di un’eleganza senza pensiero.

Insieme, sono l’immagine riflessa di una società che ha paura del vuoto e perciò lo arreda. Lo sketch non è solo una caricatura: è uno schiaffo alla superficialità elevata a sistema, un varietà che smaschera le maschere.

📢 E se lo rifacessimo oggi...?

Pensateci: oggi che i caffè di Via Veneto sono popolati da influencer, manager col bluetooth all’orecchio e "coach del benessere interiore", Totò e Magnani avrebbero materiale per altri cinquanta sketch. Le gagarelle hanno Instagram, i gagà hanno podcast. Cambia il medium, non cambia il vuoto.

🖋️ In conclusione: varietà o veleno elegante?

Il gagà e la signora è una miniatura teatrale che andrebbe studiata nelle scuole, altro che La Divina Commedia. È uno sberleffo vestito da sketch, una denuncia in frac e veletta, un esercizio di comicità chirurgica che, sotto le piume e le cravatte a pois, fa a brandelli un’epoca — e la nostra — con un ghigno largo così.

E allora, come Totò avrebbe detto con quel suo sorriso che era una falce e una carezza:
"Signora, la sua intelligenza è un mistero… un mistero piccolo così."

Chapeau. O meglio: bombetta.


Il numero che diventerà celebre, e che consacra subito la coppia Totò-Magnani, è II gagà e la signora, cronaca di un grottesco abbordaggio da parte di “un giovanotto emerso dall’estrema periferia, avido di sensazioni e indubbiamente alla ricerca della Grande Avventura”, che trascina nella sua stamberga un’equivoca passeggiatrice incontrata in un bar. Il personaggio del gagà è modellato su un tipo che Totò aveva notato mesi prima a piazza Barberini e pedinato per mezza via Veneto, annotandone mentalmente la camminata ondeggiante e l’abbigliamento miserabile ma indossato con sussiego: “Calzava scarpe mal connesse ma lucidate; indossava un abito liso ma stirato; mentre una sciarpa sfrangiata di color giallo avvoltolata alla gola e un cappello serrato sotto l’ascella sinistra completavano l’abbigliamento”

Alessandro Ferraù e Eduardo Passarelli


Totò però, come raramente gli capita, non ‘sente’ il personaggio e rifiuta la giacchetta a quadri preparata dal costumista e lascia la compagnia durante le prove.


Lo sostituimmo con Mario Castellani, ma io non persi le speranze. Andammo a casa insieme continuando a discutere. A un certo punto Totò vede sull’attaccapanni la giacca del padre, una giacchetta corta, stretta, color latte. Da come rimane a fissarla capisco che il problema è risolto. La indossa: ‘Ecco’, dice, ‘mi sembro proprio il principe di Sirignano’ (un playboy di allora), e intanto si guarda allo specchio schiacciandosi con una mano i capelli pieni di brillantina: ‘Manca un paio di baffetti e sono vestito’. Il difficile fu poi convincere la Magnani ad andare in scena senza nemmeno una prova.

Elio Gigante


Il convegno amoroso fra Totò famelico gagà e Anna Magnani scalcagnata peripatetica. L’aria indecorosa e fiera che ammantava le due striminzite figure; gli spennacchietti di lei e il suo misero disdegno; i capelli di lui, dritti impeciati sulla nuca come una cresta di ferro, e la sua avvilita vanagloria; il comodino da notte in funzione di mobile-bar; il gioco del dialogo comico, intenso e disperato, che ogni sera edificava se stesso divenendo man mano una cattedrale dell’arte scenica: tutto questo, per chi ha avuto la fortuna di assistere a quell’evento, costituisce un ricordo che è premio costante, saldo perennemente in attivo di fronte a ogni possibile passivo dell’arte teatrale passata, presente e futura.

Furio Scarpelli



INTERPRETI

Signora: Anna Magnani
Gagà: Totò


(Dal centro esce la moglie seguita dal Gagà) 

SIGNORA (nervosissima) Me l’hai fatta grossa, caro Fuffi!
GAGÀ Ma io non sapevo. Del resto mi hai sempre detto di amare me solo, perché sono giovane.....
SIGNORA E già! Il marito è marito, il giovane, se è giovane, è disperato ...il ricco, se è ricco, ha il lampione e la pancetta... ah... noi povere donne, non sappiamo proprio come risolvere il problema dell’amore.
GAGÀ Non vuoi perdonarmi?... Dimentichiamo questo brutto momento. Torniamo indietro... ricordi la sera del nostro primo incontro?...
SIGNORA Già, a Via Veneto, da Rosati...
GAGÀ ...No... Rosati è già passato di moda. Fu da Venchi, di domenica mattina... Ci trovammo al banco, ricordi? SIGNORA Già... Poi uscimmo e ce ne andammo per la strada mangiando la pizzetta... Tu cercavi un Tele...
GAGÀ Cosa?
SIGNORA Ma sì... tu cercavi un tele... fono. Ma non lo sai che oggi si parla a metà?
GAGÀ Ah già... e quando lo trovai...
SIGNORA ...Era occu...
GAGÀ Come?...
SIGNORA Occu... pato... ma non te l’ho detto che oggi si parla a metà... no?
GAGÀ Già... sono tanto distratto... poi uscimmo e tu cercavi la Bici... signorina No, cercavo Caterina...
GAGÀ Ah no... la Bici... eletta... me lo hai detto tu che oggi si parla a gassogeno... cioè a metà... no?
SIGNORA Ce ne andammo per la strada mangiando la pizzetta da una lira... GAGÀ Come ti donava quella pizzetta...
SIGNORA E che fame che avevi... Ti mangiavi anche le dita...
GAGÀ Sono così distratto... Mi chiamasti Don Giovanni...
SIGNORA Mi seguisti e mi dicesti...

( Canto)

GAGÀ Signorinella pallida...
SIGNORA Vi prego, giovanotto, son signora ...
GAGÀ È meglio. Troverò la strada libera per starti accanto almeno un quarto d’ora...
SIGNORA E sia... ma un nido tiepido vogliate offrire a questa capinera...
GAGÀ Ho qui la stanza con l’ingresso libero...
SIGNORA La garsonniere, ossia... « giovanottiera »! (Si apre il siparietto scoprendo una desolata camera mobiliata. Mobili sgangherati. Alla parete un quadro di Don Giovanni). Oh!... che schifezza...
GAGÀ Nel civettuolo nido dell’ebrezza voi sognerete tanto accanto a me...
SIGNORA Vorrei sognare... ma ogni tanto scrocchiano le molle del sommier... (cascano per terra)
GAGÀ Convegno riuscitissimo (si frega le mani contento)
SIGNORA Offrimi da bere qualche cosa...
GAGÀ Con gran piacere... Qui c’è il bar portatile (trascina un comodino da notte trasformato in bar). Gradite un bicchierài d’acqua acetosa?...
SIGNORA Avrei gradito un gocciolo di wisky o di liquori prelibati...
GAGÀ Ho un liquorino raro e costosissimo.
SIGNORA Ti giuro che è un autentico... Frascati! Porca miseria...
GAGÀ Gradite qualche cosa, o ninfa Egeria?... Gustate almeno due marron glacés!
SIGNORA A me le caldarroste non mi piacciono... Mangiale tutte te!
GAGÀ Quale avventura splendida...
SIGNORA Sognavo una gran casa profumata...
GAGÀ Di questi tempi, cara, è già un miracolo disporre di una stanza ammobiliata!...
SIGNORA Sognavo feste e musiche, regali, sbornie, gioia e smarrimento...
GAGÀ Lo so... Ma sognavate il tram elettrico...
SIGNORA Vatténne. Don Giovanni novecento... Più passan gli anni E più diventa racchio il dongiovanni... che generoso e gran signore fu. Mo’... questi qua... t’abboffano di chiacchiere... non c’esce niente più...

INSIEME (verso il quadro di Don Giovanni)
Ma tu? Dove sei tu?...


L’avvenimento più importante dell'attività artistica di Anna Magnani nel 1940, è l’incontro con Totò. L’attore napoletano Antonio De Curtis è già da molti anni sulle scene, dove si è guadagnato una notevole popolarità. Con la bombetta, il vecchio frac, i pantaloni a saltafosso, le scarpe sfondate che indossa sempre come una divisa, ha un enorme successo nel teatro di rivista e poi nell’avanspettacolo prima di approdare al cinema alla fine degli anni trenta. Il 25 dicembre al Teatro Quattro Fontane di Roma va in scena Quando meno te l’aspetti di Michele Galdieri. Il titolo della rivista sembra alludere a un cambiamento che le strofette della canzoncina iniziale si affrettano a confermare:

Quando meno te l'aspetti la sorte muta,
fa più dolce dei confetti la tua cicuta...
La strega arcigna che sogghigna
si trasforma nella fata più benigna...
E quando meno te la sogni
ti sorride, provvedendo ai tuoi bisogni.

La satira pungente di Galdieri prende di mira soprattutto i fatti di costume, aiutata dalla verve irresistibile di due eccezionali attori come Anna e Totò. L’autore napoletano era allora già molto noto nel mondo del teatro dove aveva cominciato giovanissimo. Il suo stile è basato su un’armonica fusione di satira, comicità e coreografia, che cura personalmente insieme alla regia degli spettacoli.

I suoi testi preoccupano spesso Leopoldo Zurlo. Il censore del Ministero della Cultura Popolare ricorda così l’incontro con l’autore: “Si presentò con un viso di adolescente sveglio e non si vedevano né le ali di pelle né la coda. Le grinfie sì, e le arrotondai qua e là. Nel titolo c’era quello che si potrebbe chiamare il colpo classico di Galdieri: non dire nulla e suggerire tutto. Si diceva che io lo trattassi meglio degli altri. Falso. La verità è che cominciai a volergli bene quando m’accorsi che rifuggiva dall’adulazione al Governo.”

La scena più famosa della rivista è quella del Gagà, interpretato da Totò, che in una sgangherata garsonnière cerca di sedurre la Gàgàrèllà Anna, moglie trascurata in cerca di svago.

“Sognavo una gran casa profumata.”
“Di questi tempi, cara, è già un miracolo disporre di una stanza ammobiliata!”
“Sognavo feste e musiche, regali, sbornie, gioia e smarrimento...”
“Lo so, ma sognavate il tram elettrico...”
“Vattene... Don Giovanni novecento... Più passan gli anni e più diventa racchio il dongiovanni... che generoso e gran signore fu.
Mo’... questi qua... t’abboffano di chiacchiere... non c’esce niente più.”


Anna Magnani nel film del 1953 «Siamo donne», diretto da Luchino Visconti interpreta lo sketch «La fioraia del Pincio», cantando il famoso stornello romano "Com'è bello fa' l'amore quann'è sera".

Nel prefinale Anna interpreta la Fioraia del Pincio, un’accorata testimonianza del tempo di guerra, piena di nostalgia per il periodo tranquillo e felice della pace. Sull’aria di Com’è bello fa’ l’amore quanno è sera, Anna inizia con: “Ah che giornata, oh. Nun se rimedia ’na lira pe’ Roma, macché se spendono le lire.” Poi canta:

Quante machine venivano la sera,
quanta gente sta affacciata a 'sta ringhiera,
quanta folla de maschiette e de gagà,
quante radio ne le machine a sonà.
Nun scendevano le coppie innamorate,
se ne stavano abbracciate a pomicià.
Er barista je portava la guantiera
co’ la bira e cor caffè che allora c’era.
Ogni Topolino me pareva ’n separé,
ogni mazzolino arimediavo lire tre.
Ce scajavo sempre specialmente coi taxi
co’ le machine Ciddì
sempre attenta ar pizzardone
che a cavallo era imponente come un re.
La terazza era ’n salotto ed ogni sera
me pareva ’na stellata bomboniera.
Mo’ la gente de la mejo società
resta a casa e gioca ar bridge o ar baccarà.
E quell’omo che puntava er canocchiale
poveraccio, puro lui mo’ sai che fa?
Nun potendo arimedià cor firmamento
resta a casa e s’accarezza lo strumento.
Ma che luna, ma che luna c’è stasera
vedo er monno che s’affaccia a ’sta ringhiera
da San Pietro all’artre cupole, laggiù
fino al mare, più lontano, sempre più.
Che m’importa se quassù non c’è nessuno,
che m’importa si nun trovo da scajà,
mo’ ’sti fiori li regalo a Roma bella
che li porti ad un sordato in sentinella!

Lo spettacolo ha un enorme successo. In giugno, mentre proseguono le repliche della rivista, Anna è impegnata negli stabilimenti della Fert a Torino in La fuggitiva di Piero Ballerini nei panni di una diva del varietà.

Matilde Hochkofler e Luca Magnani


Riferimenti e bibliografie:

  • "Quisquiglie e Pinzellacchere" (Goffredo Fofi) - Savelli Editori, 1976
  • "Siamo uomini o caporali?" (Alessandro Ferraù e Eduardo Passarelli) - Ed. Capriotti, 1952
  • Elio Gigante, "Nato per il teatro", Fiammetta Rossi, "Totò che piacere rivederti", “Radiocorriere TV”, 11 giugno 1978
  • Furio Scarpelli, "Bei tempi, il fascismo era caduto e si rideva con Totò", “La Repubblica”, 29 gennaio 1983.
  • "Anna Magnani" (Matilde Hochkofler e Luca Magnani), Bompiani/RCS Libri, 2013