Per divorziare da Anna Magnani Alessandrini vuol farsi musulmano

Anna-Magnani

Diffìcile però che Anna Magnani devota della Vergine di Velletri segua Alessandrini sulla strada dell’islam

Perugia, luglio

Il regista Goffredo Alessandrini non resterà cieco. Dopo l’incidente che gli è capitato la sera del 1° luglio al passaggio a livello di Ponte San Giovanni presso Perugia, si era temuto seriamente per i suoi occhi, soprattutto per il sinistro. Verso le nove e mezzo di quella sera Alessandrini si recava con la sua topolino-giardinetta da Bettona, dove stava girando gli ester-nel del suo film «Sangue sul sagrato», a Perugia, distante pochi chilometri. Il regista, che è un maniaco della velocità, guidava a una velocità, secondo lui ridottissima (sui settanta chilometri), quando al passaggio a livello di Ponte San Giovanni Io sterzo gli si bloccò. La macchina andò a cozzare con violenza contro un pilastro di cemento.

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Nell'attimo che segui Alessandrini, rendendosi conto di essere ancora vivo, pensò: «Ce l'ho fatta ormai anche questo è stato superato». Fulmineamente il suo pensiero era stato ricondotto ad una profezia fattagli molti anni prima in Egitto da una chiromante. «A quarantacinque anni tu avrai un incidente d’automobile». Egli aveva compiuto quarantacinque anni pochi giorni prima. La piacevole sensazione d’essere ancora vivo dopo il grande urto e la constatazione che le persone che erano con lui a bordo della giardinetta non avevano subito alcun danno, non gli permisero di accorgersi lì per lì di essere ferito. Solo quando il sangue che colava dall’occhio sinistro tumefatto gli scese sulla cravatta, Alessandrini disse: «Questo, occhio è andato; ma l’altro è salvo perchè ci vedo». Mentre la signora Regina e l’aiuto regista Marcellini si preoccupavano della sua sorte, Alessandrini si mise a cercare il suo cane, Matteo, e non ebbe pace finché non l’ebbe scovato incolume sotto i rottami della macchina. Solo allora acconsentì a far fermare una macchina di passaggio e per prima cosa chiese che gli puntassero i fari negli occhi per vedere come era conciato. L’occhio sinistro non si vedeva più. La cornea era letteralmente spaccata. Alla clinica oculistica di Perugia fu operato d'urgenza dal giovane dottor Dorello e più tardi dal professor Rubino giunto da Firenze nella notte. Il duplice delicatissimo intervento ebbe un esito insperato. Prima ancora d’aver la certezza di poter ricuperare la vista intatta, Alessandrini chiese a Regina di portargli un canarino: «Così almeno, se non potrò vedere, potrò udire qualcosa di dolce». Ora, entrato in convalescenza, Alessandrini ha scherzosamente ribattezzato il suo film: Sangue sul passaggio a livello». Il film, interpretato da Carlo Ninchi e Luisa Rossi, sarà terminato dall’aiuto regista Marcellini.

Poco prima di iniziare questo film, Alessandrini si era recato in Egitto in compagnia del suo legale. Motivo del viaggio: «un importante affare personale» che non aveva niente a che vedere con il cinema. Infatti Alessandrini è andato laggiù per prepararsi ad una conversione all'islamismo, la sola via che gli resti per poter legittimare le sue due bambine, Rita e Mirella, e sposare la loro madre, signora Regina Bianchi.

Goffredo Alessandrini è stato per sette anni, e dal punto di vista legale lo è ancora, marito di Anna Magnani. Di comune accordo, dopo una separazione dì fatto che dura da più di dieci anni, i coniugi Alessandrini si sono decisi a chiedere l’annullamento del legame. Cosa c’entri l'Egitto in tutto questo è difficile capire senza risalire alle origini di tutta la vicenda.

Alessandrini è nato in Egitto, da genitori di origine italiana; suo padre, Ernesto Alessandrini, che oggi ha ottantun anni e e ad Alessandria in una clinica di suore assistito dalla vecchia moglie, era imprenditore d favori sul Nilo. A lui si deve la costruzione delle dighe di Assuan e del Sudan; e sulle rive del Nilo sono sepolti i fratellini morti in tenera età, quando i genitori, profughi dall’Italia al tempo degli Asburgo, andarono a lavorare presso il canale di Suez. Da cosa nasce cosa, e dopo aver fatto gli sterratori lungo il Nilo, i due sposi gettarono le basi di una cospicua fortuna che si tradusse in piantagioni di cotone.

Il giovane Goffredo, figlio unico, dotato di spirito avventuroso, visse i primi anni della sua giovinezza al Cairo, poi a Cambridge, a Parigi, a Roma, e in
California compiendo esperienze diverse che alla fine lo condussero sulla via del cinema. Nel '31 esordì con «La segretaria privata» a cui fecero seguito nel volgere degli anni 19 film tra cui «Don Bosco», «Cavalleria», «Luciano Serra pilota» (Roberto Rossellini alla sceneggiatura), «Caravaggio», «Noi vivi», «Giarabub» e infine «Rapture», un film americano girato in Egitto, qualche mese fa con Assia Noris e attori arabi.

Nel 1933 dopo il successo della «Segretaria privata», che lanciava con un nuovo genere di commedia brillante anche l'uso delle cerniere lampo, il giovane regista sedeva una sera ad un tavolo del Savini, con alcuni amici. Ad un tavolo vicino c’era un altro gruppo di attori ed una strana ragazza, coi capelli alla «maschietta», ispidi e ribelli, e grandi occhi grigi di taglio orientale. «Vuoi conoscerla?» gli chiese un amico. «E* una tua connazionale, Anna Magnani». I due furono presentati, si scambiarono qualche parola in arabo, si strinsero la mano; poi ciascuno andò per la propria strada. Passarono due anni, una sera Goffredo Alessandrini, che era appena tornato da Hollywood dove aveva lavorato alla sincronizzazione di film italiani, passeggiava per via Nazionale a Roma in compagnia del suo aiuto-regista Giorgio Bianchi «Dove si va questa sera? Vuoi venire al Manzoni? C’è la compagnia di Baghètti che dà "Inventiamo l’amore” di Corra e Achille; ma se la commedia non ti interessa, vai la pena di venirci per vedere la Magnani: è fatta molto bene».

Alessandrini, che non ricordava più di aver conosciuto la Magnani, andò a teatro spinto dalla curiosità di vedere un’attrice così attraente da valere uno spettacolo per conto proprio. La rivide senza riconoscerla: l’Anna Magnani di quella sera non aveva niente in comune con quella di due anni prima; era una donna «fatale», in abito di merletto nero da gran sera; portava la zazzeretta nascosta sotto una morbida parrucca e recitava in un modo da far passare in secondo piano le sue qualità fisiche. Alessandrini andò a trovarla in camerino durante un intervallo. Ed ecco un’altra Anna, intenta a struccarsi, scanzonata, piena di risate e di battute sconcertanti. La terza Anna gli apparve l’indomani, quando andò a prenderla all’albergo dove lei abitava per condurla a fare una passeggiata.

La «terza Anna», come la definisce Alessandrini scendeva le scale dell’albergo preceduta da un ringhioso cagnetto di Pomerania nero come il diavolo, con un campanellino al collo. Aveva il viso stanco e amaro, una cicca fra le labbra, i capelli a ciuffi, come sempre, coperti in parte da una specie di «caciot-tina» messa di sghimbescio.

In automobile, ricordarono finalmente di essersi già incontrati a Milano, scopersero di avere origini in un certo senso comuni: anche nella vita di Anna c’era l’Egitto incrociato con la Romagna. Sua madre, la signora Marina, era di Ravenna, suo padre un egiziano; si erano incontrati a Rimini, Anna era vissuta in Egitto per cinque anni accanto a quel suo quasi leggendario padre.

Sposarono nel '35

Anna scrollò le spalle: «Son cose lontane. Adesso io sono qui con te, lassa perde l’Egitto».

E lasciarono perdere l’Egitto. Tornata di laggiù, Anna era entrata in un collegio di suore francesi, in Piazza di Spa" gna, e ne era uscita dopo qualche anno, per via di un calamaio tirato in faccia ad una suora. Il suo mondo del resto non era quello: Anna aveva la smania del teatro. Entrò alla Scuola di arte drammatica diretta da Silvio d’Amico, ne uscì a sedici anni per far parte della compagnia Vergani - Cimara, diretta da Niccodemi. La compagnia andò in Argentina e qui Anna ottenne un clamoroso successo personale. Un famoso pittore volle farle il ritratto e la dipinse con un turbante in capo.

Al momento del suo incontro con Alessandrini, Anna era già «la Magnani», cioè un’ attrice di teatro di grande temperamento. Era comparsa in cinema una sola volta, nel film La cieca di Sorrento, e non poteva dirsi un successo. «La tua strada vera è sul palcoscenico», insisteva Alessandrini che considerava la fotogenia come un elemento vitale per il cinema, mentre Anna non gli è mai sembrata fotogenica. Tuttavia le offerse una piccola parte di «sciantosa» in Cavalleria. Intanto la loro vita in comune nello studio di Alessandrini in via Margutta diventava sempre più difficile: Anna era una creatura tormentata, insofferente; vedeva ombre dappertutto e non poteva nè dare, nè trovare pace.

Dopo una delle solite scene Alessandrini decise di sposarla. Fissarono la data del matrimonio e quella mattina (un mercoledì del 1935) per poco non si scordarono di ritirare le fedi dal gioielliere. Arrivarono in Campidoglio trafelati, con qualche minuto di ritardo, con due soli testimoni: la signora Pirro infermiera di Anna e il marito, vestito da centurione della milizia.

Fu un matrimonio strano, di gente frettolosa e distratta. L’ufficiale di stato civile, mentre univa i due in matrimonio, si preoccupava solo di avere i biglietti per la recita della Magnani all’Eliseo, quella sera stessa. Poi ognuno pensò alle proprie faccende, come sempre; la sera delle sue nozze Anna recitò. Anche il marito era là ad ascoltarla, ad ammirarla come un uomo di teatro può ammirare un’attrice del siio talento, ma mentre la guardava sentiva più che mai che la loro vita a due era finita da tempo.

Dopo qualche giorno, avvertiti delle sue nozze improvvise, i genitori di Alessandrini giunsero da' Parigi esigendo l’immediata celebrazione del matrimonio religioso. Il padre, cattolicissimo, commendatore del Santo Sepolcro, la madre «Dama di prima classe» dello stesso ordine: come avrebbero potuto ammettere nozze tanto profane per il loro unico figlio? Alessandrini cedette e una mattina portò Anna nella chiesa di San Bellarmino ai Paridi. I genitori di lui fecero da testimoni.

Il piccolo Luca

Non restava altro che sperare nella nascita di un figliò, per salvare questo matrimonio, e niente cambiò neppure quando misero su casa al viale Parioli, poi in via Amba Aradam, nello stesso appartamento dove la signora Magnani ha vissuto fino a poche settimane fa, prima di trasferirsi a palazzo Altieri. Furono alternative continue di lacrime e di abbandoni. Anna era una moglie fedele, sotto questo aspetto non c’era niente da rimproverarle, ma il senso della serenità era assolutamente ignoto alla sua vita. Per venti volte Alessandrini lasciò la moglie, per venti volte ritornò a lei, attratto da quella umanità dolorosa che è il vero fondo del suo essere. La «Nannarella» trasteverina, sboccata e trasandata, che piace al pubblico non è mai stata altro che una sovrastruttura, robusta, ma fittizia. Anna si bilanciava fra questi due estremi, in perenne altalena fra lacrime che nessuno riusciva ad asciugare e fra risate che sembravano irrefrenabili.

Sette anni di vita del genere, per un uomo che, in fondo, non sogna altro che una quiete domestica e regole di vita comune, sono molti. A poco a poco quelle che prima erano le inquietudini senza senso di Anna, divennero realtà fondate: Alessandrini si creò una vita e una famiglia fuori di casa. Un giorno, lavorando a Cinecittà, incontrò una ragazza di diciassette anni, una piccola attrice napoletana di ottima famiglia: Regina Bianchi. Regina possedeva tutte quelle qualità di femminilità e di dolcezza che Alessandrini desiderava di trovare in una donna, ed aveva soprattutto le qualità indispensabili per essere moglie e madre. Non potendo farne una moglie, Alessandrini fece di Regina una madre. un anno dopo il loro incontro nasceva la piccola Rita che oggi conta nove anni.

Anna, che, fino alla nascita della bambina, non voleva convincersi della serietà di questa relazione, dovette cedere all’evidenza dei fatti. «Vivi pure con lei», disse, «ma torna a casa la sera per dormire. Mi sentirei troppo sola se tu non dormissi nella stessa casa». Ormai il loro matrimonio che continuava a reggersi solo sulle apparenze era finito sul serio: Alessandrini si adattò all’ assurdità di quella situazione, ingegnandosi di vivere due vite, fra due donne diversamente doloranti: ogni volta che lo vedeva uscire per andare da Anna, Regina piangeva, e ogni volta che tornava a casa Anna lo accoglieva come un ciclone, disperandosi poi di non trovare in sè la forza per troncare del tutto. Le cose andarono avanti a questo modo fino al giorno in cui Alessandrini partì per Misurata per girare Giarabub. Negli ultimi tempi, nel 1941, per far piacere ad Anna era andato a vivere in albergo, in una stanza accanto alla sua. Anna, che sembrava avesse trovato finalmente un po’ di pace in un nuovo amore, non era più che un’amica, che, a sera tarda, rincasando, andava a raccontargli le storie della giornata.

Due mesi dopo la sua partenza, Alessandrini ricevette a Misurata una lettera disperata di Anna: «Quel... me ne ha combinata una delle sue. Vieni, ti prego, ho bisogno di te».

«Quel...» era un giovane attore esordiente che aveva trovato in Anna qualcosa di più di un’amica. Alessandrini tornò in Italia, andò a trovare Anna che come lo rivide gli gettò le braccia al collo piangendo. «Coraggio, cara, non preoccuparti: penserò io al tuo bambino, avrà il mio nome, e tu avrai il mio appoggio». Tutto si spianò; Anna, rasserenata, aspettava il figlio che aveva inutilmente atteso di avere dal marito. Contemporaneamente anche Regina aspettava un secondo figlio, e il piccolo Luca, figlio di Anna, e Mirella, figlia di Regina, nascevano a pochi giorni di distanza l’uno dall’altra.

Ma la situazione era davvero paradossale: il bimbo, di cui Goffredo Alessandrini dichiara di non essere padre, portava il suo nome, mentre le bimbe nate da lui e da Regina non potevano avere ufficialmente un padre. Il dramma, che prima si era imperniato soltanto su adulti responsabili delle proprie azioni, si spostava così su tre innocenti. Il regista iniziava subito una pratica di disconoscimento di paternità del bambino, impegnandosi di adottarlo in un secondo tempo, quando cioè questo disconoscimento lo avesse messo in condizione di adottare anche le proprie figlie, a meno che il padre naturale del piccolo Luca non intendesse riconoscerlo per conto proprio.

Si lasciarono per telefono

La causa, che presenta uno straordinario interesse giuridico e umano, si è iniziata sette anni fa e sta per giungere ora alla sua conclusione. A questa conclusione è interessato anche

il padre di Goffredo Alessandrini, ormai più che ottantenne e desideroso di vedere le nipotine entrare nella vita con il nome e l’eredità che dovrebbero loro spettare. In tutti questi anni Anna Magnani, dopo aver accettato una separazione di fatto, si è limitata soltanto a chiedere al marito un aiuto morale. E’ proprio quello che avvenne quando la Magnani si trovò a dover decidere sulla propria linea di condotta nei riguardi di Roberto Rossellini al tempo dell’arrivo di Ingrid Bergman in Italia. «Anche tu te ne sei andato», disse al marito in presenza dell'avvocato, poco prima di decidersi a partire per Londra, «ma te ne sei andato con umanità. Invece "quello là” m’ha fatto solo una telefonata».

In questa aperta confessione è tutta la sintesi dell’amaro destino di Anna, ma da quel giorno la sua vita è mutata: come se avesse voluto gettarsi alle spalle tutto il passato, dopo a-ver lasciato la casa di vìa Amba Aradam, Anna Magnani ha rimandato al marito anche la sua «capoccia», cioè un busto in bronzo dì Alessandrini, che ornava il suo salotto.

Qualche mese fa, incontrandolo per via Veneto, Anna gli aveva detto : «A’ Nannetto, quand’ è che la finiamo con questa sporca situazione? Qui bisogna che ci sistemiamo tutti: io, te, Regina e i ragazzini».

«Sono sette anni che aspetto», rispose Alessandrini. Per questo si decise a partire per l’Egitto, anche per definire la situazione col padre.

In ogni caso, se le leggi del nostro paese non dovessero favorire una soluzione, Alessandrini è arrivato ad una dichiarazione che lascerà perplessi molti anche se può essere spiegata con l’affetto che egli ha per le figlie, non avrebbe niente in contrario a farsi musulmano. Acquisterebbe cosi la capacità di ripudiare la propria moglie secondo la legge islamica e di conseguenza potrebbe finalmente legittimare le sue bambine che proprio in questi giorni celebrano la loro prima comunione e che fino ad oggi hanno sempre ignorato la loro reale situazione. Ma è poco probabile che la signora Magnani intenda seguirlo sulla via : dell’islamismo, dopo aver donato alla Vergine dì Velletri i suoi orecchini di brillanti e rubini, sia pure per rimettere in sesto tante vite compresa la sua.

«L'Europeo», anno VI, n.30, 23 luglio 1950


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«L'Europeo», anno VI, n.30, 23 luglio 1950