Anna Magnani, un "vulcano" sfortunato
Anna Magnani non ha assistito all’”anteprima mondiale” del suo film : si era nascosta in casa, a tormentarti nell’attesa come una principiante, e s’è risparmiata così le molte misteriose rotture della pellicola
Roma, febbraio
Ingannato dall'orario comunicato dal giornali, alle 22, nella galleria deserta del cinema Fiamma, c'era soltanto il conte Sforza. Sedeva al centro della fila vuota e, tirandosi il pizzo, conversava con una signora seduta nella fila successiva: perchè mai non fossero seduti accanto non riuscimmo a spiegarcelo. L’organizzazione dell’anteprima mondiale di «Vulcano» era stata affidata a scopo benefico ad un Comitato d’onore composto di personalità e ad uno direttivo composto da nobilissime dame. Il giovanissimo «sindaco» del «Villaggio dei Fanciullo» di Trieste, istituzione beneficata, era venuto appositamente per leggere un ringraziamento e portare in dono ad Anna Magnani una riproduzione della campana di San Giusto. La solenne consegna non potè avvenire perchè Annarella non c'era: stava a casa sua, tormentandosi nell’attesa.
Il Comitato si era molto preoccupato della riuscita benefica e mondana dell'iniziativa: la sala era infatti affollatissima. Dopo il discorso del piccolo sindaco fu proiettato un documentario, poi si riaccese la luce e finalmente alle 23,30 si iniziò il film: il pubblico cominciava ad essere irrequieto.
«Vulcano» si apre con un pezzo di bravura dell’operatore, una limpida sintesi degli elementi: fuoco, mare e sasso, che compongono il paesaggio in cui la storia si muove. Poi viene un breve prologo recitato in siciliano «civile» dal comandante del piccolo postale che fa servizio bisettimanale nelle Eolie. A questo punto si inizia lentamente la storia.
Se questo film dovesse esser giudicato dalla «anteprima» dovremmo dire almeno che è sfortunato. Una serie di inesplicabili interruzioni dovute a rotture della pellicola e della colonna sonora, che evidentemente non erano unite, ha spezzato qua e là l’azione in modo da togliere ogni emozione allo spettatore. Al termine dello spettacolo, quando le interruzioni vennero ricapitolate nacque nel noleggiatore il sospetto di una azione sabotatrice dell'operatore prezzolato da un misterioso rivale di Dieterle e della Magnani di cui non si faceva il nome. Certo è che dovette intervenire l'avvocato Monaco, direttore dell’AGIS a promettere una inchiesta. Concorsero comunque alla disgraziata presentazione, oltre le interruzioni, la eccessiva attesa imposta agli spettatori, il cattivo disco della «Ragazza di Trieste» e i troppi lampi di uno zelante fotografo.
Manca certamente a «Vulcano» una unità narrativa, saremmo quasi tentati di dire che è mancata una sceneggiatura se non avessimo troppo rispetto per l’onestà del regista Dieterie. Quel che è certo è che il racconto procede stentatamente, eccessivamente prolisso, troppo indulgente per il paesaggio e per le riprese sottomarine.
ANNA MAGNANI in due scene del film «Vulcano». A destra un fotogramma della famosa sequenza della cava di pietra pomice. Il film è stato presentato a Roma, in «anteprima mondiale». Vi assistevano i ministri Gonella, Sforza, Pella e altre personalità.
I protagonisti del film sono tre: Anna Magnani, Geraldine Brooks e Rossano Brazzi. Della interpretazione della Magnani, a parte alcune indulgenze del regista, non si può che dire bene. Ha saputo comporsi una personalità desolata e spenta di ex-prostituta; ha saputo elevarsi al disopra del suo ruolo abituale di amante, al disopra della tendenza a primeggiare e ha fatto della sua parte un miracolo di dolore compresso, di bellezza umiliata. Geraldine Brooks è una bella e brava attrice, squisitamente giovane, spontanea e intelligente: una ragazza che ha saputo immedesimarsi nel dima inconsueto per lei, nel paesaggio addirittura allucinante per chi non lo ha nel sangue e ha creato una giovane donna tutta slanci e bontà, perfettamente aderente alla logica incomprensibile di un mondo primitivo.
Brazzi doveva essere un marinaio equivoco, sfruttatore di donne, ladro e assassino, ed è stato soltanto un giovanotto che si sforzava di farsi credere tutto questo. Non è nè cattivo nè affascinante, nè seduttore nè repellente. E’ stato come una scenografia del «Globe Teather» : un cartello su cui è scritto ciò che gli spettatori devono immaginarsi.
Abbiamo parlato di una disfunzione della sceneggiatura. Per questo forse Dieterle ha perduto l’occasione di fare un grosso film e ai possibili motivi spesso si accenna. Il matriarcato che vige nell’isola cui gli uomini sistematicamente si allontanano e di cui le donne sono insieme custodi e padrone, meritava una trattazione meno folkloristica e più profonda. Poteva nascere insomma una «Donna delle Eolie» con un posto nella storia del cinema.
Appiccicata al finale c’è poi una catarsi nibelungica in cui la peccatrice si purifica dissolvendosi nel fuoco dell’eruzione. Quando il film è già finito in bianco e nero arriva questa apocalisse colorata in rosso violento, non sappiamo con quale procedimento tecnico ma che comunque raggiunge l’effetto di quelle scene col viraggio colorato care al cinema muto. E’ una sorpresa finale che turba ancor più lo spettatore Il film, naturalmente, non è tutto qui. Ci sono dei brani di bellezza notevole: quelli della pesca e del lavoro nelle cave di pomice. Ci sono dei momenti in cui il clima del racconto sale e giunge a un livello inconsueto. Ma purtroppo tutto era eccessivamente staccato e confuso. Forse una attenta revisione potrebbe salvare molte cose.
U. d. F., «Tempo», anno XII, n.6, 18 febbraio 1950
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U. d. F., «Tempo», anno XII, n.6, 18 febbraio 1950 |