Ritratto di Anna Magnani
In quale libro abbiamo appreso un giorno il senso di questo volto? Esso ci arriva dalle profondità mediterranee e noi lo abbiamo intravisto scolpito sulle antiche metope, sui bassorilievi che adornano i frontoni dei templi, sui cammei e sulle monete; severo e assorto, quasi di una solennità classica, un po’ rude ma piena di nume. Si direbbero i lineamenti di una antica donna appartenente alla stirpe italica, nel cui viso la fierezza e la dignità non consentono alla frivola grazia altro che quello che la femminilità naturalmente esprime.
Una mano stanca è caduta: l'altra inquadra il volto di Anna come nella cornice di una meteora. E veramente l'espressione è quella di una statua assorta nella contemplazione di un destino.
Sfideremmo volentieri i signori Giovan Battista Della Porta e Gasparo Lavater a rintracciare su questo volto la famiglia animale alla cui ancestralità esso appartiene. Forse solo l'occhio acuto di un Savinio saprebbe riconoscervi una derivazione aquilina. Noi vi leggiamo tutta l’eroditi di una stirpe mediterranea ancoratasi da remotissimi tempi ai lidi campani e da qui penetrata dovunque in Italia a testimoniare il tipo dell'italiana dal viso aperto, nelle cui linee ritrovi la volontà, la decisione, l'umanità, il volto di Anna Magnani, rappresentazione umana del pensiero e del dolore.
È forse il volto di una giovane sibilla che dalle rive del Nilo ha trasmigrato alle spiagge di Cuma con in petto il nume profetico? La testa levata, gli occhi rivolti verso l'alto, le narici dilatate a un più intenso respiro, la bocca muta e un poco sdegnosa : malinconia immensa e umana diffidenza di chi è stato scelto a confidente di un Dio. Poi le parole divine sono state pronunciate. Ora la cumana esce estenuata dall'amplesso del nume e sussurra ed Anna Magnani il segreto appena confidatole. Le labbra si dischiudono al suono delle misteriose parole; le palpebre abbassate trattengono ancora, e forse per sempre, la visione sublime. Finalmente Anna ascolta con trepida attenzione il suo segreto. Ecco, Anna sa e riflette. Le palme dietro la nuca, il suo sguardo è sottratto alle cose reali dalla concentrazione della mente. Il solco profondo, la dove il naso s'inserta alla fronte, raccoglie una sottile lista di capelli.
Zingara sonnolenta? Probabilmente il sonno la vincerà, e Anna d'improvvido o adagio adagio lascerà cadere a terra la chitarra, ma intanto osservate quella sua mano distesa. Qualcuno potrebbe pensare a certi intensi primi piani di «Capriccio Spagnolo», tanta è la cupa e forte fantasia di questa bella composizione.
Ora è il momento del sogno. Non un sogno leggiadro dove Anna viva in paesaggi cinesi come quelli suggeriti dalla veste fantasiosa, ma forse un sogno angoscioso. La bocca sembrerebbe socchiudersi a un respiro che è quasi un affanno.
Addio, Anna. Vuoi lasciarci col tuo volto di menade stanca e impenetrabile. La tua mano sospesa ci dà un tremulo saluto e il viso si richiude nella sua immensa malinconia, ma non sarà mai possibile dimenticarti, sei entrata nella nostra vita.
Roberto Bartolozzi, «Tempo», n.218, 5 agosto 1943
![]() |
Roberto Bartolozzi, «Tempo», n.218, 5 agosto 1943 |