Anna Magnani reciterà in inglese nella carrozza d'oro di Renoir
Le riprese della Carrozza d'oro si sono iniziate, da tanto che se ne parlava, l'altro giorno nel teatro numero 13 di Cinecittà. Jean Renoir, roseo ed enorme, interruppe il lavoro dopo la seconda inquadratura per ringraziare gli invitati convenuti numerosi per l’occasione e spiegare le idee che l’avevano guidato nella lunga ed elaborata preparazione del film. Mentre Renoir parlava, nel suo francese familiare dalla pronunzia arrochita, noi guardavamo le architetture con cui Mario Chiari aveva ricostruito nel teatro un intero quartiere di città fra coloniale e settecentesca che, specie per via di certe stuoie di paglia e vasi di creta colorata, sembravano voler suggerire un ambiente peruviano, e ci veniva in mente il nobile Paseo de las Aguas, a Lima, che è il giardino pubblico che il viceré Amat fece costruire in onore della Perricholi. (La quale, tra parentesi, si chiamava con ogni probabilità Pe-riccioli e fu, nella realtà, italiana, prima di ispirare a Prospero Mérimée la sua indimenticabile Perichole). A un certo punto sentimmo Renoir dichiarare che «il n’y a plus de Pericnole». E ancora: «Se ci fosse una Perichole io non girerei il mio film in Italia, con Anna Magnani, ma al Perù, con una giovane meticcia». Ma la Perichole era una meticcia? Non mi pare. Certo è che la Perricholi non lo fu. Che Jean Renoir non lo sapesse? E’ assolutamente da escludere.
Piuttosto c’è da credere che cercasse di spiegare a noi la straordinaria «combinazione» che ha dato origine a questo film italiano, ispirato da Mérimée, diretto da un francese, girato in technicolor, e parlato in inglese. La carrozza d'oro è costato al principe Alliata, che lo produce insieme a una casa francese, due anni di testarda fatica. Quando ne parlammo noi, la prima volta, su queste cronache. avrebbe dovuto dirigerlo Luchino Visconti, ed essere girato in italiano. Questa estate a Venezia Jean Renoir ci parlava ancora di un film in tre edizioni, italiana, francese, inglese. Ora siamo a una unica edizione in inglese, con attori per la maggior parte inglesi e americani. Tuttavia tale è la prepotente personalità di Anna Magnani che basta la sua partecipazione a fare della Carrozza d’oro un film italiano. Anche la Magnani reciterà in inglese nell’edizione originale, e questa è la grande novità: la sua voce risulta egualmente chiara efficace duttile pieghevole in una lingua che non è la sua. e che l’attrice conosce sino a un certo punto. Ma Anna Magnani è tutt’altro che un fenomeno di improvvisazione e di spontaneità popolana. E’, innanzi tutto, una attrice dalla volontà di ferro, che, prima ancora che al cinema o nella rivista, si era maturata lentamente nelle compagnie del teatro di prosa, ed è giunta possesso di un mestiere Superbo. Quello stesso che, in questa occasione, le ha permesso di imparare l’Intero copione di The golden coach a memoria, battuta per battuta, scena per scena.
Per questo accanto a lei non figurano neanche questa volta attori di grande rilievo. Michael Tor, Paul Campbell, George Higging, Odoardo Spadaro, tanto per fare i primi nomi che ci vengono alla mente, sono tutti buoni e bravi attori, ottimi addirittura. Ma questo è il film di Anna Magnani, diretto da Jean Renoir, e fotografato da Claude Renoir (The river). E dunque Renoir. spiegando le ragioni che lo hanno indotto a servirsi dell’opera di Mérimée come di un punto di partenza. e che quindi l’hanno consigliato a mutarne il titolo da La carrozza del S.S. Sacramento in quello di Carrozza d'oro, ha voluto spiegarci come in Mérimée la Perichole sia soltanto un’attrice e nel suo film è invece l’Attrice. e anzi una commediante della Commedia dell’Arte. La carrozza d’oro è invece rimasta. E noi l’abbiamo potuta ammirare, appena restaurata. in tutto il suo splendore settecentesco. Un vero pezzo da museo, e non c’è da meravigliarsi che arrivasse da Palermo. questa capitale del barocco nostrano, dove era conservata nelle scuderie dei principi Lanza, dopo essere stata costruita a Londra per conto dei Branciforti. Basta un particolare come questo per capire che le cose si sono fatte in grande, e senza badare a spese. Il film, a colori. costerà sulla carta tre volte il prezzo di un grande film in bianco e nero. Ci troviamo dunque di fronte a una produzione di carattere internazionale che s’annun-zia a occhio e croce delle proporzioni di un Fabiola. E ora veniamo al fatto.
Nella piccola «posada» di una capitale dell’America coloniale spagnola che potrebbe anche essere Lima, ma di cui non si fa il nome, giunge una compagnia di comici dell’Arte. In quella capitale non succede mai niente di nuovo, la vita scorre noiosa fra un pettegolezzo della corte vicereale e l’altro, ma nella stessa giornata era già arrivata da Madrid la nuova carrozza del viceré. Due avvenimenti in una volta sola appaiono troppi ai cortigiani che ostentano subito un grande disprezzo verso i comici e un’enorme ammirazione per il cocchio. Ma il popolino accorre compatto sin dalla prima sera ad ascoltare Camilla (Anna Magnani), Arlecchino (Dante), Capitan Fracassa (Renato Chiantoni), Florìndo (Alfredo Kolner), Isabella (Nada Fiorelli) e don Antonio (Odoardo Spadaro). Al seguito della compagnia viaggia. cavalier servente di Camilla, e amante timido e respinto, Felipe (Paul Campbell). Camilla (che questa sera è Colombina) riceve subito l’omaggio floreale di Ramon, il torero più bello e coraggioso della nuova Spagna (Riccardo Rioli), il quale s’incapriccia su due piedi della commediante. Anche il Viceré (Michael Tor) vuole ascoltare i comici, e alla visti di Camilla prende fuoco come la paglia, dimenticando grazie della sua favorita ufficiale, la bella marchesa Altamirano (Gisella Matthew). Camilla succede alla marchesa e da questo momento l'intera corte è sottosopra. Con un gesto di sfida verso i cortigiani intriganti e pettegoli il viceré regala a Camilla addirittura la carrozza d’oro. La commediante scarrozza per la capitale felice come una bambina. Le cose arrivano al punto che il partito che si oppone al viceré sta per ottenerne il richiamo a Madrid.
E Camilla. Essa è lusingata dalle attenzioni del viceré, innamorata fisicamente di Ramon che le ha offerto di sposarla, è affezionata a donna Felipe, il poeta. E ora il viceré, se vuol salvare il posto, deve firmare un decreto che inibisce l’ingresso a corte della commediante Camilla si troverebbe dunque obbligata a scegliere. E allora sacrifica l’unica cosa che possiede, la carrozza d’oro. La offre nientedimeno che vescovo perché, d'ora innanzi, il cocchio serva a portare il Santissimo Sacramento ai moribondi, e nessuno più muoia nella colonia senza quell'estrema consolazione. Il gesto spontaneo e caritatevole conquista l'animo del vecchio prelato, che prende subito parte, di fronte ai cortigiani, per la bella attrice. Dunque Camilla non sceglie nessuno dei tre uomini. Il Viceré torna alla marchesa, Ramon alle corride e quanto a Felipe, che ha scoperto, nel frattempo, l’esistenza di una pacifica tribù di indios, ai suoi selvaggi. Camilla sceglie il teatro. E' il suo destino di attrice, e don Antonio, il capocomico, le spiega perché è giusto che sia così. «I commedianti sono più veri dei veri uomini». E solo nella finzione delle scene Camilla potrà trovare la verità cui essa aspira. L’illusione di essere felice, che è la cosa più prossima che esista alla felicità. Il racconto, tuttavia, non si conclude con queste parole dolci e amare. Si alza il sipario e Camilla, entrando in scena, saluta il suo pubblico e ricomincia a vivere, a esistere, nella sua realtà di attrice. Non rimpiange più niente, né le belle tempestose scenate con Ramon, né l'idillio col poeta Felipe, né gli splendori della corte.
E con questo Jean Renoir ha voluto scrivere, o riscrivere; prima ancora che dirigere, una storia che, come ha detto, si poteva intitolare anche «La commedia, il teatro e la vita». Quanto al principe Alliata ha avuto una battuta felice, quando ha fatto la cronaca delle difficoltà incontrate per realizzare i film: «La notizia che La carrozza d'oro non si facesse più era in un certo senso fondata, o meglio inventata bene». Ora il film è cominciato, e la notizia, questa volta, è vera.
Gian Gaspare Napolitano, «L'Europeo», anno VIII, n.8, 19 febbraio 1952
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Gian Gaspare Napolitano, «L'Europeo», anno VIII, n.8, 19 febbraio 1952 |