Fougez Anna (Laganà Pappacena Maria Annina)
Nacque a Taranto il 9 luglio 1894 (Pantaleo, 1986), figlia di Angelo Pappacena e Teresa Catalano.
Dopo la morte dei genitori fu adottata dagli zii, Giuseppe Laganà e Giovannina Catalano. Fu per quarant’anni diva indiscussa del teatro di varietà in Italia. Debuttò a Ventimiglia a otto anni, in un café-chantant. A nove anni era già famosa. Il pubblico napoletano vide in lei una versione in miniatura della celebre cantante Eugénie Fougère (battezzata dai napoletani ‘la Fougè’): gli zii le suggerirono di sfruttare questa identificazione assumendo il nome d’arte Fougez.
Il suo successo di artista-bambina non fu limitato a Napoli. Sedicenne, si esibì al teatro Mastroieni di Messina in un repertorio di canzoni napoletane e con I milioni di Arlecchino di Riccardo Drigo, e al Trianon di Roma.
Bruna, alta, sottile, Anna Fougez aveva grandi occhi neri, e un neo sulla guancia sinistra, che enfatizzava con il trucco. Forse non aveva una voce fuori dal comune, ma riusciva a conquistare il favore del pubblico con la sua bellezza fine, tanto diversa da quella delle altre artiste del varietà, con l’eleganza e con l’intelligenza con cui orchestrava le sue apparizioni.
Il successo delle artiste di varietà era in genere effimero. Anna Fougez fu un caso a parte. Era intelligente. Elaborò pratiche e accorgimenti che le permisero di primeggiare sulle scene per decenni. Sapeva scegliere o suggerire le canzoni e i musicisti più adatti all’immagine che intendeva creare. Aveva la risposta pronta, così importante nel Varietà, e la capacità di reagire alle provocazioni e alle battute degli spettatori, delle rivali, degli amanti respinti.
Nel 1919 E. A. Mario creò per lei la canzone Vipera, che rimase indelebilmente legata al suo nome («Vipera, vipera, / sul braccio di colei / che oggi distrugge tutti i sogni miei / sembravi un simbolo: / l’atroce simbolo / della sua malvagità»). Era ormai l’artista di Varietà più famosa e più pagata d’Italia. All’inizio degli anni Venti il compenso per ogni sua esibizione si aggirava intorno alle 1500 lire. Si dedicò anche al cinema: L’immagine dell’altra (1914), Le avventure di Colette (1916), La vita e la leggenda (1919), L’ultima recita di Anna Parnell (1919), L’oltraggio (1921) e Fiore selvaggio (1921), Il fallo dell’istitutrice (1922).
Nel 1923, a Parigi, conobbe l’attrice e cantante Jeanne Bourgeois, in arte Mistinguett, e il di lei compagno, René Thano (alias Galanis Athanasio), abile ballerino di tango con cui intrecciò una storia d’amore, pur essendo lei sposata a un suo cugino romano, Giovanni Battista Serrao.
Nel 1922, alla vigilia della marcia su Roma, nel teatro San Martino di Milano, presente Benito Mussolini, Anna Fougez cantò un Fox-trot di Mussolini scritto da lei stessa sulle note di Rodolfo De Angelis (Pantaleo, 1986). Molte delle sue canzoni del ventennio (come L’emigrante e Impulso) esibiscono un legame con il fascismo.
Seppe coltivare la propria bellezza, operando variazioni leggere che, più che assecondare, orientavano i gusti del pubblico. Parlava correntemente francese. Disegnava la maggior parte dei suoi costumi di piume e seta, raso e veli, pellicce e grandi ventagli. Si creò un’eleganza particolare, punto di forza dei suoi spettacoli, che seppe imporre come alternativa alla moda parigina. Poteva cambiare abito anche cinque volte nel corso dell’esecuzione di un solo brano (come nel Fox-trot delle piume o nello Shimmy delle stelle). Creava o suggeriva i testi delle canzoni, interveniva sulla musica (Sua maestà la donna, L’Apache galante, Gioielli). Si presentava sulle scene accompagnata sempre dallo stesso motivetto introduttivo «Anna Fougez. Signor – vi si presenta qua – per danzar, per cantar…». Aveva un repertorio drammatico e brillante: Abat-jour, Addio Signora, Il fox-trot delle lucciole, Cade la neve, Cuore andaluso, Santa Lucia luntana, ’A tazza ’e caffè, Amanti, La Java della rosa. Suoi autori preferiti furono Gino Simi e Vincenzo Valente (Vezzi di donne, Leggenda dell’ombrello, Kadigia).
Nel 1928 Fougez, con grande acume imprenditoriale, creò, assieme all’impresario Angelo Bigiarelli e a René Thano, la Grande rivista italiana: l’alternativa italiana alla revue francese. Tra i titoli degli spettacoli, di cui la Fougez fu primadonna e impresaria: Trionfo italico (teatro Quirino, 12 dicembre 1928), Donne ventagli e fiori (1928), Si vede tutto (1929), Ah, le donne birichine, Yo-yo che passione, Gira, si gira, si rigira, A 2000 km ora, Queste son cose che non succedono mai, C’è sotto una donna.
All’apice della carriera scrisse l’autobiografia Il mondo parla ed io passo (Roma 1931), brillante repertorio di ricordi e aneddoti dal quale traspare una capacità di riflessione assai rara nelle attrici di varietà dell’epoca.
L’8 dicembre 1940 recitò a Napoli, al Politeama. Era ancora famosa, anche se in modo forse meno indiscusso. Aveva progettato una grande tournée a Parigi, ma ne fu impedita dallo scoppio della guerra. Decise quindi bruscamente di lasciare le scene. Si rifugiò nella sua villa di Santa Marinella con René Thano, che divenne il suo secondo marito. Qui morì l’11 settembre 1966.
Il mio debutto all’Umberto di Napoli fu veramente trionfale. Incoraggiata dalla comprensione dell’agente D’Acierno, io feci prodigi; il pubblico fu con me espansivo, caldo, vibrante. Era il pubblico che mi ci voleva in quel momento. Esso possedeva il segreto di toccare le corde più riposte del mio sentimento, di destare le emozioni più acute del mio ancora embrionale istinto di artista precoce. Mi sentii figlia di quel popolo, cominciai a considerarmi napoletana: il pubblico mi ha sempre creduta napoletana, e non mi è affatto dispiaciuto. In fondo, il repertorio che io interpretavo era in gran parte napoletano, le musiche che cantavo erano nate a Napoli.
Dall’Umberto passai, a richiesta, acclamata, disputata, per tutti i teatri di varietà rionali della metropoli. I maestri cominciarono a pensare a me come futura interprete delle loro composizioni; i poeti mi imbeccavano graziosamente le strofette dei loro versi, che andavano recitati col garbo che richiedeva l’essenza del loro significato.
Naturalmente, le compagne d’arte, già in carriera, cominciavano ad allarmarsi dei miei successi; il pubblico esigeva da me i bis che risparmiava a loro, e per danneggiarmi imponevano ai direttori di togliere dal mio repertorio le canzoni comprese nel loro programma, per evitare i confronti. Ed avevano ragione. Se continuavo di quel passo rischiavo di restare senza repertorio. Ed io, ingenua-mente, appunto perché senza esperienza, credevo di non dovere essere invidiata, perché nel mondo ci doveva essere posto per tutti. E cosi, portando la croce della mia celebrità, non ancora comprendevo che il mondo, cosi grande, lo rende piccolo una certa classe dell’umanità che fa trovare a disagio chi non sa procedere a furia di gomitate verso la conquista dell’idealità, e della notorietà.
La canzone, il più delle volte, è una sintesi comica o drammatica: pochi versi e tutto un dramma si illumina di scorcio, palpita e incalza con rapidità, rinchiuso nel breve respiro di una o due strofette. Personaggi ed episodi, come dinanzi ad uno svolgimento di scene molteplici, appaiono e scompaiono con una vera e propria azione mimica e dialogica. La canzone comica contiene, a sua volta, in sintesi, tutta una commedia, una situazione farsesca, un'intenzione satirica o parodistica. Non tutte le canzoni di questo genere sono belle: ma quando riescono, danno grandi soddisfazioni. Interpretare bene una canzone drammatica o comica non è più facile dell'interpretare bene una commedia o un dramma. Non faccio questione di sforzo in estensione, ma in intensità. Spesso, il momento culminante di un dramma o di una commedia è in una scena o in poche battute, e l'impegno vero dell’interprete è in quella scena o in quelle battute. È lì che le sue forze si raccolgono, nel loro sforzo supremo, come il talento del creatore ha sprizzato le sue più vivide scintille. Vorrei aver dimostrato con le mie considerazioni, che la canzone ha bisogno di un eguale impegno interpretativo, di un lavoro di più vaste proporzioni, nonostante la brevità della sua estensione e della sua vibrazione.
Tutto questo è conosciuto benissimo dagli artisti che fanno sul serio, e che, se donne, si sono affidate soltanto alla ricchezza dei gioielli o allo sfarzo dei vestiti, per conquistare il favore del pubblico. A che servono le illusorie esteriorità, per rendere bene, con una strizzatina di occhi o di labbra, un sentimento che non sempre è adeguatamente espresso dai versi e dalla musica? Sono pertanto lieta di poter manifestare i risultati di queste mie lunghe esperienze, le quali mi sono state a suo tempo rivelate da ottimi miei maestri, preziosi consiglieri nella formazione della mia maturità artistica.
Si tratta, dunque, di possedere una tecnica che non si può né si deve improvvisare, ma che è il risultato di un lungo studio attento e minuzioso, con prove e riprove meticolose e precise. L’arte di tutti i grandi interpreti di tecnica è diretta da una grande sensibilità. Con la tecnica si supplisce anche alle deficienze di estensione o di timbro di voce. Qualche volta accade che un dono naturale, più che aiutare una grande interpretazione, si adopera a sciuparla; ciò è molto comune nel campo degli artisti lirici.
Anche nel teatro lirico, sulle grandi scene, si richiedono oggi dei buoni interpreti, dopo la riforma del melodramma: “il recitar cantando”. Dizione chiara, non spreco, ma uso intelligente e discreto della voce. Figuratevi nel Varietà dove questa specie di lirica minore si affida tutta alla efficacia dei mimi cantanti. Più che il cantante, occorre il dicitore. Mimica facciale, comica, pronunzia, voce, plastica, bel corpo, abbigliamento, truccatura, tutto concorre ad un unico risultato di una buona, perfetta interpretazione. Una pausa sottolineata da una occhiata, da un atteggiamento, un passo che accenna fugacemente ad un motivo di danza, e che continua il ritmo della strofa interrotta, una improvvisa sospensione, una accentuazione a surprise, tutto concorre al segreto della tecnica. Rivelarla è questione di un attimo: possederla è questione di anni. Ed occorre un grande spirito di osservazione, perché non sempre basta l’intuizione.
La prima funzione dell'interprete coscienzioso è analizzare attentamente, parola per parola, sillaba per sillaba, con i respiri della punteggiatura, il testo della canzone.
Ogni parola ha il suo significato, ogni pausa ha la sua muta espressione, ogni segno di interpretazione ha la sua particolare sfumatura. Tutto ciò va reso con severa precisione. Soltanto così noi possiamo trovare nel pubblico quella comunicazione immediata, sentimentale, ilare o triste, all’azione che esercitano le nostre parole. E tutto ciò si può raggiungere, quando su noi stessi abbiamo addensato una forza di persuasione che dobbiamo provare per primi, se vogliamo indicarla agli altri. Tutto è fatica nella vita e nell’arte. E, senza fatica, non si hanno frutti. Quando sono maturi, essi possona essere gustati, non prima. Cantare una canzone, dunque, è facile cantarla bene, ma interpretarla è difficile. Per dipingere il sole, è necessaria la tavolozza della luce.
Anna Fougez - "Follie del Varietà" (Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè), Feltrinelli, Milano, 1980
Filmografia
Le avventure di Colette (1916)
La vita e la leggenda (1919)
L'immagine dell'altra (1919)
L'ultima recita di Anna Parnell (1919)
Diana Sorel (1919)
L'oltraggio (1920)
Fiore selvaggio, regia di Gustavo Serena (1921)
Senza colpa (1921)
Il fallo dell'istitutrice (1922)
Sceneggiatrice
Fiore selvaggio, regia di Gustavo Serena (1921)
Riferimenti e bibliografie:
- Comoedia, 1° luglio 1923;
- La canzonetta, 21 dicembre 1927;
- Il Brillante, 14 dicembre 1928;
- Giornale di Sicilia, 12 gennaio 1929;
- La Nazione, 10 marzo 1929;
- R. De Angelis, Guida alla Rivista, Milano 1953, passim;
- L. Ramo, Storia del Varietà, Milano 1956, pp. 99 s.;
- Anna Fougez, in Enciclopedia dello spettacolo, V, 1958, coll. 570-572;
- S. Di Massa, Il café-chantant e la canzone a Napoli, Napoli 1969, passim;
- R. De Angelis, Café-chantant: personaggi e interpreti, a cura di S. De Matteis, Firenze 1984, pp. 79 s.;
- L. Pantaleo, Anna Fougez. Il mondo parla io resto. Il volto, la linea, il fascino, le canzoni, la magia del “mito” più popolare del varietà fra le due guerre, Taranto 1986.
- Anna Fougez, Il mondo parla ed io passo, Casa Editrice Pinciana, Roma, 1930
- Anna Fougez, Il mondo parla ed io passo, Edizione riveduta e corretta a cura di Domenico Sellitti, Edit@, Taranto, 2016, ISBN 9788899545086
- Doriana Legge, Anna Fougez diva del varietà, in «Teatro e Storia», vol. 38, 2017.
- Domenico Sellitti, Le donne di Taranto, Edizione Edit@, Taranto, 2006, ISBN 9788899545710
- Cataldo Sferra, Aveva scè accussì! Anna Fougez. Storia di una diva tarantina, Edit@, Taranto, 2016, ISBN 9788899545253
- Nantas Salvalaggio, «Epoca», anno II, n.40, 14 luglio 1951
- "Follie del Varietà" (Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè), Feltrinelli, Milano, 1980