«Fermo con le mani!» Erzsi Paal intervista Totò
Vi prego di credere che un'intervista con Totò non è la cosa più facile di questo mondo: con tutto che tre lingue (la mia, l'ungherese; il tedesco e l'italiano) le conosco posso dir bene, Totò ha una mimica che è assai più espressiva di ogni lingua parlata. E sarebbe questa per il pubblico, la più interessante a riferire, ma come si fa?
Inoltre, abituata ormai a lavorare con lui per lo schermo (abbiamo testè finito di fare insieme Fermo con le mani) egli mi ispira una così sincera ammirazione che vorrei parlargli con... un certo rispetto.
Viceversa Totò cerca di mancarmi subito del medesimo, affermandomi che non ama parlare troppo di sè stesso ma ama moltissimo le belle donne, specie giovani, specie Gaia, specie del tipo «soubrette». Lo richiamo all'ordine ma egli prosegue imperterrito:
- E allora che volete che vi dica di interessante? Che preferisco il caffè e latte alla camomilla, i colletti flosci a quelli duri, il mezzo di trasporto ad andare a piedi...
- Tuttavia...
- Tuttavia, capisco il vostro pensiero. Si può sempre dire - anzi, si può sempre inventare - qualche dramma e qualche commedia che abbia stretta attinenza con gli inizi di una vita d'artista: «un giorno ero quasi per morire di fame», oppure «un giorno sorridevo distrattamente quando capitò un impresario nordamericano...». Neanche in questo vi posso servire. Credo che poca gente abbia seguito in maniera più normale la propria inclinazione. Fin dalla più tenera età - la frase è di rigore - ho nutrito una straordinaria passione per l'arte, che è sempre la stessa, in tutte le sue più svariate manifestazioni nel teatro. E appena mi è stato possibile, senza nessuna preventiva e straordinaria avventura, ho cominciato ad affrontare il pubblico...
- ...con successo...
- Già, è inutile negarlo, con successo. Eppure neanche la sera del mio esordio allo Jovinelli di Roma, qualcosa come una quindicina di anni fa , è accaduto il finimondo, come è accaduto a tanti altri artisti, almeno stando alle autobiografie. Sono piaciuto subito, questo va detto. Tanto vero, che soltanto pochi giorni dopo il debutto fui riconfermato per tre anni, con un contratto di esclusività, nello stesso teatro in cui Petrolini iniziò la sua gloriosa carriera.
- E dallo Jovinelli in poi?
- Sempre in varietà, in quelli che, allora, erano i grandi teatri d'arte varia, ancora nel pieno e fervoroso favore del pubblico: la sala Umberto di Roma, il Maffei di Torino, il Trianon di Milano, l'Apollo di Bologna. Ma già la rivista, questa odierna, beniamina del pubblico, si avanzava vittoriosa sulle ribalte. Ero a riposo sull'incantevole Riviera di Rapallo quando Maresca mi convinse di accettare una scrittura con lui. E così debuttai in grande stile al Lirico di Milano con “Madama follia”, avendo a compagni Orsini ed Isa Bluette, con i quali iniziai un lungo giro dei più grandi locali d'italia.
- E se parlassimo un po' dei vostri primi passi sulla via dello schermo?
- Già...Ma gli inizi miei del cinema a differenza di quelli del teatro furono leggermente scabrosi. Fui chiamato alla Cines di Pittaluga ed esegui il regolare «provino». Soltanto, un regista ebbe la brillante idea di dirmi che sarebbe stato bene che, con la faccia che Iddio mi aveva data, facessi tutto il possibile per imitare... Buster Keaton. Presi cappello in senso proprio ed in senso figurato, dichiarando che mi sentivo soltanto di fare... il Totò. Così ripresi il mio fardello di Pellegrino e tornai al mio varietà, formando la compagnia di riviste che agisce ormai da cinque anni.
-Totò, a questo punto, dimostra chiaramente ed aver finito. Inutile chiedergli quello che farà se sarà ancora nel cinematografo.
- Aspettiamo il giudizio del pubblico - conclude - anche per questo... e permettetemi di riprendere un mio tema ha favorito - aggiunge - che avete cercato di troncare in principio: le belle donne, giovani, spigliate, le «soubrette», insomma, che sono la mia vera passione.
«Cinema Illustrazione», anno XII, n. 5, 3 febbraio 1937
«Cinema Illustrazione», anno XII, n. 5, 3 febbraio 1937 |