Starace Sainati Bella (Bella Starace)
Bella Starace (Napoli, 2 giugno 1878 – Bologna, 4 agosto 1958) è stata un'attrice italiana di teatro, cinema e televisione.
Biografia
Figlia di un giureconsulto, conseguì il diploma magistrale a soli 17 anni ma non proseguì gli studi, per dedicarsi alla recitazione entrando nella compagnia di Antonio Zorri. Passò successivamente a quella di Tina Di Lorenzo e Flavio Andò, venendo scritturata con la qualifica di amorosa.
Conosciuto sul palcoscenico Alfredo Sainati, ne divenne la moglie e assieme a lui entrò in altre prestigiose formazioni come quella di Italia Vitaliani e Bianca Iggius. Ottenne buoni consensi in Diritto di vivere di Roberto Bracco ed entrò nel 1900 e fino al 1905 nella compagnia di Ermete Zacconi. Dopo aver effettuato una lunga tournée in sudamerica, entrò nella Compagnia del Grand-Guignol fondata dal marito nel 1908 e nella quale divenne prima attrice.
Successivamente fu in compagnie dirette da Guido Salvini e recitò accanto a Tat'jana Pavlova e Lia Orlandini per poi ritirarsi temporaneamente dalle scene negli anni trenta. Ritornò sul palcoscenico nel dopoguerra interpretando ruoli importanti in drammi applauditi come Il voto, Teresa Raquin di Émile Zola (nel ruolo della suocera inferma, 1946) con la compagnia Evi Maltagliati e la regia di Giorgio Strehler e La casa di Bernarda Alba di García Lorca dove fu autorevole nel ruolo di Ponzia, contrapposta a Wanda Capodaglio, del 1947. Seguirono altre convincenti prove in lavori come La fiaccola sotto il moggio del 1952 e Il ferro del 1953.
Nel cinema esordì sin dai tempi del muto distinguendosi in tre pellicole dirette da Amleto Palermi (Il dramma dell amore e Il peccato del 1920 e La casa degli scapoli del 1923). Negli anni trenta e fino alla prima metà anni cinquanta fu invece attivissima nel cinema sonoro dove la sua presenza, in ruoli di carattere, divennero una presenza costante.
Morì presso la Casa di Riposo per artisti Lyda Borelli a Bologna.
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Bella Starace Sainati e il teatro del terrore
Il teatro ha sempre dato emozioni. L’animo degli spettatori è il bersaglio degli autori drammatici autentici. E poiché oggi si dice e si sostiene che non è tanto il cuore che deve aver di mira chi scrive per il teatro, ma il cervello e si citano naturalmente a sostegno di tale tesi le commedie di Pirandello, è bene richiamare l’attenzione dei superficiali che, se è vero che nelle commedie di Pirandello i personaggi si esprimono per via di raziocinii, non è men vero che sotto questo discettare si nasconde una sofferenza umana radicata e profonda senza la quale i più lucidi ragionamenti e le più sottili dialettiche sarebbero, sulla scena, fredda giustapposizione di periodi. Nè il teatro di Pirandello avrebbe vinto. Esso ha potuto sventolare il vessillo della vittoria quando ne è stato scoperto il contenuto umano. Pirandello stesso non si compiaceva d’esser chiamato filosofo, ma desiderava lo si definisse poeta, cioè interprete dei segreti degli uomini.
Dunque teatro suscitatore di emozioni. Tra queste ve n’ha di facili e di difficili; di quelle che fioriscono nelle anime semplici e di quelle che scuotono le anime complicate od elevate. Ma, credete a me, tutte vibrano quando aspirano a qualcosa che è nato dal dolore umano. Dico: credete a me, perchè ciò ho sempre riscontrato durante mezzo secolo di teatro, di cui quarantasei anni militati nelle sale di spettacolo.
Le emozioni hanno la loro graduatoria. Nei primi quindici anni del nostro secolo i drammi erano a forti contrasti. Sono drammi che le nuove generazioni dispregiano anche perchè non li conoscono e ad ogni modo sono là, saldi, a documentare un periodo della vita italiana e, diciamo la verità, non il peggiore. Ebbene proprio in quegli anni in cui il dramma procedeva ad aspri conflitti e i personaggi si dicevano tutto, apertamente, brutalmente, in base al concetto che gli uomini sia pure inciviliti e della migliore società, quando sono invidiosi, gelosi o rapaci, a un certo punto, si spogliano della veste imposta dalla civiltà, e si affrontano e si azzannano come gli antenati delle foreste, proprio in quegli anni era nato a Parigi un teatro che spingeva la drammaticità fino al terrore. Nulla a che vedere con la tragedia. Nella vera tragedia c'è sempre un fermento di poesia. In quella forma teatrale poesia non ne appariva affatto: ma la paura, l’incubo, lo spavento, l’angoscia e l’ambascia. Un teatro da far accapponare la pelle. E si chiamò « Grand-Guignol ».
Ebbe subito fortuna. Trovò autori adatti al genere. In Italia già se ne era avuto un saggio con Ermete Zacconi che, da grande attore e scopritore di autori stranieri e nostrani, s’era artisticamente incuriosito di un dramma in due quadri di De Lorde Al telefono. Nel primo quadro si assisteva alla partenza d’un marito e padre e se ne conoscevano la moglie e i figli e se ne apprendevano i teneri rapporti reciproci. Nel secondo il brav’uomo veniva chiamato al telefono, là dove si era recato, dalla moglie e da quanto si udiva e dal tono, dall’ansietà, dalla disperazione, dallo strazio della voce e delle battute brevi e accortamente collocate, si capiva che nella sua casa erano entrati dei malfattori, e che la moglie li sentiva arrivare, impotente a salvarsi, e che i figli correvano grave pericolo. Il disgraziato assisteva così al terribile dramma della sua famiglia lontana.
Questo tema terrificante è stato poi ripreso dal De Lorde in collaborazione, se la memoria non mi inganna, con Métenier, nel breve atto intitolato Lui. E qui ricordiamo Beffa Starace Sainati. Ormai Alfredo Sainati aveva formato la «Compagnia del Grand-Guignol» sull’esempio parigino e ne aveva cominciato a portare lo speciale repertorio dinanzi alle platee italiane con fortuna, successo e merito. Poiché non s’ha da disconoscere al Sainati l’abilità nell’aver saputo trovare il tono e il ritmo di questo particolare teatro che anticipava i fiati sospesi degli attuali drammi polizieschi. Era costituito da lavori in un atto, in ognuno dei quali lo spettatore si sentiva preso per la gola. Anzi andava ad ascoltarli proprio per sentirsi preso per la gola. Se ciò non avveniva, protestava e fischiava.
Terrificantissimo era Lui. Si trattava di questo. In una stanzetta miseranda d’una «casa chiusa» di terz’ordine, una donna riceve un ospite. Da qualche tempo i giornali riferiscono di un satiro sanguinario che avvicina le donne, le attrae con mille cortesie, e poi le uccide, con un coltello. La donna sotto l'impressione di quelle notizie è in uno stato di allarme. Ma non ci vuol pensare. Senonchè, a poco a poco, da piccoli indizi, dal modo di parlare e di comportarsi dello sconosciuto, si rende conto che si tratta proprio dell’assassino. Allora vorrebbe sfuggirgli, allontanarlo; e l’atto assume un clima d’incubo che va sempre più accentuandosi. E’ stato uno dei più calorosi successi della Compagnia, grazie anche alla recitazione di Bella Starace.
Ella ha dato un apporto decisivo alla fortuna della Compagnia del Grand-Guignol ma si sarebbe altresì affermata nel dramma e nella commedia, ricca com’era di risorse e di possibilità. Napoletana di nascita aveva conservato nell'arte sua il fervore della sua terra e, piegata a un genere che richiedeva un adeguamento delle espressioni drammatiche, seppe servirlo come meglio non si sarebbe potuto. Quando la si vedeva in camerino con la sua faccia aperta, il suo bel sorriso e gli occhi stellanti pareva fosse un’altra persona e non colei che pochi minuti prima aveva procurato un groppo alle tonsille del pubblico.
Il quale era pure di indole particolare. Più veniva sottoposto alle pene di un groviglio inestricabile in cui protagonista minacciosa, invisibile, ma sensibile era la Morte e meglio ci si trovava. Era un pubblico allenato. Ma, ai primi tempi, capitava che qualche spettatrice, sul più bello, svenisse in platea. Due ne sono svenute contemporaneamente una sera al Filodrammatici di Milano, mentre si rappresentava L'orribile esperimento, di cui non ricordo ora gli autori ma non me ne importa. In quell’atto che si svolgeva in una sorta di sala operatoria, uno scienziato pazzo s’era fissato di poter far risorgere un cadavere, regolarmente presente sul lettino di ferro. Orbene, quando il medico mediante una corrente elettrica ad alta tensione crede di ridare la vita al defunto questi ha uno scatto e agguanta per la gola l'operatore e lo strangola. A questo punto con due languidi sospiri le due spettatrici hanno reclinato il capo sulla spalliera della poltrona mentre, accese le luci nella sala, il dottore di servizio accorreva a soccorrerle.
Teatro di buon gusto, il teatro del terrore o del brivido? No, di certo. Queste emozioni violente racchiudono qualcosa di artificioso e di meccanico che le allontana da qualsiasi velleità artistica. Ma, a parte dò, Beffa Starace Sainati vi ha figurato ottimamente, e quando, scomparso il Sainati, anche il Grand-Guignol si eclissò, l’attrice trovò ugualmente lavoro.
Ritiratasi nella Casa di Riposo degli artisti drammatici di Bologna ci rimase pochi anni. Varcò l’ottantina e pareva a volte che tutti gli spaventi simulati sulla scena le turbassero la quiete dello spirito. Destino d’attrice che il giro della sua vita ha voluto così.
Eligio Possenti, «La Domenica del Corriere», anno LX, n.34, 24 agosto 1958
Filmografia
Giuseppe Verdi, regia di Carmine Gallone (1938)
Le due madri, regia di Amleto Palermi (1938)
Fascino, regia di Giacinto Solito (1939)
Napoli che non muore, regia di Amleto Palermi (1939)
Cavalleria rusticana, regia di Amleto Palermi (1939)
Follie del secolo, regia di Amleto Palermi (1939)
Il ponte dei sospiri, regia di Mario Bonnard (1940)
La gerla di papà Martin, regia di Mario Bonnard (1940)
La peccatrice, regia di Amleto Palermi (1940)
Addio giovinezza!, regia di Ferdinando Maria Poggioli (1940)
San Giovanni decollato, regia di Amleto Palermi e Giorgio Bianchi (1940)
L'ispettore Vargas, regia di Gianni Franciolini (1940)
Ridi pagliaccio, regia di Camillo Mastrocinque (1941)
Nozze di sangue, diretto da Goffredo Alessandrini (1941)
L'amante segreta, regia di Carmine Gallone (1941)
Primo amore, regia di Carmine Gallone (1941)
Signorinette, regia di Luigi Zampa (1942)
Gelosia, regia di Ferdinando Maria Poggioli (1942)
Redenzione, regia di Marcello Albani (1942)
Odessa in fiamme, regia di Carmine Gallone (1942)
Carmela, regia di Flavio Calzavara (1942)
Quarta pagina, regia di Nicola Manzari (1942)
Nessuno torna indietro Regia di Alessandro Blasetti (1943)
Finalmente si, regia di Ladislao Kish (1944)
07... tassì, regia di Armando Traversa (1944)
Lettere al sottotenente, regia di Goffredo Alessandrini (1944)
I dieci comandamenti, regia di Giorgio Walter Chili (1945)
Addio, mia bella Napoli!, regia di Mario Bonnard (1946)
Furia, regia di Goffredo Alessandrini (1947)
Il Passatore, regia di Duilio Coletti (1947)
La monaca di Monza, regia di Renato Pacini (1947)
Fabiola, regia di Alessandro Blasetti (1949)
Vertigine d'amore, regia di Luigi Capuano (1949)
Il voto, regia di Mario Bonnard (1950)
È più facile che un cammello..., regia di Luigi Zampa (1950)
Cameriera bella presenza offresi..., regia di Giorgio Pastina (1951)
Gli innocenti pagano, regia di Luigi Capuano (1952)
Processo alla città, regia di Luigi Zampa (1952)
Noi peccatori, regia di Guido Brignone (1953)
Condannatelo!, regia di Luigi Capuano (1953)
Nerone e Messalina, regia di Primo Zeglio (1953)
Vortice, regia di Raffaello Matarazzo (1953)
Passione, regia di Max Calandri (1954)
Teatro
Teresa Raquin di Émile Zola, regia di Giorgio Strehler, con Evi Maltagliati, Bella Starace Sainati, Mercedes Brignone, Luisa Rossi, Landa Galli, Lida Ferro, Hans Hinrich, Salvo Randone, Tino Carraro, Mario Feliciani, Franco Parenti, Angelo Sivieri, Luciano Alberici, Mario Pucci, Dino Riefolo, Gianrico Tedeschi, Ennio Groggia, Giorgio Strehler. Teatro Odeon, Milano, 4 giugno 1946.
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- Eligio Possenti, «La Domenica del Corriere», anno LX, n.34, 24 agosto 1958