«Totò e il fantasma di Don Chisciotte» – Cronaca tragicomica di un film mai nato
C’era una volta un attore geniale, un cavaliere della risata, che si svegliò un giorno e pensò: “Sai chi potrei interpretare alla perfezione? Un pazzo scatenato che combatte mulini a vento e crede che un’osteria sia un castello.” Ovviamente, stiamo parlando di Totò e della sua ossessione per Don Chisciotte.
L’idea nasce già nel 1935, quando Totò, ancora in avanspettacolo, si veste da Cavaliere della Trista Figura e fa una parodia teatrale. Gli rimane nel cuore. Quando nel ‘48 si sparge la voce di ben tre film francesi sul Don Chisciotte (mai realizzati, ça va sans dire), Totò fiuta l’occasione: "Lo faccio io, e lo faccio meglio".
Parte il carrozzone. Sceneggiatori di livello altissimo (Zavattini, Pietrangeli, Barbaro...), scenografie mentali da capogiro, produzione internazionale. Totò è perfetto per il ruolo: ha cinquant’anni come Don Chisciotte, è magro, ha la faccia giusta, l’occhio spiritato, la recitazione esagitata. Manca solo una cosa: il film.
Nel frattempo, Totò è nel pieno della sua "Totòmania": sforna film a raffica, accetta tutto, gira con chiunque, tipo maratoneti della macchina da presa (Mattoli e Bragaglia, per capirci). Il Don Chisciotte resta lì, in bilico tra sogno e contratto mai firmato.
Si prova anche a coinvolgere René Clair, poi Fellini, poi mezza Europa e mezzo mondo. Vengono annunciate versioni con Fernandel, Laurence Olivier, Danny Kaye, Gary Cooper, perfino Bud Spencer e Terence Hill (per un pubblico che forse avrebbe voluto vedere Sancio che mena Don Chisciotte). Tutto annunciato, niente fatto.
Totò ci riprova nel ‘55, fonda una casa di produzione sua (la mitica e sfortunata D.D.L.), vuole farlo in Cinemascope e Technicolor. Ma viene colpito da una grave malattia agli occhi, e si ritira nella penombra – forse l’unico posto dove Don Chisciotte gli sembrava ancora possibile.
Confessa su Gente: “Il mio sogno è fare Don Chisciotte”. Ma resta sogno. Un sogno che si spegne con lui. E il cavaliere pazzo torna a essere solo un’ombra cinematografica inseguita invano da registi di mezzo mondo, mentre Franco e Ciccio arrivano per ultimi e si prendono la parte – come dire – con lo spirito giusto, ma qualche centimetro sotto.
Immaginiamo che il film sia stato realizzato: una recensione esclusiva così poteva recitare:
"Don Chisciotte della Mancia" con Totò (Il capolavoro che non vedrete mai)
Regia: Forse Vergano. Forse Clair. Forse Dio stesso.
Sceneggiatura: Un esercito di intellettuali, da Zavattini a Barbaro. Tutti al lavoro... per nulla.
Produzione: OFI, D.D.L., e probabilmente anche l'immaginazione collettiva.
Durata: Variabile. Al momento siamo fermi a zero minuti.
In un mondo dove i sogni si infrangono contro i mulini a vento della burocrazia, un uomo osa troppo: Totò, l’unico, il solo, il principe della risata, decide di incarnare Don Chisciotte. Ed è subito poesia.
Purtroppo, solo sulla carta. Il film, mai girato, è un piccolo miracolo di cinema immaginario. Una pellicola fatta di bozze, annunci stampa, e locandine disegnate più per convincere i produttori che per il pubblico. Ma che pellicola sarebbe stata!
Immaginate Totò, con la sua faccia scavata e lo sguardo visionario, a tu per tu con i mulini. Una battaglia epica... persa in partenza. Sancio Panza? Forse Mario Castellani, forse un sosia, forse un’idea. Dulcinea? Probabilmente una che passava di lì.
La sceneggiatura, opera collettiva di alcuni tra i più raffinati cervelli del cinema neorealista, prometteva una commedia satirica con toni melanconici. Ma il tempo, si sa, non aspetta nessuno. Nemmeno i cavalieri erranti.
Il protagonista, nel frattempo, era impegnato a girare commedie a catena. La produzione cercava registi con la fionda. René Clair scappa. Fellini ci pensa, ma poi no. Persino Orson Welles si lascia tentare da un Chisciotte che non troverà mai pace sullo schermo.
"Don Chisciotte della Mancia" con Totò è oggi il Santo Graal del cinema italiano: tutti lo cercarono, nessuno lo trovò.
Voto:
⭐⭐⭐⭐⭐ per l’intenzione.
⭐ per la realizzazione (che non c’è stata).
🍷 per l’amarezza lasciata in bocca.
Un film che non esiste, ma che vive ancora nel nostro immaginario. E in fondo, cosa c’è di più chisciottesco di inseguire un sogno impossibile?
Il monologo teatrale in stile Totò, tra malinconia e sberleffo, tra sogno e realtà.
Titolo: Don Totò Quixote
(Luci basse. Un uomo entra in scena. È Totò, o meglio, un suo alter ego, vestito a metà: da una parte il frac da comico, dall’altra un’armatura mezza arrugginita. Si guarda intorno, afferra un elmo e lo osserva.)
TOTÒ:
Eccolo qua. L’elmo del cavaliere errante. L’ho tenuto per anni, sai? Mi stava pure bene. Stretto in testa, largo di cuore. E dentro ci sentivo un’eco... l’eco di Cervantes.
Oh, non rideva mica, Cervantes. Lui rideva di noi, ma con una lacrima nell’occhio. Come me.
Io volevo farlo, quel Don Chisciotte. Sul serio. Non uno scherzo, eh! Volevo cavalcare la Mancha a dorso di un ronzino spelacchiato... io e Sancio, magari Peppino, ma quello litigava pure con l’ombra sua.
(Mette l’elmo in testa. Si trasforma per un attimo.)
"Sancio! Ai mulini! Caricaaa!"
(Pausa. Si toglie l’elmo.)
...e invece, niente. Produzioni saltate, registi fuggiti, contratti come le promesse dei politici: tanti saluti e grazie.
Mi dicevano: "Ma Totò, fai un’altra commedia, che ridi e incassi." E io facevo... facevo tanto. "Totò a colori", "Totò cerca casa", "Totò al polo nord, al polo sud, su e giù per lo stivale..." E intanto il mio cavaliere restava lì, nel cassetto dei sogni.
(Molto serio ora.)
Ma io lo vedevo. Eccome se lo vedevo. Era come me. Vecchio abbastanza da sapere che il mondo è marcio... Ma scemo abbastanza da provarci lo stesso.
Sognavo un film che era una tragedia travestita da farsa, o una farsa che si credeva tragedia. E dentro c’era tutto: la miseria, l’orgoglio, l’amore per Dulcinea, che magari era solo una comparsa con la parrucca storta, ma per me... era la regina.
(Piccola risata amara.)
Alla fine, non l’ho fatto. L’ho sognato così forte che ho consumato la pellicola dell’immaginazione Forse meglio così. Forse quel Don Chisciotte doveva rimanere un desiderio, non un film.
Perché se l’avessi fatto, magari non sarebbe stato all’altezza.
Ma dentro, signori miei... dentro di me, il Don Chisciotte l’ho fatto eccome.
E continuo a farlo, ogni volta che combatto contro un mulino di bugie, di vigliaccherie, di risate vuote.
(Riprende l’elmo, lo guarda, lo bacia.)
E allora, chapeau, cavaliere. Rimani sogno, ché nella realtà ci stanno già troppi Sanci e pochi pazzi.
(Luci che calano. Applausi immaginari. Sipario.)
Il progetto originale - La stampa dellepoca
Regia di Aldo Vergano / Renè Clair. Riduzione cinematografica dal romanzo di Miguel de Cervantes di Antonio Pietrangeli, Lucio Battistrada, Marcello Bollero, Cesare Zavattini, Umberto Barbaro, Aldo Vergano.Produzione Organizzazione Films Internazionali.
«L'Araldo dello spettacolo», novembre 1949
«Il regista di "Don Chisciotte"...con Totò protagonista, sarà Aldo Vergano, il quale intanto si accinge a dirigere il film già annunciato col titolo "Montelepre". Secondo una comunicazione del'A.R.I., il titolo è stato cambiato per disposizione del Ministero dell’Interno che ha anche richiesto l'eliminazione di ogni accenno al bandito Giuliano».
Andrea Santini, «Cinema», 30 gennaio 1950
A colloquio con il regista Aldo Vergano
Totò impugna la spada di Don Chisciotte
Il celebre comico in un personaggio paradossale - La trama del film
«[...] Aldo mi parla dei suoi impegni in Italia. Due impegni singolari: un film sui banditi siciliani e un film con Totò.
Il film sui banditi siciliani dovrebbe chiamarsi «Montelepre». Il nome ha fatto paura. i banditi ci sono, ma è meglio dire, ancora una volta, che ”qualsiasi riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale”... Il nuovo titolo provvisorio sarà dunque «I fuorilegge». Ad ogni modo il cinema italiano bada alla sostanza, e Vergano cercherà di trattare il problema con onestà e obiettività.. Protagonisti del film: Vittorio Gassman, Maria Grazia Francia, Ermanno Rondi.
«E il film con Totò?»
«Si tratta di una variazione sul tema classico di Don Chisciotte - mi dice Vergano-. Il fatto che si sia pensato a Totò come protagonista del film non indica in alcun modo che si voglia ancora una volta costruire un film di cassetta su di una trovata brillante. Io credo che sia utile fare un film con Totò, proprio si si ha qualcosa da dire, se si riesce, cioè, a dare un senso umano a questo nostro umano personaggio, a questa maschera oggi così popolare.
Troppe volte, ormai, si è visto Totò costretto a ripetere meccanicamente atteggiamenti e battute da lui stesso inventate alcuni anni fa o ricalcati sulla prosa dei settimanali umoristici. Nel mio film Totò impersonerà la figura di un giovanotto il quale, carico di debiti di ogni genere, viene denunciato dai creditori e condannato, secondo le consuetudini vigenti Spagna quattro secoli fa, al taglio della mano. Poiché la folla si commuove alle sue tristi sorti, i magistrati gli concedono una proroga di dieci giorni. La fortuna vuole che egli ritrovi suo zio, il famoso Cavaliere Don Chisciotte, il “nostalgico” della Cavalleria, l'eroe incompreso che, nell'età dei commerci e delle industrie nascenti, aveva tentato di resuscitare favolosi miti del buon tempo andato. Il buon Cavaliere è in punto di morte ed ha tempo di nominare Totò suo erede universale. Totò entrerà, però, in possesso dell'eredità (cioè una cassetta, una vacca e un ronzino) se sarà capace di ritrovare l’elmo di Mambrino, perduto dal Cavaliere in una delle sue tante romantiche battaglie. Nel frattempo, sarà il notaio ad usufruire dell'eredità.
Dopo aver vissuto una serie di avventure ed aver superato tutti gli ostacoli e i tranelli tesigli da Brinuccio, sicario del notaio, Totò finisce per venir di nuovo condannato, questa volta per furto sacrilego. La pena è il rogo. Il rogo che è stato composto da un famoso pirotecnico, esplode e porta Totò, a razzo, nel castello di Venares, dove l'elmo di Mambrino è stato utilizzato come mangiatoia per i cani. Dopo una furiosa contesa con i mastini ed un torneo con Brinuccio, Totò, aiutato dal suo scudiero Sancio Pancia, riesce a conquistare l’elmo. Ma intanto, i dieci giorni concessigli per il pagamento dei debiti sono scaduti e, al suo paese, il notaio liquida la sua proprietà col pretesto di pagare i creditori.
Sancho Pancia e la donna che si era innamorato dell'erede - ora che questi non possiede più niente - se ne vanno col notaio, arricchito dall’affare. Totò si unisce a una colonia di forzati, dopo averli liberati lancia in resta, e va con loro alla ventura.
«La sceneggiatura, alla quale stanno lavorando Barbaro, Zavattini, Pietrangeli, Bollero, Battistrada - ha continuato Vergano - mi offre la possibilità di tentare veramente qualcosa di interessante. Non sono il primo a pensare che si possa costruire con Totò, un personaggio di una certa consistenza poetica. Ma forse, altre volte, è mancato il soggetto, forse i produttori non hanno avuto il coraggio di puntare seriamente su questa carta. L'impegno finanziario del film è già un'indicazione: sarà, questa volta, un lavoro in costume, con scene in esterno che verranno girate in Sicilia, in un paesaggio ancora ricco di vestigia spagnolesche».
Carlo Lizzani, «L'Unità», 19 febbraio 1950
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- «Il Messaggero», 15 febbraio 1935
- «L'Araldo dello spettacolo», novembre 1949
- Andrea Santini, «Cinema», 30 gennaio 1950
- Carlo Lizzani, «L'Unità», 19 febbraio 1950