Approfondimenti e rassegna stampa - Alberto Sordi
Alberto Sordi, raccolta di articoli di stampa
Totò, genio puro come Keaton e Charlot
Il «compagnuccio» Sordi
Lo zampino di De Sica in un film comico
Lo sceicco bianco
Il seduttore rovinato dalle amanti gelose
Divertente come i suoi film, la vita di Alberto Sordi
Breve ritratto artistico di Alberto Sordi
Un regista che difende il matrimonio
Alberto Sordi: «cerco da anni una moglie tranquilla»
Un amore a Roma: Alberto Sordi e Annette Stroyberg
Alberto Sordi il solitario
Alberto Sordi vuol fare il cosmonauta
Alberto Sordi, mafioso involontario
Alberto Sordi presenta il suo album
Lo irrita la "moltiplicazione dei Sordi"
Sordi non ha voluto finire nel serraglio
Alberto Sordi, radiografia di un divo
Alberto Sordi: «mamma mia che impressione, me stavano quasi per magnà»
Silvana Mangano, monaca mancata
Sordi finisce in carcere
Un cammello per lo Sceicco bianco
Il cammello dello Zoo di Roma è stato trasportato sulla sabbia di Fregene a vivere la sua ora di gloria. È un vecchio cammello stanco, disabituato alle fatiche e ormai dimentico di essere stato una volta «la nave del deserto». Cosicché, quando l’attrice Lilia Landi si è sistemata sulle sue gobbe per tentare la fuga verso l’ignoto, non ha voluto saperne di alzarsi e, infine costrettovi da pungoli e da grida, ha mosso qualche passo indolente per tornare a sdraiarsi subito dopo fra beduini e sulamite. A Fregene si sta girando «Lo sceicco bianco», patetica e garbata satira degli eroi dei giornali a fumetti. Lo dirige Federico Feliini, che firmò con Lattuada «Luci del Varietà» e ora si è deciso al gran passo della regia. Fellini ha trentanni. Intorno al 1940 fu «poeta di compagnia» di Fabrizi; poi, firmando «Federico», fu uno dei più apprezzati redattori di un giornale umoristico.
Negli ultimi mesi della guerra (aveva già sposato l’attrice Giulietta Masina), sbarcò il lunario inventando, col pittore Scordio, il «Funny Face Shop», una botteguccia dove i soldati alleati potevano ottenere una caricatura inquadrata in tipici ambienti della Roma antica e moderna. Fellini fuggì di casa a 17 anni e non si vergogna di dire che ha fatto più volte la fame. In un certo periodo si trovò a farla con Alberto Sordi, clienti serali della stessa latteria. Ora, in attesa di realizzare un secondo film sulle avventure dei suoi famosi «compagnucci della parrocchietta», Sordi è il protagonista de «Lo sceicco bianco», con Lilia Landi nella parte di un’eccelsa diva dei «fumetti», e con Brunella Bovo, timida e romantica sposimi provinciale giunta a Roma col desiderio di conoscere il suo «eroe». Il motto di Brunella Bovo è «acqua e cognac». «Lo sceicco bianco» è il suo terzo film: per la terza volta (dopo «Miracolo a Milano» e «La vendetta di una pazza») si vede costretta a inzupparsi d'acqua e a ingurgitare cognac per riscaldarsi. Ma non se ne lamenta. Nonostante i continui bagni, è lo specchio della felicità. Quarto interprete, il commediografo Leopoldo Trieste. Quando egli sognava solo palcoscenici, il povero Francesco Pasinetti gli aveva predetto : «Tu finirai attore». E Trieste è diventato il «comico Poldino».
«Epoca», 1951
Volendo dure ai Vitelloni un sottotitolo che lo descriva, ce n’è uno che pare proprio fatto apposta, « Scene della vita di provincia ». Non lo dico per sfottò, che sarebbe stupido. Lo dico perché (considerato casuale ogni riferimento a fatti e persone reali, cioè a Balzac) questo è praticamente il film di Fellini, una successione di scene ed episodi della vita provinciale, senza stretta concatenazione tra loro, ma solo apparentemente riuniti dall’affinità dell’ambiente e del costume. Questo frammentismo, in cui qualcuno comincia a vedere con ragione un’incipiente pericolo per il nostro cinema, è stavolta per combinazione una insita necessità del soggetto, trattandosi di rappresentare un mondo di sentimenti incompiuti e di esistenze senza scopo: il mondo ristretto ma tipico di una certa gioventù piccolo borghese di provincia, la quale, portata dall’insufflcienza stessa dell’ambiente, ripiega sopra una vita neghittosa e mediocre, cercando nei modesti spassi e nei piccoli piaceri d'ogni giorno il provvisorio surrogato a quei progetti di avventura e di evasione che vengono continua-mente rimessi.
In realtà benché ciondolino insieme dalla mattino alla sera, ciascuno di questi cinque vive per proprio conto, col propri desideri e i propri rimpianti, solo unendoli la comune noia, e il bisogno di reagire a questa noia, e insieme di distinguersi dalla stagnante normalità che li circonda, assumendo gesti e modi spregiudicati che sono una locale affettazione di snobismo. Sotto queste forme emancipate essi mantengono in realtà tutti i difetti del loro ambiente, la piccineria pettegola, l’indifferenza egoista (guardate come si disinteressano di Leopoldo, il letteratucolo illuso, e lo abbandonano solo proprio nel momento in cui l'infelice crede finalmente di varare il suo ennesimo dramma inedito), e qualche volta anche lo scherno cattivo (la risataccla sguaiata e interminabile degli amici che si allontanano sulla strada, dopo aver sentito che il padre di Fausto, il fatuo dongiovannino di paese, lo costringe a sposare la ragazza che aveva resa incinta, quando già egli si preparava a battersela). E' quella cattiveria, frutto di una convivenza troppo vicina, che confessava del resto anche Leopardi, quando era «vitellone» a Recanati:
«Ed aspro a forza - Tra lo stuol dei malevoli divengo»; solo uno speciale « vitellone », che non andava a donne, non giocava a biliardo e scriveva il greco e il latino come Bessarione. A parte le loro miserie, in fondo bravi ragazzi, bravi ragazzi all’italiana, attaccati alla famiglia, sicché resta alla fine un’impressione mista di scombinato e di patetico, di deplorazione e di simpatia.
Ho voluto mostrare prima come i lineamenti di questo ambiente e di questi tipi siano stati sostanzialmente veduti giusti, per dire adesso che i loro sviluppi non sempre lo sono. Chiaramente impostato e condotto è per esempio, nella sua sbruffoneria faceta e puerile scapestrataggine, il personaggio di Alberto, tenuto da Sordi, ma assolutamente sbagliato, nella sua uggiosa passività, è quello di Monaldo dato ad Interlenghi. Esso crolla completamente quando, in contrasto aperto con la sua intima drittu-ru e dominante malinconia (che è poi quella che lo condurrà, unica tra tutti, a salvarsi ossia a prendere un treno), acconsente ad aiutare il cognato, il quale gli ha sedotto e rende infelice lo sorella, a rubare un certo angelo scolpito nel solaio di un antiquario, episodio Irritante da cima a fondo, non soltanto perché psicologicamente sfasato, ma perché portato dilettantescamente (quel povero scemo preso come complice apposta perché fin dal primo momento sia chiaro che si faranno pescare!). Anche la partenza di Monaldo, quella partenza senza preparativi e senza destinazione, è un pleonasmo retorico, messo il per finire, e aggravato dall’intervento sul marciapiede del piccolo ferroviere deamicisiano che fa ciao ciao. Così il capitolo del tirocinio di Fausto nell’azienda di oggetti sacri, tutto ingenuo e tutto falso, dal crudo e maldestro tentativo di seduzione, al vermuth con predicozzo morale e conseguente trionfo dell’amore legittimo.
E allora, si chiederà qualcuno, com'è che gli hanno dato il premio? Glielo hanno dato per l'altra metà, che forse è la più importante: per l’acutezza e sincerità di certe notazioni ambientali, per la grazia disinvolta con cui sono colti i giochi e gli umori dei giovani, e per il suo delicato sottofondo di nostalgia. Insomma è un premio duto sulla parola. Si può ben dare un premio sulla parola. Aspettiamo di vedere adesso se la manterrà.
Filippo Sacchi, «Tempo», 1953
Da vario tempo seguo quelli che nell'accezione popolare passano per «films da ridere» e che hanno come protagonisti Totò, Croccolo, Fabrizi, Tino Scotti, Rascel ecc. Infallibilmente, al successo, cosidetto di cassetta mai risponde dignità artistica e tanto meno morale. Eppure tanto è il desiderio del comico da parte del pubblico che vuole trastullarsi la sera, dopo il lavoro quotidiano, cosicché qualunque cosa i produttori ammanniscano ogni stomaco lo trangugia senza protestare anzi pagando e applaudendo. [...] Totò batte il record di tale monotonia quasi nauseante. Gli altri, quando non procedono sul filo dell’osceno, si esibiscono in uscite isolate o staccate dal racconto, in motivi gratuiti o addirittura umiliando il cinema a divulgare quei clichés rimestati in tutte le salse [...] Senonchè, a lungo andare, queste facili vie di successo si inaridiscono stancando il pubblico. Prova ne sia l’intiepidimento per films di Totò. Gli incassi di oggi sono fortunatamente ben lontani dai primi successi di cassetta. Così dicasi di Croccolo, di Tino Scotti, dello stesso Fabrizi che non avendo potuto evadere da quella maschera fossilizzata, già stancano i non più entusiasti (come un anno fa) spettatori. Possibile — ci si chiedeva — che l’Italia non produca una formula dell’umorismo cinematografico pulito e geniale come la Francia con Tati, l’Inghilterra con Kay e l’America con Charlot ?[...]
Siamo appena agli inizi ma lo salutiamo egualmente con affettuosa solidarietà. Alberto Sordi è entrato trionfalmente nel rango del comico cinematografico senza usare, anzi escludendo sesso ed equivoco. Inventa personaggi, alternandoli, per coglierti nel fianco risibile che in genere è determinato da una colpa morale. Il «Seduttore», per esempio, è un piccolo capolavoro che ridicolizza un costume provinciale italiano dei, don Giovanni o dei Casanova in sedicesimo. Umorismo che giunge a segno moralmente e nello stesso tempo sprigiona ilarità sane. Ma qui si vuoje incoraggiare questo giovane attore comico che, volta per volta, si rinnova e crea tipi equidistanti tra la satira asciutta e l’umorismo demolitore. Raramente, in mezzo a tanto scialo d’ostentato immoralismo specie nel teatro e nel cinema per cui vale la regola del successo, si ebbero lezioni di civismo dalle nostre pellicole «che fan ridare». Quello di Charlot è un caso unico e meriterebbe un altro discorso. Sordi se ha il coraggio di continuare e non adagiarsi alla sollecitazione dell’ottenuto successo sarà un rinnovatore, forse colui che inizia un genere cinematografico fin’ora inedito.
Partì da una fortunata rubrica radiofonica coi «compagnucci» e la «parrocchietta». Il primo film «Mamma mia che impressione» fu un fiasco, non tanto per il nuovo tipo di umorismo non ancora approfondito in lui, quanto per la mediocrità tecnica della pellicola. Le platee sono abitudinarie e ci vuol tempo per staccarle dai loro gusti perfino mediocri. Il regista Fellini lo inserì nei «Vitelloni» è trionfò, dopo averlo provato in «Sceicco bianco» con modesto successo. Ora ha battuto le pantomime equivoche di Totò è, se non cede agli interessi dei produttori od all’ignavia propria, diventerà un tipo fondamentale per far ridere senza sporcar le coscienze.
Lorenzo Bedeschi, «L'Azione», 10 dicembre 1954
35 domande ad Alberto Sordi
Alberto Sordi è nato a Roma 35 anni fa. Iniziò la sua carriera come "doppiatore”, prestando la voce in modo particolare al famoso comico Oliver Hardy. Deve la sua prima notorietà ad una rubrica radiofonica. Vive a Roma, con due sorelle, professoresse. Film principali: "La signorina della villa accanto; ”1 tre aquilotti"; "Via Padova 46"; "I vitelloni"; ”Il seduttore"; "Un americano a Roma”; "L’arte di arrangiarsi”; "Il segno di Venere"; "Un eroe dei nostri tempi"; "La Bella di Roma”; "Bravissimo” e, imminente, "Lo scapolo”.
Domanda. - Signor Sordi, qual è. nella vita, la cosa che la "impressiona" di più? E nella sua professione?
Risposta. - I funghi nella vita. Nella professione: le interviste. In modo particolare le domande ”rivolte all’attore”.
D. - A che cosa, principalmente attribuisce il suo successo?
R. - Ai miei insuccessi.
D. - Qual è, secondo lei la più importante istituzione in Italia?
R. - La donna.
D. - Mentre si disponeva ad impalmare la sua quattordicesima moglie, un tale è stato arrestato a New Orleans. Interrogato per quale motivo avesse trascurato di inoltrare le regolari domande per ottenere i successivi divorzi, ha creduto di giustificarsi dicendo: «Me ne ero dimenticato». Come si sarebbe difeso lei, in analoghe circostanze?
R. - Dicendo: «Sono sempre stato contrario al divorzio».
D. - Mi risulta che lei si appresta a girare un film su Nerone. Se un nuovo incendio distruggesse Roma, da che parte e con quale criterio incomincerebbe a ricostruirla?
R. - Sull'esatto modello di adesso, ma speriamo che non se ne presenti l'occasione.
D. - Subito dopo la fine della guerra l’illustre attore Or-son Welles riuscì a seminare il panico nella città di Chicago, annunciando alla radio che i marziani stavano invadendo la città. Si verificarono incidenti e perfino tentativi di suicidio. Se lo stesso annunzio venisse oggi ripetuto in modo che lei non avesse motivo di dubitare della sua attendibilità, quale sarebbe la sua prima e più spontanea reazione?
R. - Direi: «Orson Welles, che jettatore!».
D. - La decisione ultima se lei sia meritevole o meno dell'inferno, spetta ad una buona azione che è in suo potere di compiere tornando per un breve periodo sulla Terra. Ebbene quale sarebbe questa sua buona azione?
R. - Non fare nessun film.
D. - In una società pianificata, quale attività vorrebbe esercitare?
R. - La meno faticosa.
D. - Riconosciutane la necessità, con quale "slogan” pubblicitario propaganderebbe la virtù?
R. - «La virtù affascina le donne; provatela e diverrete loro amici».
D. - Il suo slogan può essere persuasivo soltanto sugli uomini. In quale modo propaganderebbe la virtù presso le donne?
R. - Esortandole al vizio e dicendo loro che è questo il solo metodo per conquistare un uomo. Le donne hanno sempre diffidato dei miei suggerimenti.
D. - Ospite di uno dei suoi più cari amici, viene fatto oggetto di una profferta amorosa della di lui moglie, bella affascinante e trascurata. Accetterebbe l’invito? In caso contrario in qual modo se ne schermirebbe per non offendere la sua suscettibilità?
R. - Francamente, preferirei non offendere la suscettibilità del marito.
D. - Deciso a prendere commiato da una donna, con che mezzo ed in quali termini glielo farebbe sapere?
R. - Con una lettera, profumata con colonia "Desespoir"; invocando il Destino.
D. - Quali sono i cinque minuti nella sua vita, cui non vorrebbe rinunciare, come suol dirsi, «per tutto l’oro del mondo»?. Quali, invece, i cinque minuti che a nessun costo accetterebbe di rivivere?
R. - I primi sono quelli in cui sono venuto alla luce. Per gli altri racconterò un episodio. Una volta, ad un passaggio di frontiera una bella sconosciuta mi pregò di aiutarla a trasportare la sua valigia. Era pesantissima ed ella mi spiegò che conteneva il cadavere del suo fidanzato.
D. - Quali colpe errori debolezze è più incline a perdonare a una donna? E quali in un uomo?
R. - In una donna le debolezze morali. In un uomo le mie.
D. - Esiste un personaggio che ha sempre desiderato e mai potuto interpretare?
R. - Matha Hari.
D. - Qual è il colmo dell’infelicità umana?
R. - Essere al colmo dello felicità, senza più desideri.
D. - Se le rimanesse mezz’ora di vita, che cosa farebbe?
R. - Sarei molto triste e staccherei il telefono.
D. - Se le venisse concesso un atto di potenza assoluta, come lo esplicherebbe?
R. - Lo conserverei per quando mi rimanesse mezz’ora di vita.
D. - Qual è, secondo lei, la differenza che intercorre fra Roma e Milano?
R. - A Milano, vanno; a Roma, telefonano.
D. - Sarebbe disposto a sposare una donna poverissima?
R. - Si, sperando che in un secondo tempo si riveli ricchissima.
D. - Alla moglie di un suo produttore, lei deve inviare un biglietto di condoglianze per la morte del suo cane. Come lo incomincerebbe?
R. - «Gentile signora, mi dolgo per la perdita del suo più intelligente congiunto».
D. - A quale età ritiene di aver lasciato l’infanzia?
R. - E’ l’infanzia che ha lasciato me; quando si è accorta che io la tradivo.
D. - A che età ha veduto per la prima volta un cadavere, quale reazione le ha suscitato?
R. - A cinque anni. Mi meravigliavo che nessuno si decidesse a ricaricarlo e a rimetterlo in piedi.
D. - Costretto ad intervenire a un ballo mascherato, quale travestimento sceglierebbe per sè?
R. - Quello dell’Invitato che non interviene.
D. - Nei giochi infantili, quale parte le piaceva riserbare per sè?
R. - Quella in cui si sudava di più.
D. - In quali occasioni sente di essere meno se stesso, ossia in obbligo di recitare "una parte"?
R. - Quando "voglio” essere sincero con me stesso.
D. - Dovendo raccontare una favola acl un bambino, quale sceglierebbe? E quali preferiva che le raccontassero quan-d’era bambino?
R. - Quale bambino? Alcuni sognano ancora con i fratelli Grimm, altri hanno una precoce preferenza per Mikey Spillane. Da bambino: quelle dei fratelli Grimm. Ma Spillane non era ancora stato importato.
D. - Predispone un piano alla sua recitazione o si lascia sovente trasportare dal suo istinto, pur sapendo che ad un certo momento, potrebbe rimpiangere di essersi così comportato?
R. - Seguo un piano predisposto dal mio istinto.
D. - Preferisce essere amato, ammirato, oppure indifferente. In altre parole, in quale conto tiene l’opinione altrui?
R. - In grandissimo conto se sono amato, in gran conto se sono ammirato, in nessun conto se sono indifferente.
D. - Per quale ragione, secondo lei, i matrimoni tra gli attori sono cosi spesso poco felici?
R. - Perchè ognuno dei due pretende di aver diritto alla "parte” principale.
D. - Se venisse bandito un concorso per l’undecimo comandamento, avrebbe qualcosa da suggerire?
R. - «Ricordati degli altri dieci».
D. - Quale reazione le suscita rincontro fortuito con un suo compagno di lavoro, cui non ha arriso la fortuna?
R. - Penso che ero come lui cinque anni fa e prono un senso di invidia.
D. - In qual misura, secondo lei, la fortuna incide nel successo di un uomo?
R. - La fortuna non incide nel successo ma nel tempo che si impiega per raggiungere il medesimo.
D. - Qual è secondo lei la definizione di gentiluomo?
R. - Le definizioni non mancano. Mancarlo i gentiluomini.
D. - C’è una piccola azione che le ha lasciato un grande rimorso?
R. - La risposta troppo concisa, data ad un giornalista che mi chiamò al telefono a mezzanotte per chiedermi che cosa ne pensavo della decisione di Margaret.
La risposta più bella datami da Alberto Sordi è secondo me, quella relativa alla circostanza in cui ha lasciato l’infanzia. Sordi risponde; «E’ l’infanzia che ha lasciato me, quando si accorse che io la tradivo». La prova della sincerità di questa risposta, la si ha, se la si paragona ad altre due che si incontrano nel corso della intervista. Sordi infatti dice che da bambino preferiva scegliersi la parte in cui "si sudava di più”, mentre da adulto (risposta alla domanda: «Quale funzione le piacerebbe esercitare in una società pianificata) sceglierebbe, e non credo soltanto per ragioni politiche: «la meno faticosa». Alla luce di questi confronti, la constatazione, da parte sua, di aver tradito l’infanzia, rappresenta non solo come dicevo una bella risposta, e forse la migliore, ma anche la più importante di tutte ai fini della ricerca del suo segreto. E’ fuori di dubbio che oggi Alberto Sordi sia uno degli uomini più invidiati di un mondo che di per se stesso costituisce il fine ultimo delle aspirazioni di non saprei dire quanti milioni di persone d’ambo i sessi. In altre parole egli ha raggiunto il più completo successo, lo ha raggiunto a sue spese, scaltrendosi sempre di più e pagandone il prezzo dell’infanzia ossia dell'ingenuità-Il successo lo ha portato alia soglia della soddisfazione potenziale di ogni suo desiderio, quella che secondo gli economisti dovrebbe coincidere con la felicità, mentre per lui rappresenta il colmo delle umane sciagure.
Enrico Roda, «Epoca», 1955
Alberto tutto scintille
Alberto Sordi, l’attore più popolare d’Italia, non ama essere intervistato ma questa volta ha fatto un’eccezione: gli abbiamo chiesto tutto, ci ha risposto tutto, con un fuoco d’artificio di battute frizzanti, con la stessa ironica vivacità dei suoi irresistibili personaggi
D. — Quanti anni ha?
R. — Quaranta, ma non li dimostro.
D. — Dov’è nato?
R. — A Roma.
D. — Qual è il suo vero nome?
R. — Alberto.
D. — A quale età ha scoperto la « vocazione » dell’attore?
R. — Subito.
D. — Quando ha debuttato?
R. — Da bimbo, con scarso successo e molti schiaffoni.
D. — Credeva che sarebbe diventato celebre?
R. — Sì, perchè tutti mi dicevano : « Sei proprio un commediante ».
D. — Chi sono state le persone che per prime hanno creduto nella sua arte?
R. — Il babbo.
D. — Quali sono le maggiori virtù che un uomo deve avere per raggiungere il successo?
R. — La pazienza.
D. — Si sente a suo agio nei panni di un uomo celebre, oppure la celebrità l’annoia?
R. — Mi annoiavo di più, quando non ero celebre.
D. — Se non avesse potuto fare l’attore, quale altro mestiere avrebbe scelto?
R. — Il suggeritore.
D. — Quale dei suoi personaggi ricorda più volentieri?
R. — Il « Compagnuccio della Parrocchietta ».
D. — Lei ha impersonato figure maschili piene di difetti e di pregi. Quali sono i personaggi più rispondenti all’italiano medio?
R. — Lo zoppetto del film « Brevi amori a Palma di Majorca », perchè è un personaggio pieno di risorse, ottimista, e non non si avvede nè del suo difettino fisico, nè dei drammi che sconvolgono questo nostro secolo inquieto.
D. — Quali sono i difetti peggiori di un un uomo?
R. — L’avarizia.
D. — Cosa vorrebbe fare nella vita che non ha fatto?
R. — Sposarmi.
D. — Conosce la noia?
R. — No, perchè non ho ancora perso il gusto alle piccole cose.
D. — Qual è il suo piatto preferito?
R. — I gnocchi di patate.
D. — Il colore che preferisce per i suoi vestiti?
R. — Il grigio.
D. — Ama la solitudine?
R. — Sì, in buona compagnia.
D. — Ha qualche hobby?
R. — Mi piacerebbe l’alpinismo, ma ho tanta paura !
D. — Il luogo più bello che lei ha visto qual è?
R. — La città del Vaticano.
D. — Quali doti ama di più in una donna?
R. — La straordinaria capacità a sopportare il dolore, ed in particolare la semplicità nell’affrontare il parto.
D. — Crede nell’amore che dura per tutta la vita?
R. — Non mi sono ancora assuefatto alla idea di amare follemente una vecchierella, comunque, se mi sposerò, dovrò adattarmi a questa prospettiva.
D. — Preferisce essere il primo amore di una donna o l’ultimo?
R. — Se non è possibile tutti e due, comunque il primo.
D. — Le piacerebbe avere dei figli?
R. — Sì, naturalmente.
D. — Pensa che troppa libertà nuoccia ai ragazzi di oggi?
R. — Troppa libertà nuoce anche ai vecchi !
D. — Crede che i giovani di oggi siano peggiori di quelli di vent’anni fa?
R. — Io sono un giovane di vent’anni fa, ma mi trovo bene anche con i giovani d’oggi.
D. — Crede che esista una gioventù bruciata.
R. — Ma scusi, questi difetti che si attribuiscono ai giovani, che non siano per caso inventati da qualche brutto vecchio geloso ed invidioso?
D. — Qual è la più importante scoperta di questi ultimi tempi?
R. — Il go-kart.
D. — Andrebbe sulla Luna?
R. — No... e non mi ci fate neanche pensa’ !
D. — Crede nel disarmo?
R. — Non è vero che bisogna armarsi per difendersi da quelli armati... Chi è quel vile che sparerebbe su un uomo disarmato?
D. — Se fosse un capo di governo cosa farebbe?
R. — Sistemerei tutti i miei parenti !
D. — Se fosse direttore della TV cosa farebbe?
R. — Aprirei tanti canali, uno ogni giorno, uno alla settimana. Visto mai che non si trovasse quello buono!
Maria Maffei, «Noi donne», ottobre 1961
Scusi, lei è favorevole o contrario?
Alberto Sordi è senza dubbio un personaggi, nel senso classico tradizionale che a questa espressione si dà nella storia dello spettacolo. Ma non è personaggio come l’«avaro». come il «misantropo», come il «geloso», come tanti altri nati dalla fantasia di celebri drammaturghi, seppure tratti dalla esistenza degli uomini. Vi è da chiedersi, infatti, perchè mai Sordi, che è bravissimo, è tuttavia di quegli attori i quali non escono dall'ambito nazionale, o addirittura regionale. Evidentemente per questo: che il suo personaggio, quello che lui incarna volta a volta, e che si identifica con il suo volto e il suo fare, questo personaggio non molto Intelligente, abbastanza furbo, cinico ma molto pauroso, amante del quieto vivere, mitomane, servile, anche quando è particolarmente ricco, questo personaggio dunque è sopratutto un personaggio di questo nostro (lungo, ahimè) momento Italiano: è lo specchio di una attitudine e di un modo di comportarsi che ha il suo fulcro sul piccolo borghese, ma che spazia anche in altre classi sociali.
E' questa furbizia di attore, o se volete sensibilità tempestiva agli umori, che spinge Sordi a ruoli estremamente legati alla accidentalità della cronaca: così, se è vero che il divorzio è problema che supera la contingenza, è pur vero che il modo con cui Sordi lo pone in questo suo film di cui è interprete e regista, è strettamente legato alla cronaca, o al modo televisivo di affrontare simili fatti. Il film inizia infatti con una serie di interviste a «uomini della strada», sul tema del divorzio. Uno degli intervistati è appunto Sordi, sotto le spoglie del commendator Conforti. Ed egli esprime lapidariamente la sua avversione al divorzio, attraverso i due più sentiti luoghi comuni del conformismo: siamo un paese cattolico e, comunque, il matrimonio è indissolubile. E' facile, a questo punto, vedere l'altra faccia della medaglia, e scoprire cioè che il commendatore tiene in piedi, si, senza ansie, un matrimonio logoro, ma tiene contemporaneamente libere altre aree, piuttosto vaste, per le diverse donne non ufficiali che lo spirito della consuetudine borghese gli permette.
Il tema era grosso: era il grande tema del» tartufo». della ipocrisia, del baciapile che in segreto razzola assai male. Ma per fortuna Sordi non ha voluto rifare Molière. Il suo tartufo è davvero uno che incontriamo tutti i giorni nella via, un uomo a suo modo anche simpatico, un uomo comune, pieno di gesti e di reazioni comuni. Egli non è falso per abiezione, lo è per condizionamento sociale. Indubbiamente. insomma, si tratta di un borghese, non solo nei modi, ma anche nella morale.
Certo, si ha il dubbio che il punto di vista del commendator Conforti sia lo stesso di Alberto Sordi: del resto in una pubblica intervista egli ha confermato questo tipo di idee. Ma non importa anche non compromettendosi in una inopinata difesa del divorzio. ma a suo modo difendendo il matrimonio e lo «status quo». come ha sempre fatto nei suoi film. Sordi raggiunge un segno: il suo film è mediocre. ma chi sa intendere, e coraggiosamente fraintendere anche le intenzioni del regista-attore, può dire di avere avuto un attimo di luce In più per illuminare una società moralmente verminosa.
Tommaso Chiaretti, «Epoca», 1967
«Noi donne», 14 dicembre 1968 - Alberto Sordi
«Radiocorriere TV», 10 novembre 1979
E Sordi diventò star della radio
Cinquant'anni fa il debutto nell'etere dell'Albertone nazionale
LE SUE MASCHERE Mentre il cinema tende ad ignorarlo alla radio spopola con Mario Pio e i Signor Dice
Quanti di voi ricordano il film Mamma mia che impressione? Ovvero la mitica e perseguitata «signorina Margherita», obiettivo amoroso del pignolissimo boy scout Alberto Sordi? Non è mai stato considerato un gran film (anche se negli ultimi anni, come tanti vecchi film bistrattati dalla critica, ha assunto lo status di "cult"), ma segnò il debutto cinematografico, come protagonista, dell'Albertone nazionale e fu la «materializzazione» del famoso personaggio radiofonico (sempre di Sordi) del «compagnuccio della parrocchietta».
Bistrattato, si diceva. «Un nuovo comico si affaccia con questo film al nostro cinema: Alberto Sordi, che sia come "doppiatore" del grasso Ollio, sia come autore di una brillante rubrica radiofonica, gode già di una vasta popolarità. (...) La comicità del Sordi, sebbene chiusa in un breve giro di effetti, sui quali fatalmente ritorna, ha del nuovo». Il critico, anzi il Vice del critico cinematografico de La Nuova Stampa di Torino, così scriveva il 14 aprile 1951 a proposito del film (girato dall'esordiente Roberto Savarese e firmato, oltre che da Sordi, anche da De Sica e Zavattini) e fu tra i pochi a non «sparare» addosso alla pellicola che neanche il pubblico aveva gradito, trovando che fosse solo il pretesto per sfruttare quel personaggio, ormai radiofonicamente famoso.
Quando infatti Sordi girò Mamma mia che impressione aveva già raggiunto, da una anno, dal 1949, una grandissima popolarità (tanto da ricevere la «Maschera d'argento» come miglior attore radiofonico dell'anno sia per il 1949 che per il 1950) con la trasmissione «Vi parla Alberto Sordi» da cui aveva lanciato il suo personaggio petulante, maniacale, un po' ingenuo e un po' cattivo. Erano anni in cui nel settore dello spettacolo leggero la radio stava sperimentando giovani talenti: per tutti ricordiamo Federico Fellini impegnato nel «radiodramma» Cirro e Pallina, interpretato da Angelo Zenobini e Giulietta Masina o le radiroiviste di Age, Marchesi e Steno.
E la Rai ricorda proprio in questi giorni i cinquant'anni di Sordi alla radio anche se, dalla biografia ufficiale, gli esordi sono collocati nel 1947 quando l'attore partecipa alle trasmissioni «Rosso e Nero» e «Oplà», programmi di varietà presentati da Corrado. È qui che Sordi, butta le basi per i suoi personaggi futuri, con la creazione del «Signor Dice» che è un concentrato di vizi, di tic e di malignità che si ritroveranno in seguito.
Così, mentre il cinema continua ad ignorarlo o, peggio, a dargli grandi delusioni, la radio lo esalta e sarà nel 1949 dietro la spinta della scrittrice Alba de Cespedes, Sordi debutta come conduttore ed autore.
L'anno dopo è l'anno de «Il teatrino di Alberto Sordi» dove debuttano altri due mitici personaggi, Mario Pio e il conte Claro. Entrambi li ritroveremo anni dopo, precisamente nel 1969 in «Gran Varietà» e questa riproposta farà sì che i due resteranno nel lessico nazionale per molti e molti anni ancora (l'isterico «Qui Mario Pio pronto con chi parlo, con chi parlo io?» o il ruffiano «comprendi l'importanza?»).
Se non come ospite, Sordi non ha mai risposto alle sirene della televisione. Unico «cedimento», nel 1979, con «Storia di un italiano», un collage dei suoi film che voleva essere una storia del nostro paese, dei suoi vizi, delle sue virtù. Il programma ebbe un grande successo. Ma l'interesse non era tanto storico. Era invece un modo per ricordare i personaggi dei suoi film. Tra cui il nostro «compagnuccio» che, indomito, è arrivato sino ad oggi, passando indenne tra i decenni, più o meno luminosi, della nostra storia.
Antonella Marrone, «L'Unità», 6 aprile 1999
«Alberto è morto aspettando la primavera»
L'attore è scomparso lunedi notte a Roma. Aveva 82 anni. Da mesi soffriva di una malattia ai polmoni
«Corriere della Sera», 26 febbraio 2003
«La Stampa», 26 febbraio 2003
Cinquantamila cittadini rendono omaggio all'attore che è staio simbolo della Capitale. Nel fu sindaco per un giorno
Ciao Alberto, mamma mia che impressione
Camera ardente in Campidoglio. Domani i funerali: prima fissali a piaza del Popolo, poi a San Giovanni
«Corriere della Sera», Ed. Roma, 26 febbraio 2003
Funerali di popolo per Sordi, attesi in 500 mila
Ruini celebra la messa. L'omaggio di Benigni: una fila di gente così l'ho vista solo davanti ai santi
«Corriere della Sera», 27 febbraio 2003
«La Stampa», 27 febbraio 2003
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- «Epoca», 1951
- Filippo Sacchi, «Tempo», 1953
- Lorenzo Bedeschi, «L'Azione», 10 dicembre 1954
- Enrico Roda, «Epoca», 1955
- Maria Maffei, «Noi donne», ottobre 1961
- Tommaso Chiaretti, «Epoca», 1967
- «Noi donne», 14 dicembre 1968
- «Radiocorriere TV», 10 novembre 1979
- Antonella Marrone, «L'Unità», 6 aprile 1999
- «Corriere della Sera», 26 febbraio 2003
- «La Stampa», 26 febbraio 2003
- «LUnità», 26 febbraio 2003
- «Corriere della Sera», Ed. Roma, 26 febbraio 2003
- «Corriere della Sera», 27 febbraio 2003
- «La Stampa», 27 febbraio 2003