Alberto Sordi, radiografia di un divo

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Alberto Sordi visto da Grazia Livi. Chi è Alberto Sordi, questo divo che da tredici anni domina il nostro cinema comico? Chi si nasconde dietro il suo personaggio?

In pieno boom televisivo del più popolare attore del cinema italiano, è uscito il libro di Grazia Livi su Alberto Sordi: una biografia arguta, un ritratto complesso e completo, fatto di chiari e di scuri Mentre ogni martedì sera circa quindici milioni di tele-spettatori si siedono davanti al video per assistere ai suoi film e la fisionomia dell'attore si va delineando, sera dopo sera, in una galleria di personaggi diversi e che insieme forniscono l'immagine dell'italiano medio degli anni Cinquanta e Sessanta, l’eroe negativo, pavido, mammista, convenzionale, immaturo, ecco — per chi desideri conoscerla — la storia vera dell'attore in un volumetto di centosessanta pagine. C'è la storia umana, l'infanzia modesta e turbolenta trascorsa per le strade di Trastevere e la vita di oggi che scorre tranquilla e appagata fra le pareti di un'abitazione degna di un monarca.

E c'è la storia del professionista, iniziata quando era ancora un ragazzo e che passa attraverso il teatrino delle marionette, la rivista di terz'ordine, il doppiaggio, la radio, l'avanspettacolo, prima di approdare alle sponde di Cinecittà. Una storia fatta di delusioni, di tentativi falliti, di tenacia rabbiosa, sempre sostenuta dalla incrollabile convinzione di aver qualcosa da dire anche quando gli altri negavano ogni fiducia.

Perchè Alberto Sordi — e forse non molti lo sanno — non è arrivato al successo sull'onda di una moda o di un momento di fortuna, ma dopo quasi sedici anni di durissima scalata. E pochi sanno ancora che dietro la facciata del divo sorridente e giovialone si nasconde un tranquillo borghese, abitudinario, non privo di conformismo. puntiglioso; un uomo solo che ha rinunciato ad una vita sentimentale perchè nulla lo distraesse da quello che è il suo maggiore impegno: dare al suo pubblico sempre qualcosa di nuovo e di valido, governare e mantenere un successo che. nel mondo dello spettacolo, è spesso instabile e soggetto a scossoni improvvisi.

La TV gli ha dedicato quattordici settimane, il ciclo più ampio e completo che mai sia stato dedicato a un regista o attore, un ciclo che, a buona ragione, è stato chiamato «Cinema e costume in Italia dal '53 al '63» in cui Sordi dà corpo ad una galleria di personaggi nati dalla sua collaborazione con lo sceneggiatore Rodolfo Sonego. Ci è sembrato particolarmente interessante riportare un brano del libro di Grazia Livi in cui dalle parole dell'autrice, dello stesso attore e di Sonego, si racconta come nacquero i personaggi che dopo aver trionfato sugli schermi, ogni martedì sera divertono milioni di telespettatori.

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L 'incontro con Rodolfo Sonego fu fondamentale per Sordi. Più o meno dal ’54 al '60 infatti, tutti i suoi film portarono la stessa sigla: soggetto di Sonego e Sordi, sceneggiatura di Rodolfo Sonego.

Insieme Sordi e Sonego, cominciarono a inventare una infinità di personaggi medi: lo scapolo, il ragioniere, il rappresentante di commercio. il fruttivendolo, l'impiegato, il vedovo, il giornalista fallito, il funzionario, il pappagallo da strada, il vigile, il soldato. Era una galleria comica di uomini che si affermò subito definendo il costume con grande efficacia. Era la creazione d'un carattere desunto dalle abitudini mediocri, dai difetti correnti, da certi squallori e torpori morali tipici dell’uomo comune. Era la nascita di un personaggio medio, comico e veridico. Era la feroce, chiara identificazione di un tipo: il modello negativo prodotto dalla società italiana fra il '50 e il '60. Questo modello è un uomo sui trent'anni, quasi sempre romano, che può avere attività diverse ed essere coinvolto in vicende diverse ma la cui componente del carattere è una sola, la viltà: quella che Fellini definisce giustamente «la viltà tipica del giovanotto cresciuto sotto il fascismo e buttato dentro una democrazia che non capisce». E' quindi un personaggio confuso perché il passaggio repentino dalla dittatura alla democrazia. proprio nell'età della formazione. gli ha impedito di farsi uomo in maniera matura. coerente.

Non ha problemi politici né passioni civili ma ha solo voglia di costruirsi una vita gradevole. badando a se stesso, al proprio interesse personale. Ossequia i potenti che riconosce come strumenti necessari alla conquista del suo piccolo benessere, ma in realtà li disprezza e tira a «fregarli». Ha perciò due maschere, quella esterna piena di lazzi servili, e quella interna paurosa e spregiosa. Non ha una vera professione ma solo un fiacco mestiere che gli permette d'arrangiarsi senza troppa fatica. Non ha una sua morale perché la morale richiede consapevolezza. maturità di giudizio, ma ha solo il culto dell'opinione della gente e un gran rispetto per le apparenze da cui trae sicurezza. Non legge, non pensa, semplicemente vive estroversamente e confusamente. Non ha veri amori, ma solo tentativi d'avventure che appagano la sua vanità provinciale. Ha amici che gli servono soprattutto per «esibirsi». per stipulare alleanze ambigue ai danni delle mogli, delle madri. Adora, naturalmente, la mamma che lo ama. lo perdona e blandisce ogni suo piccolo vizio, e che rappresenta l'unica vera protezione dalle difficoltà della vita, l'unica garanzia di una immaturità prolungata. E' quindi l'espressione vivente del «mammismo»: triste e ambiguo male tipico di molti giovanotti latini.

A volte è anche crudele, ma lo è coi deboli, soprattutto con le vecchiette o coi bambini che può facilmente zittire e sopraffare. Coi forti, invece, è premuroso e cortese. Va spesso in chiesa, non per fede sentita, ma per proteggersi da una resa dei conti il cui pensiero lo precipita in una improvvisa paura. Ha naturalmente qualche utile amicizia coi preti, con gli uomini politici. Ma non ha rapporti veri con gli altri (nel senso della maturità e della responsabilità) e se prende moglie lo fa per un ovvio e meccanico rispetto delle convenienze: infatti tratta la moglie come uno strumento, non come una compagna, in famiglia non dà nulla di sé, poiché la sua vita si svolge altrove: immatura, vanitosa, egoista, sempre pronta allo scatto del l'evasione, pronta al compromesso.

Sordi sentiva questi personaggi con precisione, con forza, e cercava di portarne le caratteristiche a un massimo di esasperazione satirica. Di fronte ad essi s'identificava con rabbia, con passione sarcastica. Li conosceva e li riconosceva e in questo consisteva l'originalità del suo talento. Amava raccontarli al pubblico, più dall'esterno che dall'interno, con le occhiate, i gesti, le smorfie, le allusioni della sua intuizione umoristica. Da attore non colto quale è. non si poneva dei «perché» davanti al personaggio ma subito lo «bloccava» dal di fuori nella mossa nervosa d'un piede, nel tic di un labbro, nello stiramento del collo. Subito coglieva dall'abito l'essenza quasi mostruosa che c'era al di sotto. L'osservazione di ieri e di oggi, precisa, vigile, caustica lo guidava all'essenza dei tipi. Dice Rodolfo Sonego: «Alberto è come una civetta. Di colpo apre l'occhio. guarda, e ha una folgorazione improvvisa. Per lui la seconda fase della pietà non esiste. Ciò che esiste è la capacità di questo giudizio critico, fulminante».

Dice Sordi, freddo: «lo avevo una gran voglia di smontare il mito dell'eroe. Avevo voglia di rappresentare gli uomini come erano in realtà, con tutti i loro difetti. lo ho avuto sempre una grande autocritica. Per questa ragione preferivo rappresentare dei personaggi che si autodemolivano con la caricatura... No, non è che io sia autolesionista. Ma certo quando mi trasferivo in quei personaggi e ci scoprivo anche dei lati miei, allora mi guardavo allo specchio e mi vergognavo. Che carogne che siamo, pensavo fra me. Mi veniva una gran voglia di fustigare. di distruggere».

Nasceva così, fra il '54 e il '60 l'eroe negativo che appassionava. divertiva, e che. per la prima volta da quando il cinema italiano era nata, provocava nel pubblico una catarsi alla rovescia: la catarsi dei difetti, dei cattivi sentimenti. Dai cinematografi non si usciva più addolciti, magari piangendo, ma si usciva irritati, divertiti, o addirittura compiaciuti di aver riconosciuto nell'eroe cinematografico i nostri stessi difetti. Si scopriva la viltà, il conformismo della mentalità media e ci si scandalizzava ridendo. Si era introdotti, per la prima volta, nei gretti meandri psicologici dell'uomo comune, o meglio del romano comune: perchè soprattutto a Roma si compie la fusione perfetta fra una certa morale qualunquista, e una rettitudine apparente dettata dall'antico ossequio al potere temporale e alla Chiesa.

L'eroe positivo, intanto, quello che si era imposto nel cinema neorealistico del dopoguerra. lentamente spariva. Sordi era riuscito a soppiantarlo e questo rappresentava per lui un doppio trionfo: il trionfo del suo talento e quello della sua volontà. della sua ambizione violenta che aveva saputo sovvertire le regole del cinema tradizionale, distruggere un vecchio cliché e imporre con forza il proprio.

Commenta oggi Vittorio De Sica col suo tono caldo e benevolo: «Si, nessuno più di Sordi ha saputo caratterizzare cosi bene l'uomo medio... Sordi è riuscito a mettere in mostra il lato storto, ridicolo del carattere italiano e l'ha colpito. Ha fatto della satira che molti considerano crudele, secondo me invece questa crudeltà nasce da una forza morale. Sordi è un uomo che ha sofferto molto, ha quasi patito la fame, ha fatto mille mestieri prima di arrivare, e questo lo ha arricchito di istinti buoni, umanitari. E' un attore comico che ha dentro un'amarezza che s'indigna di fronte ai vizi e vorrebbe che non esistessero. Allora colpisce e gode a frustare e pur facendo della satira un po' cattiva, moralizza». E dice con molta obbiettività Mario Monicelli: «Sordi non va visto come attore, ma anche come autore perché ha inventato un personaggio comico di grande modernità ed ha avuto il coraggio di imporlo. Noi registi non abbiamo fatto altro che prenderlo e approfondirlo un po'... Sordi ci ha messo nelle mani un tipo vile, ipocrita, conformista. frutto di una intelligenza del costume che è straordinaria. Ha cercato di divertire con questo personaggio e questo è veramente il massimo che un attore può fare... Non era mai successo prima, infatti, che si potesse far ridere il pubblico con delle caratteristiche negative, francamente un po' abbiette. E’ in questo che sta il suo sforzo creativo». Sono grossi riconoscimenti. questi, e per di più sono i riconoscimenti di due registi importanti, fra i più autorevoli del cinema italiano. Eppure l’espressione di Alberto Sordi, a sentire questi giudizi, non muta. Rimane fermo, neppure guarda l'interlocutore negli occhi: segno, questo, d'una attenzione che in qualche modo lo turba. Accende una sigaretta oppure guarda l'orologio: un gesto che compie spesso, il gesto degli uomini prudenti, fattivi. Dice soltanto, laconico: «Ah, ha detto così De Sica? Ha detto così Monicelli? Eh già, loro così dicono».

Grazia Livi, «Radiocorriere TV», 1967

dal libro di Grazia Livi «Alberto Sordi», Ed. Longanesi e C. collezione «Chi è? Gente famosa»..


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Grazia Livi, «Radiocorriere TV», 1967