Totò e la pubblicità per «Carosello»
Storia dei nove sketch Star (1966), cosa resta oggi e dove vederli

CAMPAGNA PUBBLICITARIA STAR - 1966
📺 Gli spot di Totò per «Carosello» (1966–1967): cronaca di un brodo annunciato
C’era una volta – anzi c’è ancora, nell’etere dei ricordi – Carosello, quella liturgia televisiva che trasformava lo spot in varietà, la réclame in teatro, e il consumo in commedia. Una trasmissione così italiana che ci puoi quasi sentire il profumo del ragù e la voce della nonna che ti dice: “Dopo Carosello, a letto!” – come se fosse la Bibbia dell’infanzia.
Ma in questa sacra arena dove il detersivo danzava con Shakespeare e lo sciroppo per la tosse si faceva recitare da attori con pedigree da Festival, non poteva mancare l’Imperatore del surreale, il Principe del paradosso: Totò, al secolo Antonio de Curtis, al millennio intero Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi. Un nome così lungo che per leggerlo ti serve un fiato da tenore e una pausa caffè a metà.
Nel glorioso autunno del 1966, mentre il mondo impazziva per i Beatles e la minigonna, Totò si infilava nel palcoscenico in miniatura di Carosello, pronto a vendere il brodo Star con la grazia di chi potrebbe vendere ghiaccio agli eschimesi... e poi farci anche una gag. I piani iniziali erano da kolossal: tre serie, ventuno episodi, una Hollywood del brodo. Alla fine, come in ogni progetto italiano che si rispetti, si fa meno di quanto promesso ma meglio di quanto previsto: nove piccoli capolavori – alcuni in formato Carosello, altri in versione Arcobaleno (che suona come un nome da gelato, ma erano solo spot più corti, peccato) – dove Totò regna sovrano tra cameriere permalosi e calzolai filosofici.
La regia dei primi sketch è di Luciano Emmer, cineasta colto e popolare, passato dal neorealismo a Totò senza perdere il senso della poesia. Uno sketch su tutti lo commuove ancora: un cameriere Totò che, umiliato da una signora d’alta società per aver portato un cefalo al posto della sogliola (orrore!), torna in cucina e – con un colpo di genio degno di Archimede Pitagorico – prende un copialettere e appiattisce il pesce fino a renderlo... sogliola. Altro che nouvelle cuisine.
Dietro ogni sketch, la penna ironica di Francesco Milizia e, cosa rara nei lavori su commissione, la collaborazione diretta e appassionata di Totò stesso: l’uomo non solo recita, ma scrive, discute, monta, doppia. È il suo cinema in miniatura. Per dieci giorni di riprese, Totò torna bambino, anzi torna artista puro, libero da filtri intellettualoidi e da registi che lo volevano icona tragica: vedi Pasolini con i suoi Uccellacci e uccellini, film magnifico ma che per Totò fu una parentesi impegnata troppo impegnata. “L’impegno guasta la comicità”, diceva lui, con la stessa schiettezza con cui uno ti dice che la pasta è scotta. E in fondo aveva ragione: lui era fatto per far ridere, e lo sapeva. Se poi, mentre faceva ridere, riusciva pure a vendere un brodo, tanto meglio.
Il primo sketch ad andare in onda è Totò cassiere, dove ricicla una gag da I soliti ignoti (perché anche il genio ricicla, ma con arte, come certi ristoranti che ti servono gli avanzi del giorno prima e li chiamano “reinterpretazione della tradizione”). Un altro, con Totò calzolaio, viene miracolosamente ritrovato trent’anni dopo da Marco Giusti, studioso di pubblicità e archeologo televisivo. Gli altri? Dispersi come le caramelle sotto i sedili del cinema. “La Star li ha buttati via”, confessa amaramente Emmer, “per loro non valevano nulla”. E invece valevano tantissimo: erano sketch comici, certo, ma anche riflessioni travestite, micro-drammi borghesi, satira sociale travestita da farsa. Roba che oggi la RAI ci farebbe dieci speciali.
E il pubblico? Il pubblico accoglie Totò come si accoglie un parente che racconta sempre la stessa barzelletta ma ti fa ridere ogni volta: con affetto e gratitudine. Perché Totò non era solo un attore, era una maschera, un simbolo, un modo tutto italiano di essere seri solo per scherzare. Anche mentre diceva: “Io me lo faccio doppio, il brodo Star!” – slogan che diventa mantra, tormentone, battuta da bar e da salotto.
Purtroppo, il gran finale non ci sarà. La terza serie non si farà mai: Totò ci lascia troppo presto. Ma il suo passaggio in Carosello resta come una cometa comica: breve, fulminante, indimenticabile. Una lezione su come si può essere artisti pur vendendo un dado da brodo. E su come, se sei Totò, puoi persino diventare eterno dicendo “cefalo” con aria di superiorità.
📺 Per approfondire
- Totò cassiere – Carosello 1966: uno degli sketch sopravvissuti, in cui Totò interpreta un cassiere alle prese con clienti esigenti.
- Totò calzolaio – Carosello 1966: altro sketch disponibile, dove Totò veste i panni di un calzolaio alle prese con situazioni comiche.
Questi spot rappresentano un esempio unico di come la pubblicità televisiva italiana abbia saputo coniugare arte, comicità e marketing, lasciando un'impronta indelebile nella cultura popolare.
Erano gli anni di Carosello
Totò e i cari mostri
Da Cervi a Calindri, da Polacco a Ave Ninchi: fu un'epoca
Trent'anni. Fra le persone e le figure che, televisivamente e pubblicitariamente parlando, «non dimenticheremo mai», restano quei modesti mostri sacri, artigianali, in bianco e nero, ma proprio per questo affascinanti, che ebbero in Carosello il loro contenitore di più domestica risonanza.
La Rai li ha quasi furtivamente, ma affettuosamente commemorati. Termine, ahimè, persino acconcio, in quanto per molti di loro (gli interpreti, non le maschere, come l'immortale Totò e Gino Cervi) sono morti. Invece mostri sacri come Ernesto Calindri e Ave Ninchi sono tuttora vivi e attivi.[...] E' un'epoca, quella di Carosello, che anticipa, con pochi mezzi e ottime idee, figure, macchiette e slogans proprio con una perfezione qualche volta superiore a ogni risultato del moderni robots e computers.
Basta pensare a quegli anni in cui Carosello, più di tanti sondaggi, ci rappresentava nelle piccole speranze, nelle piccole ambizioni, nei piccoli sogni di risparmio e di sconto, di consumo e di benessere. Il distintissimo Calindri delle bottiglie piene di carciofo; il Totò; il tenente Sheridan; il Cesare Polacco dalla pelata «che non ha mai usato la brillantina», e soprattutto, per i più piccoli, il delizioso Calimero ingenuo e fortunato che approdava sempre dal nero al bianco che più bianco non si poteva già allora, tutti avevano un pregio che non è più possibile che abbiano le nuove maschere degli spot a go go.[...]
Nazareno Fabbretti, «La Stampa», 16 febbraio 1987
«Carosello» scopre Totò ciabattino
Ritrovati gli spot del comico creduti persi. Una battuta: «Vuole che faccia l'anestesia alla sua scarpa? Così non soffre»
Era da poco cominciato il 1967 e il principe Antonio De Curtis, in arte Totò, si presentava, giusto a ora di cena, nelle case degli italiani: «Mi faccio un brodo? Ma me lo faccio doppio». Era stato il regista Luciano Emmer a convincerlo a girare quei nove caroselli per una famosa marca di dadi da cucina, grazie ai buoni uffici del direttore della fotografia, Giuseppe Caracciolo, lontano parente di Totò, che sarebbe morto il 15 aprile di quell'anno.
Di quei caroselli, il telearchcologo Marco Giusti — un signore che ha fatto coi filmati di Carosello più o meno quello che Schlicmann fece con i tesori di Troia — in 10 anni di ricerche negli archivi della Sacis ne trovò solo uno. Ieri sera per il debutto di «Carosello», nuovo varietà di Raidue, il Totò testimonial è tornato. Ciabattino irriverente («Mi dia la zampa») e surreale («Vuole che faccia l'anestesia, così la scarpa non soffre?») dopo avere incollato il calzino del cliente al pavimento chiude bottega e se ne va («Scusi, sono un settentrionale e io all'una mangio»). [...]
Stefania Ulivi, «Corriere della Sera», 12 maggio 1997
Quelle bestie della Star - si lamenta Luciano Emmer in un’intervista del 2007 riportata da Gulia Croce - hanno distrutto i nove caroselli, ne sono rimasti due. [...] Ce n’era uno che era straordinario, girato in un albergo di Roma, vicino a piazza della Repubblica. Lui faceva il cameriere, c’erano ottanta persone, e arrivava con un pesce grande così al tavolo e una signora isterica diceva: «Nooo! Io voglio la sogliola, non voglio un pesce cosi, lo porti via! » Allora lui se ne andava, tornava in cucina, pigliava una pressa da lettere, metteva sotto il pesce e lo schiacciava, e riportava il vassoio!
Totò cassiere
Cosa è sopravvissuto: i filmati disponibili oggi
Totò lancia il doppio brodo Star tra mortaretti e scoppi ripetendo la frase celebre: «Mi faccio un brodo? Ma me lo faccio doppio!».
Totò cassiere
Totò calzolaio
Nel 1966, a pochi mesi dalla sua morte, Totò registra nove spot per Carosello destinati a entrare nella storia della pubblicità italiana. A volere a tutti i costi il grande caratterista napoletano per pubblicizzare i propri prodotti è la Star, fondata nel 1948 dall’intraprendente industriale brianzolo Danilo Fossati.
Totò calzolaio
Luciano Emmer, che degli spot della Star con Totò curò la regia, racconta che gli spot dovevano essere tre (allora uno spot era girato in un solo giorno). Il materiale girato è stato conservato fino a che non è stato rubato durante un furto ai magazzini della casa di produzione. Oggi di questi ne sopravvivono solo due (Totò cassiere e Totò calzolaio), probabilmente gli altri sono andati perduti.
* Totò cassiere
* Totò calzolaio
* Totò spazzino
* Totò petroliere
* Totò proprietario di ristoranti
* Totò farmacista
* Totò barista
* Totò giocatore
* Totò elettricista
Nel gennaio 1967 vennero girati altri sette caroselli. Il progetto era di dieci ma Totò non riusci a finirli tutti perché era impegnatissimo; questi sketch non vennero mai messi in onda in quanto furono trafugati prima di essere utilizzati. Al mattino del 15 aprile Totò non si presentò sul set. Il Principe si era congedato.
* Totò ingegnere
* Totò pittore
* Totò meteoronauta
* Totò iettatore
* Totò ferroviere
* Totò operaio
* Totò giardiniere
Pupazzetto in ceramica raffigurante Totò che reclamizza i prodotti Star (1966-1967)
📺 Conclusioni
Nel 1966 Totò porta la sua maschera comica dentro Carosello, firmando nove sketch per i prodotti Star con la regia di Luciano Emmer. Oggi sopravvivono solo alcuni filmati — come i celebri “cassiere” e “calzolaio” — che raccontano come la televisione pubblicitaria italiana seppe unire varietà, teatro e satira in pochi minuti di estro. Tra cronologie verificate, testimonianze di registi e ritagli di stampa, questo articolo ricostruisce il progetto, evidenzia i materiali reperibili e contestualizza la campagna Star 1966–1967 nel più ampio itinerario artistico di Antonio de Curtis, fra cinema, palcoscenico e memoria televisiva.
Riferimenti e bibliografie:
- Documenti © Archivio Famiglia Clemente
- Archivio storico quotidiano "La Stampa"