L'Italia telefonica di Franca Valeri
Incontri senza telecamere. Franca Valeri dice d’aver ereditato la sua «verve» dal padre, uomo spiritosissimo, e dalla madre una donna all’antica capace di straordinarie imitazioni. S’ispira al teatro dialettale, ad attori molto popolari come Ferravilla, Ettore Petrolini, Eduardo e Peppino De Filippo
Roma, aprile
La voce, al telefono, è proprio quella delle telefonate alla madre, alle amiche, alla cognata di Sabato sera. Tesa, metallica, di testa; la piega volgare della bocca piegata in giù; sull’orlo dell’antipatico, diciamo pure del petulante. E allora si salgono rassegnati le scale in un vecchio palazzo romano tra alberi e Tevere, si suona il campanello dei signori Caprioli e dopo un poco c’è invece un donnino che cammina sfiorando i pavimenti, pallida; che parla con una voce bassissima e col contagocce. Una parola ogni cinque minuti e farle delle domande è quasi impossibile perchè risponde «sì», risponde «no» e il dialogo, allora, il maledetto dialogo che bisogna pur trovare d'improvviso con uno sconosciuto per confezionare una decente intervista se ne scivola via. sbriciolato, gassoso, e sembra che non ci sia proprio niente da fare. Meglio una bella biografia, si pensa, con tante notizie anche se sono sempre le solite e se a questo modo Toti Dal Monte assomiglia a Dapporto, Mario Del Monaco è eguale a Gassman.
Ci si guarda attorno, intanto, e la casa è grande, all'ultimo piano tra strada e giardino su un montarozzo smangiucchiato secolo dopo secolo da poveretti e da principi Orsini e che si chiama Monte Savello, nientedimeno. Un lapidone neoclassico di cinque metri per due spiega tutto: il teatro preferito di Augusto, poi i Savelli, e gli Orsini, e poi l'Accademia di musica da camera, e poi gli appartamenti per gente arrivata e discreta: la villa in città, il parco dell’Ottocento sotto alle finestre. Fuori premono gli autobus, le automobili. Te lunghe code della gente che al portone di faccia richiede il solito ed eterno certificato dell'anagrafe per il concorso. la promozione, la pensione, il cambio di residenza, l'emigrazione, la licenza di commercio. Come dire dunque i fantocci, i pupi, le marionette — e via, chiamiamoli protagonisti — di quella lunga e piccola rappresentazione italiana che Franca Valeri continua oramai da una ventina d'anni al cabaret e al teatro, alla televisione e al cinema.
Le voci sguaiate, sbagliate, tutte impostate ipocritamente e stupidamente: quelle voci che la gente cerca di «farsi» per apparire più di quello che è, non la voce che possiede realmente: e il momento della verità, nelle «scenette» della Valeri è poi sempre evidentemente quello in cui la semplicità, la volgarità, la povertà, la verità insomma saltano fuori in un momento di abbandono, di ira o di distrazione del personaggio.
Diciotto Italie
No, non è un bel 'ritratto quello che Franca Valeri sta facendo, da anni, delle due. o tre o diciotto Italie che esistono, suddivise poi nelle specialità provinciali o sottoprovinciali la milanese, la romana, la bolognese, la veneta. e poi magari la ferrarese. la romana di Prati e quella invece di Parione, quella dell’appartamentino a riscatto lungo l'Olimpica «l’altra arenata un momento all’Anagrafe o alla Teti e che chissà quale corrente, chissà quale pediluvio famigliare-burocratico ha fuorviato e isolato cosi, di colpo, contro uno sfondo neutro che la isola, perfetta, pronta per essere «riprodotta» (e Franca Valeri era lì in agguato, a spiarla: «io non osservo tanto le persone con cui parlo» (grazie] «quanto le altre, gli estranei»).
In una intervista normale, intanto, avremmo anche già notato il «destino» apparente della Valeri di abitare alle spalle di un celebre c popolare teatro dell’età romana, a picco su un palcoscenico di duemila anni fa con le sue caricature dell'epoca. E quando si esce da casa sua. poi, subito murata in una parete c'è una vecchia buca di marmo con su inciso l invito «Memoriali»: la antica cassetta per le spiate, per infilarci di notte le verità altrui colte dal vivo e riferite pari pari con appena qualche abbellitura maligna e destinate alle Autorità Tutorie delle anime e corpi dei romani. Come dei testi già pronti per qualche censore-Valeri dell'epoca, da trasferire nei sonetti del Belli in attesa del telefono e della televisione del sabato. Ma bisognava, intanto, arrivare in qualche maniera alla intervista con la Valeri, malgrado i lunghi intervalli di silenzio, di vuoto del dialogo, la mancanza di parole. Si finisce, in questi casi, col rimestare il cucchiaio nella tazzina c guardare l’arredamento. Per disperazione. e in cerca di aiuto. Qui in casa Valeri-Caprioli piante in vaso, soprammobili a dozzine, legni bruni e lucidissimi. imbottiture, tappeti, quadri Gran Secolo o Fine Ottocento. L’ambiente agiato. insomma, della zia e della nonna con un niente di cattivo gusto gozzaniano; ma, lei. con l'aria di starci benissimo dentro, di non sentire per niente vi disagio, la gravità seria, o magari un poco ipocrita da onesta famiglia per bene: il quadro, a dirla davvero tutta, più da «personaggio» preso in giro dalla Valeri che di Franca Valeri-Caprioli in persona. Si cominciava dunque a capire, mi pareva. Che cioè quei silenzi imbottiti erano naturali; che quell’impaccio a parlare di sé non era soltanto stanchezza, o noia per le interviste tante e tante volte ripetute.
Franca Valeri è milanese, e quella apparente e ordinatissima lentezza di reazioni, quel rifiuto della fantasia, quella difficoltà o impossibilità a «far scena» davanti a un estraneo venuto a tirarle un'istantanea, erano dopotutto reali, del tutto normali e lombarde di una volta. Come l'arredamento, insomma. Gente chiusa, e allegra e ciarliera solo tra quattro mura e tra facce ben conosciute e di confidenza: come gli interni di Gadda. Il padre della Valeri, ingegnere e industriale, pare che fosse un uomo spiritosissimo, e naturalmente all'antica. E la madre, all’antica. ma capace di straordinarie imitazioni. «Ho riassunto tutti c due — confessa Franca Valeri — ma mi imbarazza, parlare della mia famiglia». E' già una traccia. E poi l'altra, quando le chiedo da dove nasce l’idea del suo teatro, che precedenti si era mai trovata in Italia: «Ma il teatro dialettale, non c'è mica altro. Ferravilla, Petrolini. i De Filippo, tutti gli attori-autori, insomma». Si comincia finalmente a parlare, adesso che si è trovata questa chiave della malinconia allegria regionale, del riso crudele e tipico. Cos'è, ad esempio, che quelli come me sbagliano più spesso nel farle una intervista? «Ma quando mi fanno parlare come i miei personaggi; quando scrivono una specie di imitazione della Valeri antipatica-petulante».
E’ sincera?
«Io sono il contrario, lo vede. Sono una timida pigra, il contrario del fuoco d'artificio che la gente s’immagina. E poi sono anche una inesaurabile, allo stesso tempo, come tutte le milanesi. E poi ci sono le donne-intervistatrici, con tutte le loro brave domandine preparate, in fila, terribili, inesorabili come siamo noi donne». E lei ha la tentazione di recitargli un personaggio apposta? Lei è sincera, aavanti agli altri, malgrado il suo mestiere? «No, non lo sono quasi mai. Ma non gioco però neanche un ruolo che mi avvantaggi. Sono sempre portata al ruolo sbagliato. anche qui. La verità è che non ho molta voglia di esprimermi».
Come dire, insomma, che questo fuoco d'artificio, questa fustigatrice dei costumi e degli accenti e smorte dei visi, questa solitaria accusatrice al telefono che oramai anche quando è sola rifà ogni tanto quella piega volgare della bocca da commessa che crede di non essere osservata, è in realtà una persona chiusa, tranquilla, conservatrice o piuttosto coscientemente borghese, silenziosa. anche un poco grigia. magari. Apparentemente. E che ha la tentazione, spesso, malgrado l’attivismo lombardo (che non ha per niente), di lasciarsi andare, di scegliere il più facile: ndn per pigrizia, certo, ma perché di temperamento è come dice lei stessa una «isolazionista». E allora, invece di discutere... Ma lei, Franca Valeri, ha qualche rimprovero da farsi, nel suo lavoro? «Ma sì. I miei ritratti cercano una certa esattezza psicologica, o che sembra esattezza agli altri. Ecco, qualche volta non sono abbastanza rigorosa». Ma lo fa per pietà? Non lo credo. Questi timidi introversi nati in una generazione di mezzo sono buoni, si sa. Ma non sono poi neanche buonissimi, quando devono difendere c tutelare il loro solo modo di essere. Ecco, magari, se Franca Valeri ogni tanto scivola nel facile o magari si ripete come dicono certuni, lo fa per fare piacere agli amici, ai famigliari, ai parenti; eccola diventate «come mi vogliono gli altri». Magari anche come la vuole il pubblico, no? Lei dice di no, che qui è tutta d'un pezzo: fragile ma ostinata. taciturna ma fantastica, pigra ma col dovere e lo scrupolo, dialettale ma pensando magari a Molière, attore ma anche autore (e questo è vero: scrive lei stessa i suoi testi; delle scenette di Sabato sera ne ha già scritte sette, che poi magari modifica all’ultimo momento). personaggio popolare ma anche snob, difficile, tirata qua e là tra il successo e l’orgoglio.
Brava borghese
Ecco qua, una persona in certo senso decisa-indecisa. cioè composita, nuova-vecchia, come tutte le persone con una base all’antica. E’ curioso. Franca Valeri da ventanni ci racconta l’Italia 1950, l’Italia I960, arriverà certo all'Italia 1970 e 1980, dal telefono al videotelefono, non so quello che ci sarà. Ed è una pigra lombarda un poco eretica, una quieta settentrionale capace dei trasformismi più incredibili, una brava borghese con tutta la casa lucida e imbottita e con le sue belle palmine in vaso vicino al pianoforte in salotto: e la sua crudeltà nei «ritratti», la sua pietà (scarsa), la sua curiosità soprattutto (che è la vera chiave di Franca Valeri: una curiosa-orgogliosa ), sono per le piccole commesse, le piccole borghesi, le impiegatine o le mogli qualunque. La ricchezza, quando i suoi personaggi sono ricchi. è sempre odiosa, recente, volgare. Le altre, le umili e povere che ingenuamente cercano di contraffarsi, di atteggiarsi sui propri modesti e sciocchi ideali sociali. sono in fondo sentimentali e commoventi. Ora, il socialismo milanese è così, socialdemocratico e paternalista. Come i ritratti di Franca Valeri. Recitati nel cabaret del teatrino d'élite. Ma cavati dalla Domenica del Corriere.
Claudio Savonuzzi, «Radiocorriere TV», 29 aprile 1967
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Claudio Savonuzzi, «Radiocorriere TV», 29 aprile 1967 |