Il fisco contro Totò: scetticismo per la notizia che sia morto povero

1967 Antonio De Curtis 001

Totò è morto povero affermano i parenti

Negli ultimi 5 anni non aveva più fatto un film da protagonista, mentre pagava ingentissime tasse e faceva molta beneficenza

ROMA, 20

«Totò è morto povero»: così affermano i parenti del celebre comico smentendo la voce secondo la quale egli avrebbe lasciato 500 milioni ai poveri della Sanità. Eduardo Clemente, cugino e segretario di Totò, l’uomo che per anni gli è stato vicino, ha ribadito: «Totò è morto effettivamente povero. Certo, non ha lasciato la famiglia in condizioni economiche difficili o allarmanti, ma non era ricco, per carità!».

Ai poveri ha pensato effettivamente durante tutta la sua vita. «Si può dire — ha infatti continuato Clemente — che negli ultimi tempi Totò, malgrado gli affanni dell'età e la debolezza della sua vista, abbia lavorato proprio per loro, per i poveri. Da cinque unni il principe De Curtius non interpretava un film come protagonista. Faceva soltanto delle partecipazioni e chi lavora nel cinema sa bene che tali ruoli non offrono grandi guadagni. Doveva pagare le tasse. Le ha sempre pagate, puntualmente. Si trattava di circa quaranta milioni all’anno. Per questo faceva tutti i lavori che gli offrivano, partecipazioni, caratterizzazioni, caroselli.

E nonostante tutto continuava a fare la carità, ad aiutare chi aveva bisogno, chi bussava alla sua porta. Non sapeva mai dire di no, non ne aveva il coraggio. Quando gli dicevano: chissà quanta gente si approfitta della tua bontà. Totò rispondeva: ”E come faccio a saperlo? Per non sbagliare mi fido di tutti...”. E così mandava vaglia a destra e a sinistra, senza indugiare. Gli chiedevano una gamba di legno, di finanziare un'operazione agli occhi, di pagare medici e medicine. Totò era sempre pronto. Non rifiutava mai niente a nessuno».

Negli ultimi anni, Totò non guadagnava più le cifre astronomiche dei tempi d’oro e se ne preoccupava per i suoi beneficati. Da tutte le sue attività ricavava un centinaio di milioni che, detratte le tasse, diventavano una cifra esigua. Comunque nel libro delle uscite, figuravano sempre centinaia di vaglia destinati agli indigenti.

«Caro Totò — c’era scritto — sono tanto vecchia. Ho le gambe paralizzate. Qui intorno c'è un bel parco ma io non posso mai andarci perché non ho una carrozzella. Non ho nessuno, ti prego, fammi vedere il sole tra gli alberi. Mandami una carrozzella, anche usata...».

Questa lettera, il comico la ebbe pochi giorni prima di morire da un ospite del Cottolengo di Napoli. Nel giro di poche ore, il suo autista lasciò Roma con una carrozzella nuova fiammante sul portabagagli. Fu l’ultima opera che Totò il buono siglò con il suo nobile, generoso animo.

«Il Roma», 20 aprile 1967


Totò non ha lasciato un grande patrimonio

Lo ha dichiarato il cugino. Il popolare comico, fra tasse e opere di beneficenza, ha speso la maggior parte di quanto ha guadagnato. Di imposte pagava circa quaranta milioni all'anno.

ROMA, 19 aprile

I poveri di Napoli non avranno i cinquecento milioni di Totò. Purtroppo la notizia dell’ingente lascito diffusasi nella città partenopea il giorno dei funerali del popolare comico, non risponde a verità. «Totò è morto povero — ha detto il cugino e segretario dell’attore Eduardo Clemente —. Certo non ha lasciato la famiglia in condizioni economiche difficili, ma non era ricco, per carità !». E la cosa è stata confermata anche dall’avv. Eugenio De Simone, legale ed amico intimo del principe de Curtis. «Data la sua continua, smisurata ed eccezionale generosità—ha detto — non sarebbe mai stato in grado di accumulare non dirò mezzo miliardo, ma neppure un risparmio assai meno cospicuo». Totò, in effetti, negli ultimi anni, ha lavorato soltanto per le tasse e per i poveri.

«Da cinque anni — spiega Eduardo Clemente — non interpretava film come protagonista, faceva soltanto delle "partecipazioni” e tali ruoli non offrono grandi guadagni. Doveva pagare circa quaranta milioni all’anno. Per questo faceva tutti i lavori che gli offrivano, dalle partecipazioni ai caroselli televisivi. E, intanto, continuava a fare la carità, non diceva mai di no. In un anno, ultimamente, poteva guadagnare un centinaio di milioni e se ne andavano tutti tra spese di famiglia, tasse e beneficenza». Clemente calcola che, al massimo, l'attore potesse metter da parte un paio di milioni all’anno. Comunque siamo lontani da mezzi miliardi. D’altra parte, di beneficenza Totò ne ha fatta tenta in vita. L'ultima è stata una carrozzella per una vecchia paralitica. Pochi giorni prima di morire il principe de Curtis aveva ricevuto una lettera dal Cottolengo di Napoli.

«Caro Totò — c’era scritto — ho le gambe paralizzate. Qui intorno c’è un bel parco e io non posso andarci perché non ho una carrozzella. Non ho nessuno, ti prego, fammi vedere il sole tra gli alberi. Mandami una carrozzella anche usata...».

Il giorno dopo l’autista del grande comico era in viaggio verso la città partenopea: sul portabagagli della macchina c’era una carrozzella nuova fiammante.

«Il Mattino», 20 aprile 1967


Totò doveva pagare 300 milioni al fisco

Pochi giorni prima della morte, aveva versato la prima rata del suo debito: tre milioni - Adesso il resto della grossa cifra è stato dichiarato inesigibile: nessun bene patrimoniale è intestato al nome del principe De Curtis

Roma, 12 maggio.

La morte dell’attore Totò ha chiuso in passivo una delle «partite» fiscali più annose e complesse: il principe Antonio De Curtis doveva pagare, per tasse arretrate, circa trecento milioni e s’era offerto di rateizzare il grosso debito in versamenti trimestrali di tre milioni ciascuno. Ora il credito è inesigibile perchè nessun bene risulta intestato al nome del grande comico.

La cifra che il fisco avrebbe dovuto riscuotere si riferiva parte ad imposte di carattere erariale come la ricchezza mobile, la complementare e parte a imposte comunali. I trecento milioni erano iscritti a ruolo per il periodo dal 1959 al 1967. Più volte furono fatti dei tentativi per recuperare il credito attraverso atti giudiziari, ma ogni bene che si riteneva appartenesse all’attore risultava invece intestato ad altro nome. Non riuscì nemmeno il tentativo fatto presso la Rai di bloccare i compensi che Totò riceveva per le sue prestazioni.

Fu lo stesso attore che propose un accordo, offrendosi di pagare tre milioni ogni due mesi; ci sarebbero voluti sedici anni per il recupero totale della somma; tuttavia, non essendoci altra possibilità, l’intendenza di finanza dette il suo benestare. La prima rata era stata puntualmente pagata da Totò pochi giorni prima della sua morte.

I rapporti di Totò con il fisco furono sempre difficili, in quanto il comico si considerava una vittima: le sue denunce dei redditi fatte nel ’63-’64 e ’65 dichiaravano somme ben lontane dalle imposizioni poi applicate dal fisco, i redditi netti dichiarati per questi anni sembra non superassero in tutto i dieci milioni per la complementare, enormi differenze si riscontravano tra il lordo e il netto; di fronte a 30-35 milioni di complementare lorda per il 1963 sembra che Totò denunciasse un netto, di poco meno di due milioni, la differenza era spesa non tassabile, reddito andato in fumo nelle enormi spese che gravano sui redditi di un attore.

Nei prossimi giorni verrà redatta una relazione conclusiva in cui saranno esposti i motivi per i quali il credito dev’essere considerato inesigibile.

«Corriere della Sera», 12 maggio 1967


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Scetticismo per la notizia che Totò è morto povero

Dov'è finito il patrimonio dell'attore? Anche negli ultimi tempi, in cui la sua attività sembrava meno intensa, pare che guadagnasse cifre enormi - Oculato amministratore dei suoi introiti, era in lotta con il fisco

ROMA, venerdì sera.

La notizia che Totò sarebbe morto povero ha suscitato sorpresa nell'ambiente del cinema. Sorpresa ma anche molto scetticismo: nella sua lunghissima carriera il popolare attore ha interpretato 104 film, che nel periodo di maggior successo (dal '48 al '58) sembra venissero retribuiti tra i t0 e gli 80 milioni l'uno. Anche negli ultimi tempi, le sue quotazioni erano rimaste molto alte e la lieve flessione del suo « cachet » era compensata, nel bilancio generale delle sue « entrate », dalle prestazioni In tv, dai diritti d'autore e soprattutto dalla pubblicità.

A Cinecittà, molti erano addirittura convinti che Totò guadagnasse più ultimamente che nel lungo periodo in cui era stato sulla cresta dell'onda. C'è chi azzarda alcune cifre: si parla di centinaia e centinaia di milioni. Dove sia finito questo denaro, almeno ufficialmente, e difficile dire. Stando ad indiscrezioni che non hanno ricevuto alcuna conferma dai familiari dell'attore scomparso, sembra che Totò — che non ha lasciato intestato a suo nome nessun bene — abbia distribuito tutte le sue ricchezze in numerose ed oculate imprese immobiliari, intestate a parenti, ad intimi amici e soprattutto a società anonimo. Per se stesso, l'attore spendeva pochissimo. Conduceva una vita modesta ed appartata.

Con la sua morte, il Fisco ha perduto 300 milioni. A tanto ammontava globalmente una vertenza fiscale che si trascinava da anni. La somma non è recuperabile, perché l'attore non risulta intestatario di beni. Le partite fiscali che sono destinate a restare insoddisfatte riguardano le imposte di carattere erariale come la ricchezza mobile e la complementare. Su queste voci, è scritta la somma di 350 milioni; altri 50 milioni sono invece iscritti per le imposte di carattere comunale, come ad esempio l'imposta di famiglia. Totò si sentiva un perseguitato dal Fisco. Le sue denunce dei redditi fatte nel '63-'64 e nel '65 dichiaravano per la complementare somme ben lontane dalle imposizioni poi applicate dal Fisco. I redditi netti dichiarati per questi anni sembra non superassero In tutto 110 milioni per la complementare; enormi differenze si riscontravano tra il lordo e il netto: di fronte a 30-35 milioni di complementare lorda sembra che Totò denunciasse un netto di poco meno di due milioni. Nelle ultime settimane di vita l'attore aveva fatto un passo per «venire a patti» con il Fisco: in pratica, cercò di raggiungere un compromesso sul pagamento dell'enorme somma che si era accumulata a suo carico. Venne così raggiunto un accordo che prevedeva un pagamento in rate bimestrali di 3 milioni l'una.

l.g., «Stampa Sera», 12 maggio 1967


Totò è morto senza lasciare nulla. Il fisco rinuncia a trecento milioni di crediti

L'attore aveva ottenuto di poter pagare la cifra in rate bimestrali di 3 milioni l'una - Fece il primo versamento pochi giorni prima della morte - Il resto del credito risulta « non esigibile »

Roma, 11 maggio

Totò è morto povero; si era sentito dire fin dai primi giorni dopo la sua scomparsa dagli amici che gli erano stati più vicini. Sembrava difficile da credere, poiché l'attore napoletano aveva guadagnato durante la sua lunga carriera centinaia di milioni e anche negli ultimi tempi la sua quotazione era rimasta piuttosto alta. Qualcuno aveva spiegato che gran parte delle proprie sostanze Totò le aveva donate. Aveva aiutato tutti, familiari, amici e anche sconosciuti. E' certo che, a proprio nome, non aveva intestato nulla e, quindi, era almeno formalmente possibile poiché Totò effettiva povero.

Questo è quanto ha definitivamente accertato il fisco che non potrà così recuperare neanche una piccola parte dei 300 milioni di cu Totò gli era debitore La somma dovuta riguarda le voci « ricchezza mobile» e «complementare» per un totale di 250 milioni, mentre gli altri 50 milioni sono iscritti per imposte comunali, in particolare per quella di famiglia. L'intera cifra, iscrìtta regolarmente a ruolo, non fu mai riscossa perché l'attore la contestò, dichiarando pei iscritto dì essere nullatenente. Nessun atto di sequestro, del reato, era mente non aveva nessun bene immobile a proprio nome. Dì fronte alla prospettiva di dover considerare il credito inesigibile, il fisco ottenne dall'Intendenza di Finanza l'autorizzazione a concedere a Totò la possibilità di pagare ratealmente. L'attore s'impegnò a versare tre milioni ogni bimestre e tenne fede alla parola data facendo il primo versamento pochi giorni prima della sua morte. Ora, le esattorie interessate dovranno archiviare l'intera, voluminosa pratica del contribuente Antonio De Curtis.

l.z., «Stampa Sera», 12 maggio 1967


Inesigibili dal fisco le tasse arretrate di Totò. Ammontano a trecento milioni

Roma, 12 maggio, notte.

Con una relazione in cui si esporranno i motivi per i quali è impossibile procedere si concluderà nel prossimi giorni la pratica fiscale riguardante le tasse arretrate dell'attore Totò, che alla sua morte doveva al fisco trecento milioni di lire. Tale credito del fisco è inesigibile perchè nessun bene patrimoniale risulta intestato al nome di Totò e quindi non si può intraprendere alcuna azione giudiziaria.

La rilevante somma dovuta da Totò, parte per imposte di carattere erariale e parte per imposte comunali, si riferisce al periodo dal 1959 al 1967. La intendenza di finanza avrebbe già da tempo promosso atti giudiziari per recuperarla se non fosse risultato sin dalle prime contestazioni che l’attore era nullatenente; ogni bene patrimoniale che si riteneva di sua proprietà risultava invece intestato ad altro nome. Non fu possibile neanche bloccare i proventi artistici che Totò percepiva, sia dalla RAI che per altre sue prestazioni.

Fu lo stesso attore che si dichiarò disposto a mettersi in regola proponendo una rateazione. nella misura di tre milioni a bimestre. L’accordo, autorizzato dall’intendenza di finanza, che non aveva scelta essendole preclusa ogni altra via di riscossione più rapida, fu perfezionato pochissimo tempo prima della morte improvvisa di Totò, il quale fece appena in tempo a pagare puntualmente la prima rata.

Le denunce dei redditi del principe De Curtis e gli imponibili fissati dal fisco avevano sempre determinato lunghe vertenze.

«Corriere della Sera», 13 maggio 1967


Tutto il patrimonio sarebbe finito alla Faldini

La figlia contesta i diritti della «vedova». E si tratta d'una fortuna ingente, valutata in un miliardo circa (che il fisco però non riuscì ad accertare) - Ora l'ex compagna dell'attore conduce un'intensa vita mondana. E' spesso in compagnia di Vittorio Caprioli che le ha proposto di girare un film

Roma, martedì sera.

«Franca Faldini non è mai stata la moglie legittima di mio padre». Questa dichiarazione, rilasciata da Liliana Buffardi, l'unica figlia del grande attore scomparso, al settimanale milanese «Stop», non ha destato né sorpresa né scalpore nel mondo del cinema romano. Che la «vedova» di Totò non fosse vedova, era noto anche ai non intimi della coppia. Gli intimi, del resto, erano pochi. Come prova della sua dichiarazione, Liliana De Curtis (che da tempo vive separata dal marito, il produttore cinematografico Buffardi) ha consegnato al settimanale il certificato negativo di matrimonio di Franca Faldini e il certificato di morte di Antonio De Curtis in cui l'attore risulta celibe. Sposatost assai giovane con la signora Diana Rogliani, Totò aveva infatti ottenuto l'annullamento ''del suo primo ed unico matrimonio fin dal 1939. Se non vi sono dubbi sul celibato dell'attore, assai poco chiari, almeno sino ad oggi, sono i motivi per cui Liliana Buffardi ha voluto fare dichiarazioni tanto delicate sulla compagna di suo padre. Alla base di tutto, secondo il settimanale, v'è un problema di «interessi» e di eredità. In altri termini Totò, dopo la sua morte, avrebbe dovuto lasciare secondo la legge tutte le sue sostarize, calcolate in un miliardo di lire tra liquidi e beni immobili, alla figlia. In realtà, la situazione sarebbe completamente diversa e capovolta.

Totò era un oculato amministratore delle sue sostanze. Qualcuno parlava di avarizia, ma la sua generosità verso i bisognosi ed i colleghi meno fortunati era proverbiale. Al culmine della carriera, l'attore guadagnava molti milioni a film e anche dopo le quotazioni sono sempre state buone. Negli ultimi anni, affermava che «la sua esistenza è stata una lotta contro il fisco, lotta che lo ha visto quasi sempre vincitore». Egli avrebbe infatti saputo distribuire con molta abilità le sue sostanze a società di comodo, che il fisco non c mai riuscito ad individuare. I terreni, gli appartamenti, le azioni, i milioni in Banca, di Totò oggi sarebbero di Franca Faldini la quale, dopo 15 anni di semiclausura a fianco dell'attore, è tornata d'improvviso a far vita mondana. Rimasta «vedova» all'età di 36 anni l'ex miss, di colpa, si è buttata in mezzo alla gente, sorride, viaggia, vuol far del cinema. E' apparsa all'ultimo Festival di Venezia, sulla spiaggia del Lido, in bikini rosso, poi in minigonna azzurra, poi con un abito lungo e nero, ma - hanno scritto i cronisti mondani - ero reso piccante dalla scollatura che non fa certamente mortificazione».

Da Venezia, a Roma, a Napoli, gli «amici» e gli ambienti più pettegoli osservano come balla lo shake lei che, quando era vivo Totò, affermava di non saper ballare. E si sottolinea la frequenza con cui compare al suo fianco Vittorio Caprioli, il quale, tempo addietro, avrebbe lasciato la moglie Franca Valeri per correre, in vacanza nell'albergo della Faldini. Quest'ultimo particolare, soprattutto, ha destato scalpore: quando Totò era vivo; Franca Faldini non poteva neppure ridere con qualche giovane ospite. «Farò delle traduzioni per una casa editrice ed anche del cinema» ha risposto ai suoi critici la «vedova» dell'attore concedendo il mese scorso un'intervista ad un settimanale. «Caprioli (che indicano come mio amante: è sbagliato, ma lasciamoli dire, non mi interessano i pettegolezzi) ha pronto un film graffiante ed ironico. Mi ha proposto di essere ima delle interpreti. Forse accetterò. Anche Risi mi ha mandato un copione». Si dice che lei ora abbia una fortuna. Perché vuole lavorare? «Non sono ricca — replica la Faldini — ma economicamente tranquilla. Ho delle necessità morali, non materiali, ma se non voglio sentirmi una donna sola devo fare qualcosa. Il ricordo di Totò mi accompagna, ma la vita è la vita».

Luca Giurato, «La Stampa», 7-8 novembre 1967



Riferimenti e bibliografie:

Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:

  • «Il Roma», 20 aprile 1967
  • «Il Mattino», 20 aprile 1967
  • «Corriere della Sera», 12 maggio 1967
  • l.g., «Stampa Sera», 12 maggio 1967
  • l.z., «Stampa Sera», 12 maggio 1967
  • «Corriere della Sera», 13 maggio 1967
  • Luca Giurato, «La Stampa», 7-8 novembre 1967