Yvonne Sanson, dimenticata da tutti (ma non dal fisco)

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Yvonne Sanson, la vamp degli anni Cinquanta ormai ignorata dal pubblico e dai produttori cinematografici, ha lasciato il piccolo appartamento di Ostia, dove si era ridotta ad abitare, per sfuggire al fisco che la insegue

Una Cinquecento un po' sgangherata, la palazzina con l’intonaco scrostato dalla salsedine. l'Ostia Invernale intrisa di nebbia e di umidità, la porta del minuscolo appartamento che si chiude alle spalle, un paio d'occhiali da sole, non per cercare l'incognito. ormai non ce n'è più bisogno, ma forse per provare a vedere meno, a chiudersi più dentro se stessa: questa è stata l'ultima ribalta di Yvonne Sanson, l'attrice che negli anni Cinquanta era esplosa, insieme a Gina Lollobriglda e all'allora debuttante Sofia Lazzaro, diventata poi la Loren del Dior e del gioielli da mezzo miliardo.

Quella del Cinquanta era ancora l'Italia del dopoguerra, sensibile alle bellezze che ti facevano dimenticare gli anni passati, con le loro atrocità, i loro dolori, le privazioni, Il fascismo, la guerra: Gina Lollobriglda cominciava ad apparire in timide particine, la Loren ammiccava dal fumetti e Yvonne Sanson era la beniamina di tutti coloro che erano particolarmente sensibili al suo fascino un po' levantino: nata a Salonicco nel 1926, da padre franco-russo e da madre turco-polacca, arrivata in Italia da Atene nel 1943 per finire gli studi, scoperta la strada del cinema, rappresentò un po' il simbolo di quel fascino slavo che il pubblico italiano non aveva ancora scoperto.

Vittima della moda

I capelli neri e inanellati, la bocca sottolineata dal trucco pesante, come usava allora, le forme procaci, Yvonne Sanson in breve tempo divenne l'eroina di tutta una serie di film passionali, come «Catene», «Tormento», «L'ultima violenza». Arrivò la popolarità, la ricchezza, la gioia di sentirsi un personaggio, di essere riconosciuta per la strada. pareva che i suoi orizzonti si allargassero sempre più. Ma non fu cosi. La moda cambia, non ha rispetto per i progetti della gente: o ci si adegua, o nulla, si cade nel dimenticatolo, si diventa un fantasma del passato, ci si riduce a fare la generica di Cinecittà, con il cerone di giorno in giorno più pesante, per nascondere le rughe, le attese sempre più lunghe per ottenere un giorno di ciack.

1967 Noi donne Yvonne Sanson f1Una foto di repertorio di Yvonne Sanson, ai tempi in cui furoreggiava. In seguito la sua bellezza pèassò di moda e il pubblico le voltò le spalle senza esitazione.

A tutto questo Yvonne Sanson ebbe il coraggio di dire di no: quando tutto le volse le spalle, quando per gli spettatori non rappresentò più nulla, quando i produttori non le proposero più un film, preferì l'anonimato, l'impiego, ritirandosi nel suo guscio: chiedeva di essere dimenticata, anche se quest'oblìo la feriva di giorno In giorno, se doveva essere crudele passare dalle pellicce di volpe azzurra, dai ricevimenti, dai galà, di cui era stata protagonista, alla vita di tutti i giorni, a quel mediocre tran-tran, grigio per tutti, forse orribile per lei. Dei passati guadagni, delle ricchezze che le erano piovute addosso non le era rimasto più nulla: era una diva, ma era sprovveduta, non capitalizzò, non aprì lavanderie a gettone, fu una ingenua cicala e proprio per questa sua ingenuità fu superata dalla moda: comparve sugli schermi per l'ultima volta nel 1961, dopo sei anni di assenza, nel film «Il re di Poggioreale», accanto a Ernest Borgnine, ma fu un ritorno fine a se stesso, una parentesi che doveva rivelarsi ancora più amara. E cosi, dopo la morte del marito, ecco l'appartamentino a Ostia, dove l'affitto costa ancora meno che nei rioni più popolari di Roma, la Cinquecento vecchiotta per andare tutte le mattine presto a lavorare, la compagnia della figlia ormai diciottenne e la comprensione della portiera, che, abituata ai suoi inquilini, si sentiva quasi lusingata di aver una ex star nel suo stabile. Dimenticata da tutti, ma non dal fisco: il fisco è come un robot, dagli ingranaggi lenti ma inesorabili; che importa avere davanti una vittima della moda, del gusto cambiato? A via Capitan Casella, a Ostia, le cartelle dell'esattoria comunale si accavallavano, arrivavano sempre più pesanti, chiedevano cifre impossibili anche per un professionista arrivato, figurarsi per una donna il cui reddito era diventato più che modesto.

Una persecuzione lenta, che ti segue comunque, ancora più dolorosa perchè ti riporta alla mente i giorni passati, perchè ti pone pressante la domanda: perché non sono più «Yvonne Sanson»?, eppure sono sempre la stessa. Il pubblico è una bestia cattiva, se si vuole, facile preda della moda, pronto a svalutare ogni cosa, a buttarsi dietro le spalle qualsiasi personaggio. E i produttori assecondano, quando non impongono, questo atteggiamento: il divo, o l'attore diventa un oggetto di consumo, poi si scarta come un fantoccio che abbia perso la segatura e che non stia più in piedi.

L' ultimo fan

Ed ecco la voglia di dire basta: basta persino a quello stabile che l'ha protetta con il suo grigiore, che le sarà parso arrogante, quando d'estate esplodevano gli ombrelloni sulla spiaggia, in cui il suo appartamento avrà visto tante serate vuote di realtà e piene di ricordi e di domande; Yvonne Sanson non era una vera attrice, non era una Bette Davis o una Anna Magnani, che hanno ragione delle rughe, del tempo e delle mode: pure molti altri personaggi che sono riusciti a sopravviverle, non erano più valenti di lei: ma c'era la forza di carattere, l'astuzia, la volontà, il senso a volte orribile della realtà: Silvana Pampanini oggi non è nessuno, ma ha saputo sfruttare il suo momento con l'accortezza di chi ha una mente calcolatrice, di chi ha capito il gioco di un sistema e che a questo gioco ha saputo adeguarsi: oggi. infatti, la Pampanini guarda Ponte Milvio dal suo attico a Vigna Clara.

Yvonne Sanson, invece, non ha saputo mantenere neppure l'appartamento ad Ostia: una mattina è scesa, ha detto alla portiera di rimandare tutta la posta che sarebbe arrivata al mittente, ed è partita, scomparsa senza dare alcuna notizia di sé. Scomparsa per sparire davanti al suo ultimo, assurdo, tenacissimo fan: il fisco.

Patrizia Carrano, «Noi donne», 1967


Noi donne
Patrizia Carrano, «Noi donne», 1967