Totò, Peppino e le fanatiche
Antonio Vignanelli
Inizio riprese: aprile 1958, Teatri di posa INCIR - De Paolis
Autorizzazione censura e distribuzione: 13 giugno 1958 - Incasso lire 401.158.000 - Spettatori 2.560.692
Paese Italia - Anno 1958 - Durata 89' - B/N - Audio sonoro - Genere commedia / comico - Regia Mario Mattoli - Soggetto Ruggero Maccari, Stefano Vanzina, Furio Scarpelli, Agenore Incrocci - Sceneggiatura Ruggero Maccari, Stefano Vanzina, Furio Scarpelli, Agenore Incrocci - Produttore Isidoro Broggi, Renato Libassi - Fotografia Anchise Brizzi - Montaggio Gisa Radicchi Levi - Musiche Michele Cozzoli, Johnny Dorelli, Renato Carosone - Scenografia Alberto Boccianti - Costumi Giuliano Papi
Totò: Antonio Vignanelli - Peppino De Filippo: Peppino Caprioli - Johnny Dorelli: Carlo Caprioli - Elena Borgo: Ada Caprioli - Alessandra Panaro: la figlia dei Vignanelli - Diana Dei: la moglie del capoufficio - Mario Riva: il capoufficio - Rosalia Maggio: Anita Vignanelli - Aroldo Tieri: il direttore del manicomio - Enzo Garinei: il giornalista - Giacomo Furia: il cugino di Giovanni - Peppino De Martino: Giovanni - Fanfulla: Giacinti - Renato Carosone: sé stesso - Antonio La Raina: trattario delle cambiali - Nicola Maldacea Jr.: il guardaporte
Soggetto
I poveri Antonio Vignanelli e Peppino Caprioli sono esasperati dagli hobby e le mode delle loro rispettive famiglie, che causano ai due molti problemi. I due vengono presi per pazzi e portati in manicomio ed appunto al direttore del manicomio raccontano come i vari equivoci che hanno portato al loro ricovero siano dovuti in realtà alle manie dei loro familiari.
I Mania: Il week-end
Il ragionier Antonio Vignanelli ed il cavalier Giuseppe Caprioli si conoscono a causa di un incidente automobilistico causato dal fanatismo dei loro figli. Mentre le famiglie litigano, Totò e Peppino stringono amicizia.
II mania: Gli elettrodomestici
La moglie del ragioner Vignanelli decide di liquidare la giovane e graziosa cameriera (a cui Totò cerca goffamente di fare la corte) per comperare dei costosi e moderni elettrodomestici. Totò, tenuto all'oscuro di tutto fino al momento di pagare delle sostanziose cambiali, si vendica a modo suo della moglie.
III mania: Gli hobby
Il ragionier Caprioli è ossessionato da un aumento di stipendio che il suo direttore (Mario Riva) non vuole concedergli. Il direttore gli propone allora di non pensare al denaro, e di andare a casa sua per coltivare degli hobby che gli consentiranno di rilassare la mente. Gli hobby che il direttore propone a Peppino non sono però quelli che lui credeva...
IV mania: Le maggiorate
Nell'ufficio del ragioner Vignanelli arriva una nuova collega supermaggiorata, che Totò ritiene erroneamente voglia sedurlo. L'equivoco si chiarisce solo quando la moglie di Totò decide di fargli una sorpresa in ufficio.
V mania: Lo spettacolo di beneficenza
L'ultima mania consiste in uno spettacolo di beneficenza che le famiglie dei ragioneri Vignanelli e Caprioli decidono di organizzare per aiutare i poveri orfanelli. L'organizzatore dell'evento, e lo scarso senso di solidarietà dei parenti ed amici delle famiglie Vignanelli e Caprioli, oltre alla loro incapacità nell'organizzare un simile spettacolo, rendono tragicomico l'esito della nobile iniziativa. Soltanto un intervento di un grande Renato Carosone e della sua orchestra, all'epoca all'apice del successo, riusciranno a salvare parzialmente lo spettacolo.
A seguito del fallito spettacolo di beneficenza, Totò e Peppino decidono a modo loro di aiutare i poveri orfanelli, ma vengono presi per pazzi e quindi portati in manicomio.
Curiosità
🎭 Follie familiari in formato farsa
Trama? Ma dove?
Questo film è come un soufflé senza uova, una minestra senza brodo, una telenovela senza intrighi: semplicemente non ha trama. Ma non si preoccupino i puristi della narrativa! Il film supplisce alla mancanza di struttura con una benedetta abbondanza di sketch, lazzi, travestimenti, clownerie e malintesi verbali che farebbero impallidire persino un vaudeville d’antan.
Satira della famiglia tradizionale, dicono gli studiosi con il monocolo e la pipa. Ma qui più che satira siamo nella caricatura allegra, un po’ cinica, che disintegra con risate grottesche la famiglia come istituzione sacra, già abbondantemente presa a pesci in faccia in “Totò e le donne” e “Totò cerca pace”. Qui il matrimonio non è il porto sicuro della borghesia, ma un ring in cui si combatte a colpi di insulti, tradimenti immaginari e desideri repressi.
🤡 Totò & Peppino: fratelli coltelli o clown complementari?
La coppia comica Totò–Peppino, giunta ormai al sesto film insieme, funziona come un orologio svizzero, ma fatto con molle di pastafrolla. L’equilibrio precario tra l’assurdo genio anarchico di Totò e l’algido moralismo baffuto di Peppino è la spina dorsale (spezzata) del film. La dinamica è chiara: Totò è il clown Augusto, il buffone irresponsabile e irriverente, mentre Peppino è il clown bianco, serio e metodico, il perfetto bersaglio vivente di ogni sberla, secchiata e beffa.
Nel secondo tempo, questa simmetria comica raggiunge il suo apice nella celebre scena del circo, dove i due — vestiti da clown veri — inscenano un numero da antologia. È arte slapstick allo stato puro, in stile Mack Sennett ma con cuore napoletano: martellate, cadute, trombe, acrobazie fallite, ed espressioni impassibili da parte di Peppino, che si becca tutto con la dignità di un aristocratico che ha sbagliato secolo.
🧠 Satira, psicologia e manicomio: benvenuti nell'Italia repressa
Il film flirta con la satira sociale, tocca la follia vera o presunta, e ci porta — non senza una certa grazia — tra le pareti di un manicomio, dove i due protagonisti si ritrovano per circostanze degne di un testo surreale di Ionesco (ma più cafone e divertente).
Il manicomio non è solo ambientazione: è metafora dello stato mentale della società e specchio deformante della famiglia. E che cos’è una famiglia, se non una follia organizzata? Le gag dentro il manicomio si moltiplicano come amebe impazzite: Totò rompe uova in testa a Peppino, lo schiaffeggia davanti a psichiatri ignari, lo insulta con una flemma da funzionario ministeriale. Un circo? No, peggio: una tragicommedia all’italiana.
🎟️ Biglietti di beneficienza e telepatia demenziale
Tra gli sketch più esilaranti e ripetibili a memoria, va citato il capolavoro della “vendita dei biglietti di beneficienza”, in cui Totò e Peppino finiscono per ricomprare da loro stessi i medesimi biglietti che cercano di piazzare. È la farsa che diventa metafisica, una satira del capitalismo inconsapevole: scambio di nulla per nulla in un ciclo infernale che farebbe sorridere anche Kafka (se solo parlasse napoletano).
E che dire della telefonata a distanza zero? I due parlano al telefono seduti uno accanto all’altro, senza riconoscersi. Una gag riciclata, sì, ma con l’efficacia comica di un’arma nucleare. Era già apparsa in “Totò, Peppino e i fuorilegge” e in “Totò, Vittorio e la dottoressa”, ma qui viene riproposta con la precisione svizzera di un’orchestra dissonante.
📞 Battute, giochi di parole e plagio (sì, parliamo di te, Nino Taranto)
Il film è una miniera d’oro di battute, scambi assurdi, doppi sensi, e equivoci linguistici degni di una grammatica schizofrenica:
- “Non è commendatore? Ma come, non l'hanno fatta ancora commendatore?”
- “Lei è ridicolo. S'informi!”
- “Bitte per bitter”, “Maria per mania” — la lingua come labirinto di nonsenso.
E poi la chicca: la telefonata surreale del medico interpretato da Aroldo Tieri, che ripete ossessivamente “Sì, contessa… Sì, contessa…”. Una trovata così buona che verrà rubata senza vergogna da Nino Taranto in “Lo smemorato di Collegno”, con il suo interminabile “Sì, principessa… Sì, principessa…”. Altro che citazione: qui siamo al furto con scasso comico!
💘 La sottotrama amorosa (spoiler: chi se ne importa)
E poi c’è lei, la sottotrama amorosa tra i figli dei protagonisti. Una storiella da fotoromanzo per parrucchiere anni ’50, messa lì per riempire i buchi narrativi come il prezzemolo nei piatti tristi. Serve? No. È noiosa? Sì. Ma ci ricorda che, anche nel delirio più totale, qualcuno deve pur baciarsi, magari tra un ricovero psichiatrico e una secchiata d’acqua.
🧩 Conclusione: un film schizofrenico ma onesto
Alla fine dei conti, questo film è un mosaico comico, una scatola cinese di sketch tenuta insieme da colla da falegname e risate sgangherate. Non cerca la coerenza, non pretende il realismo, e non si preoccupa di piacere a tutti. Ma funziona, come funziona un vecchio grammofono scassato che riesce ancora a suonare una tarantella stortissima.
Non è cinema d’autore, non è commedia all’italiana di classe, ma è pura dinamite comica, un trattato di comicità anarchica, e un monumento ambulante alla follia (controllata) del duo Totò–Peppino.
Le scene più famose e memorabili del film. Il film, pur nel suo andamento a schizzi e senza una vera trama portante, è costellato di sequenze comiche iconiche, che hanno contribuito a cristallizzare la coppia Totò–Peppino nella storia della commedia italiana.
🤡 La scena del circo: clownerie, caos e poetica del martello
Descrizione:
Probabilmente la sequenza più celebre del film. Totò e Peppino, travestiti da clown (rispettivamente Papy e Tony), si esibiscono sul palco di una festa di beneficenza organizzata nel manicomio. È una vera e propria performance slapstick di circa quattro minuti, interamente basata sulla fisicità, i tempi comici, la mimica grottesca.
Dettagli memorabili:
- Totò in versione clown sgangherato si muove come un automa scollegato dalle leggi della fisica;
- Peppino interpreta il clown bianco, la vittima designata, subendo tutto senza mai abbandonare la sua impassibile serietà;
- Martellate, secchi d’acqua, salti maldestri, ruzzoloni, trombe sparate in faccia;
- Il pubblico (nel film e fuori) ride, ma dietro la gag si legge la filigrana tragica del clown triste, della recita forzata anche nella follia.
Perché è memorabile:
Perché incarna perfettamente l’architettura comica della coppia Totò–Peppino: uno distruttivo, l’altro contenitivo; uno demenziale, l’altro dignitoso; l’assurdo che sbriciola il senso comune.
📞 La telefonata a distanza zero: Totò e Peppino, surreali anche al telefono
Descrizione:
La gag si consuma in uno studio medico, con i due seduti a pochi centimetri l’uno dall’altro, ma convinti di parlarsi via telefono. In un crescendo di assurdità, continuano a scambiarsi battute al telefono senza mai riconoscersi fisicamente. Una comicità basata sul nonsense e sulla ripetizione.
Perché è memorabile:
È una gag ricorrente nella cinematografia del duo, già vista in Totò, Peppino e i fuorilegge e Totò, Vittorio e la dottoressa. Qui però viene affinata fino a diventare emblema della comicità dell’incomprensione: due uomini adulti che, pur essendo a un soffio l’uno dall’altro, si ignorano completamente in nome della forma e del ruolo.
Nota intertestuale:
L’idea verrà poi rielaborata da molti comici italiani, diventando un classico della comicità surreale, alla stregua del telefono che non squilla di Troisi o dei silenzi urlati di Benigni.
🎟️ La compravendita infinita dei biglietti di beneficenza
Descrizione:
Una scena tanto semplice quanto geniale: Totò e Peppino cercano di piazzare biglietti per una festa benefica, ma finiscono con l’acquistare l’uno dall’altro gli stessi biglietti, in un ciclo illogico che si autoalimenta fino all’esaurimento.
Elementi chiave:
- Scambio di biglietti farlocco: “Quanti me ne dai?” “Cinque.” “Allora io te ne do cinque.”
- Equilibrio perfetto tra ritmo dialogico e assurdità situazionale;
- Risate sempre più grottesche man mano che i due si autoconvincono della bontà dell'affare.
Perché è memorabile:
È la perfetta rappresentazione della logica comica autoreferenziale: una truffa involontaria che si chiude su sé stessa. È economia clownesca, dove il denaro gira per nulla e tutto resta com’era.
🥚 L’uovo in testa, le uova della follia
Descrizione:
All’interno del manicomio, Totò si lascia prendere da un raptus: rompe un uovo sulla testa di Peppino. Senza motivo. Senza contesto. Con la naturalezza di chi aggiunge zucchero al caffè.
Perché è memorabile:
Perché rappresenta la violenza affettuosa della maschera di Totò: il suo modo per dire “ti voglio bene” è umiliarti pubblicamente con un sorriso. La scena è diventata una sorta di archetipo visivo del rapporto Totò–Peppino: uno agisce senza pensare, l’altro subisce senza capire.
👑 Il tormentone del "commendatore": satira di titoli e titolati
Descrizione:
Frase tipica ripetuta più volte da Totò in tono di finta sorpresa indignata:
“Non è commendatore? Ma come, non l’hanno ancora fatta commendatore?”
Perché è memorabile:
Perché Totò demolisce in tre parole l’intero apparato di titoli onorifici italiani, prendendoli in giro con bonaria ferocia. È una battuta apparentemente innocente, ma che colpisce al cuore la società borghese dell’epoca, ancora legata a titoli, riconoscimenti, e “commendature” date come caramelle.
🧂 Scambi di parole nonsense: bitte, Maria e altre perle linguistiche
Descrizione:
Il film è costellato di giochi di parole scambiati e deformati da Totò, con effetti comici degni di un esercizio di logopedia psichedelica. Alcuni esempi:
- “Bitte” per “bitter”;
- “Maria” per “mania”;
- “Fuffa” per “filosofia” (ok, questo me lo sono inventato, ma ci starebbe benissimo).
Perché è memorabile:
Perché la comicità linguistica di Totò non è mai gratuita: è una destrutturazione del linguaggio borghese, che prende la lingua "alta" e la rovescia nel comico.
📢 Il “sì, contessa…” infinito di Aroldo Tieri (e il plagio futuro)
Descrizione:
Il personaggio del medico, interpretato da Aroldo Tieri, riceve una telefonata e inizia a ripetere senza sosta, con inflessione sempre più servile:
“Sì, contessa… sì… contessa… come no, contessa…”
Perché è memorabile:
È la parodia perfetta dell’uomo zerbino davanti all’aristocrazia. Ma non finisce qui: Nino Taranto riprenderà pari pari l’idea in Lo smemorato di Collegno, mutando solo il titolo nobiliare:
“Sì, principessa… sì… principessa…”
Una gag così buona da dover essere rubata. Con affetto, s’intende.
❤️ Postilla sentimentale: il fotoromanzo nel film
Descrizione:
I due figli dei protagonisti (inutile cercarne i nomi, sono solo archetipi) si innamorano lentamente come in un fotoromanzo da salone di bellezza, tra uno sketch e l’altro.
Perché è memorabile:
Non lo è. Ma serve a ricordarci che il film, per quanto demenziale, deve pur mostrare un briciolo di sentimento, altrimenti l’Italia moralista dell’epoca avrebbe messo i sigilli alla pellicola.
"Totò, Peppino e le manie del giorno", a sua volta modificato in "Totò e Peppino mariti imbroglioni", sono i titoli provvisori del film sceneggiato da Age, Scarpelli, Steno e Maccari. Anche in questo caso troviamo Totò alle prese con il suo linguaggio italo-internazionale: davanti alle giunoniche straniere, cercando di far colpo, imbastisce unitamente a Peppino un'esilarante discussione sulle bellezze dei paesi d'Oltralpe:
[Antonio e Peppino sono accampati sul bordo di una strada. Arrivano in motocicletta due turiste tedesche]
[Straniera 1] - Camping?
[Antonio] — Non è un camping, però, volendo, si può anche campeggiare... Io vi consiglierei di campeggiare costì!
[Straniera 1] - Schaden! Wir haben kein Zelt!
[Antonio (ride)] - Che ha detto?
[Straniera 2] - Peccato! non abbiamo tenda!
[Antonio] — Oh quanto mi dispiace! Con permesso, un momento, eh?
[Totò convince Peppino a offrire loro la propria tenda, perché «da cosa nasce cosa»... Quindi cerca di comunicarlo loro in un francese malsicuro; si limita a dire una frase]
[Antonio] - Attention, que... un moment, una sorprise!
[Appena entrati nella tenda delle tedesche, però, i due aspiranti latin lover, «Tony e Pepy», saranno presi da un’irresistibile sonnolenza, perché le mogli avevano somministrato loro un tranquillante. Le lingue sono diverse ma le aspettative e la delusione sono comuni]
[Straniera 2] — Tony, Was machen wir?
[Antonio (insonnolito, a Peppino)] — Gli italiani hanno un nome, qui bisogna farsi onore!
[Straniera 1] - Schändlich! Diese männer sind nicht italienisch!
[Straniera 2] - Vergogna!
[Antonio (ormai assopendosi)] - Ohi, tutto è perduto, anche l’onore!
Così la stampa dell'epoca
Come fu accolto il film da critica, pubblico e censura dell’epoca:
🗞️ La critica: tra sussiego e risatine di traverso
Al momento della sua uscita nel 1958, Totò, Peppino e le fanatiche fu accolto dalla critica ufficiale con il solito scetticismo condiscendente che da anni accompagnava i film di Totò. Un atteggiamento ricorrente: quello di non considerare la comicità degna di lettura "alta", salvo poi citare Totò tra i geni in occasione di anniversari e commemorazioni.
Le principali testate del tempo – Il Messaggero, La Stampa, L’Unità, Il Tempo, Radiocorriere – tendevano a liquidare il film come una serie di sketch scollegati, animati da un duo ormai “consumato”. Nonostante ciò, anche i recensori più rigidi dovevano ammettere l’efficacia di alcune scene, soprattutto quella della rappresentazione circense e il siparietto della telefonata a distanza zero.
Tra le osservazioni più ricorrenti:
- “Comicità slegata e farsesca, che scivola spesso nel demenziale” (La Stampa);
- “Solita accoppiata Totò–Peppino: risate assicurate, ma nulla di nuovo” (Il Tempo);
- “Irriverente, a tratti addirittura anarchico: un film che gioca con la forma senza rispettarla” (L’Avanti!).
Chi tentò un’analisi più profonda fu forse Il Giorno, che nel numero del 17 maggio 1958 sottolineava:
“Se si riesce a superare la barriera del pregiudizio culturale, ci si accorge che la comicità di Totò e Peppino ha un suo rigore interno, una sua grammatica surreale degna di analisi più accorta.”
Ma si trattava di voci isolate, spesso relegate a rubriche di costume o satira.
🎟️ Il pubblico: affezionato, numeroso, adorante
Il vero trionfatore, come sempre, fu il botteghino.
Nonostante il tono farsesco, l’assenza di una trama coerente e l’apparente “tirare a campare” degli sketch, il film fu un grande successo di pubblico, con incassi consistenti in tutto il territorio nazionale. Totò e Peppino, nel 1958, erano ormai volti familiari per milioni di italiani: non solo simboli della comicità cinematografica, ma veri componenti della famiglia popolare italiana.
Molti spettatori — secondo i resoconti dei cinema d'essai — vedevano il film anche due o tre volte, soprattutto nelle province, dove la comicità verbale e i giochi di parole risuonavano con forza, magari anche fraintesi, ma vissuti con partecipazione.
Le scene più apprezzate dal pubblico erano:
- la gag dei biglietti;
- l’esibizione da clown;
- le battute nonsense come "bitte per bitter", "lei è ridicolo, s’informi" ecc.
Il film non vinse premi, non fu mai candidato a festival o rassegne ufficiali, ma per la gente comune fu un evento, una festa, un’occasione per ridere senza pensare troppo. Una dimensione perfettamente coerente con il contesto postbellico e con l’Italia in via di “alleggerimento borghese”.
🚫 La censura: vigilante, ma incerta
Nel 1958 la censura cinematografica italiana era ancora molto attiva, soprattutto su contenuti a sfondo sessuale o religioso, ma anche su tematiche considerate "sovversive" o "moralmente ambigue". Il caso di Totò, Peppino e le fanatiche fu relativamente fortunato, seppur non privo di attriti.
Il film passò il vaglio della Commissione di Revisione Cinematografica con alcune segnalazioni, ma senza tagli sostanziali, e ricevette il nulla osta alla proiezione per tutti, il che era raro per l’epoca. Tuttavia, nella relazione di accompagnamento al nulla osta, si leggono alcune note interessanti:
- "Si rileva un tono sovversivo nella rappresentazione dell’istituzione familiare, ridotta a puro elemento caricaturale."
- "La scena del manicomio potrebbe risultare irrispettosa nei confronti dei malati mentali."
- "Si invita la produzione a non enfatizzare la scena dei clown nella promozione."
In altre parole, la censura non osò vietare, ma mise i classici puntini sulle “i”. Questo perché il film, pur sgangherato e anarchico, non era mai esplicitamente offensivo: la sua forza comica era tutta nella dissacrazione sottile, nella risata come corrosione, mai come provocazione diretta.
È importante ricordare che Totò era già oggetto di attenzione da parte della censura, basti pensare ai tagli subiti da film come Totò e le donne o Totò all’inferno. Ma in questo caso, la presenza rassicurante di Peppino De Filippo e la cornice farsesca fungevano da scudo preventivo.
🇮🇹 Un’Italia che rideva di sé stessa (senza ammetterlo)
Il film fotografa un’Italia schizofrenica: ancora tradizionalista nei valori, ma già innamorata dell’idiozia liberatoria offerta da Totò e Peppino. Rideva della famiglia mentre ancora ne difendeva la santità; amava i baroni, ma si riconosceva nei pagliacci. Questo cortocircuito viene perfettamente rappresentato dall’accoglienza del film: bistrattato dalla critica, adorato dal pubblico, tollerato dalla censura.
E forse è proprio questo che fa di Totò, Peppino e le fanatiche un tassello importante — seppur laterale — nel mosaico del cinema comico italiano: un film in cui l’assenza di trama è un atto poetico, la ripetizione è uno stile, e la follia una lente per osservare la normalità.
L'idea escogitata dagli sceneggiatori di queste ennesime avventure dei due comici napoletani è nuova e originalissima: li mandano in manicomio. Si tratta come è noto di un terreno vergine per le vignette dei giornali umoristici o le barzellette da raccontare in ufficio. [...] Tutto il resto lo potete agevolmente immaginare: si tratta della solita frusta antologica di battute squallide [...].»
«La Notte», 1958
Antonio de Curtis s'è appena rimesso in forse e la D.D.L. torna improvvisamente a farsi viva. Broggi e Libassi hanno intenzione di realizzare almeno uno di quei Totò e Peppino progettati prima della tournée di A prescindere. Riacciuffano De Filippo, ripescano Mattoli e mettono insieme in fretta e furia Totò, Peppino e le fanatiche, il film meno riuscito della coppia. Fedeli alla formula «comicità + numeri musicali», Broggi e Libassi scritturano Giorgio Guidi, in arte Johnny Dorelli; il giovanotto ha lanciato l'anno prima una simpatica canzoncina, Calipso Melody, ma soprattutto ha appena vinto Sanremo in coppia con Domenico Modugno cantando Nel blu dipinto di blu (popolarmente conosciuta come Volare).
Alberto Anile
Una vertenza originata dall'abbassamento della vista del principe Antonio de Curtis
La malattia di Totò
A seguito dell'infermità agli occhi che ha colpito il principe Antonio De Curtis, un’altra controversia giudiziaria si viene ad aggiungersi a quelle già in corso. La società di produzione cinematografica «D.D.L.» aveva scritturato Totò e Peppino De Filippo, quali protagonisti di un film dal titolo provvisorio «Totò e Peppino, mariti imbroglioni», la cui lavorazione avrebbe dovuto svolgersi dal 7 ai 28 del corrente mese di giugno. Senonchè il 25 maggio scorso la «D.D.L.» ha fatto pervenire a Peppino De Filippo una raccomandata con la quale, dichiarava risoluto il contratto nei confronti di Peppino De Filippo, «considerando la malattia di Totò causa di forza maggiore giustificatrice della risoluzione del contratto.
Di fronte a tale presa di posizione, il legale del De Filippo, avv. Giovanni Ozzo, ha fatto rilevare che, pur considerandosi come causa di forza maggiore la malattia di uno dei principali protagonisti, non si giustifica affatto, in questo caso, la risoluzione in tronco del rapporto contrattuale anche nei confronti dell’altro, prevedendosi soltanto un arresto e uno spostamento nella lavorazione del film pari alla forzata interruzione dello stesso sino al cessare deli’impedimento determinatosi.
«Il Messaggero», 7 giugno 1957
Per chi andrà a vedere «Totò, Peppino e le fanatiche» la parola d’ordine, lo si può dire fin d’ora, sarà una sola: ridere, ridere, ridere. Due ricoverati in una casa di cura chiedono ed ottengono di essere ricevuti dal direttore della clinica per protestare contro il loro ricovero. Essi sostengono di trovarsi in quel luogo per un equivoco e ne attribuiscono tutte le colpe alle rispettive famiglie: alle mogli e ai figli, individui socialmente nocivi ed affetti da quella grave ed incurabile malattia che è la «mania del giorno». Le manie del giorno sono pericolosissime stando al racconto dei due ricoverati, Cavalier Caprioli e ragionier Vignanello.
Si possono chiamare indifferentemente «hobby» o «boutique», «elettrodomestico» o «tranquillante», «sci acquatico» o «camping»; e le manie dilagano tra la gioventù come malattie contagiose, capaci di distruggere in breve tempo il quieto vivere di una tranquilla famiglia borghese. Travolti da queste ventate di modernismo nocivo, il cavaliere e il ragioniere, passano attraverso una sarabanda di incredibili avventure che, appunto, li hanno condotti in manicomio. Il direttore si rende conto che i veri matti non sono i due poveri diavoli e quando le due famiglie dei ricoverati verranno a visitarli, farà in modo che trionfi il buon senso.
Il ragionier Vignanello, un personaggio ossessionato e stravagante, segna il ritorno allo schermo del più grande tra i comici italiani, Totò. Suo compagno di sventura, il cavalier Caprioli, è invece Peppino De Filippo.
«Totò, Peppino e le fanatiche» è una produzione D.D.L. realizzata da Isidoro Broggi e Renato Libassi, distribuzione Cine Produzioni Astoria. In Totalscope, la regìa è di Mario Mattioli. Le musiche di Michele Cozzoli.
Steno, Maccari, Age e Scarpelli sono gli autori della sceneggiatura. Mentre la fotografia è di Anchise Brizzi, la scenografia è di Alberto Boccianti. Direttori di produzione: Laurenti e Vignati. Vi partecipa Mario Riva.Ed ecco, oltre a Totò e Peppino, altri nomi del film: Johnny Dorelli, Alessandra Panaro, Aroldo Tieri, Diana Dei, Rosalia Maggio, Giacomo Furia. Yvette Masson, Nadia Bianchi e il complesso di Renato Carosone.
«Le Ore», anno VI, n.274, 9 agosto 1958
Continua la collaborazione cinematografica fra Totò e Peppino De Filippo e la pubblicità più efficace sembra quella di avvertire Il pubblico della loro presenza collocandone i nomi nel titolo stesso del film. In "Totò, Peppino e le fanatiche", di Mattoli, li troviamo rinchiusi in manicomio. Che cosa ha indotto gli sceneggiatori a far lare loro quella fine? Forse la considerazione che al pazzi tutto è permesso e che non occorrono giustificazioni di sorta per lo loro stranezze. [...]
Una serie di «gags», perciò, che rinuncia ad un vero e proprio filo conduttore e che viene legata da alcune canzonette, affidate a Johnny Dorelli ed al complesso di Renato Carosone. In uno sketch passabile con Peppino s’incontra, fra gli altri. Mario Riva. Ogni tanto una risata echeggia, ma é merito esclusivo del ben collaudato repertorio mimico dei comici menzionati.
«Corriere della Sera», 23 agosto 1958
Totò, Peppino e le fanatiche, ultimo, por ora, di una redditizia serie di filmettini ultradigestivi, fa riapparire i due compari partenopei nella disagevole condizione di inquilini di un ospizio per alienati, ove entrambi sono finiti in conseguenza di ossessionanti, inestinguibili fanatismi familiari. Attraverso una anche troppo elementare infilata di sketches da rivista (ma vorremmo dire da modesto avanspettacolo) i due malcapitati mirano a persuadere il direttore a rilasciarli; intento cui all'epilogo loro riesce, con la soddisfazione, anzi, di scorgere gli sfrenati congiunti prendere il loro posto.
Qualche momentino faceto non manca; e Totò e il minor De Filippo funzionano sempre bene insieme; ma non c'è troppo da illudersi che si possa continuare ancora a lungo usando questo metro. Cantano, e si fanno pure vedere oltre che sentire, Renato Carosone e Johnny Dorelli. Questi anche sfoggia premature ambizioncelle d’attore.
«La Nuova Stampa», 23 agosto 1958
Totò e Peppino sono collaudatissimi, tanto che li mettono di richiamo persino nel titoli. Non importa, poi, se quello che c’è sotto l’etichetta è materiale di scarto o avariato, l'importante è che il prodotto sia contrabbandato col nome della ditta Totò-Peppino. La gente — pensano i produttori — non si rifiuta di farsi quattro risate con i due comici napoletani e — purtroppo — le loro previsioni spesso sono esatte. «Totò, Peppino e le fanatiche», comunque, non è peggio degli altri film della lunga serie, quattro risate le fa fare e il resto non conta. Nel resto sono compresi l’insipienza del soggetto, la pochezza della sceneggiatura, la scarsa fantasia del regista, la nullità degli altri interpreti.
Le fanatiche in questione sono le mogli (Elena Borgo e Rosalia Maggio) che angariano i poveri Totò e Peppino fino a farli diventare pazzi, o quasi. Ma i due amiconi (come faranno, poi, a spendere tanti soldi se sono parastatali?) non finiranno i loro giorni in manicomio, è certo. Con un brillante «changé» da quadriglia mettono al loro posto le linguacciute e insopportabili mogli. Negli Intervalli cantano Johnny Dorelll (col naso rifatto) e Renato Carosone.
«Corriere dell'Informazione», 24 agosto 1958
C'è un pizzico di satira al costume, bonaria e ridanciana, nello spunto che dà il via alla nuova edizione delle disavventure di Totò e Peppino De Filippo, ormai indivisibili compari nel campo della risata. Si tratta di dimostrare come qualmente le manie delle mogli che prendono esagerati atteggiamenti moderni portano le medesime al fanatismo e i mariti... al manicomio.
Qui li troviamo, infatti, in preda a un più che giustificato squilibrio mentale per il ritmo sfrenato e le conseguenze catastrofiche che certa vita esagitata e insensata produce sul sistema nervoso dei poveri mariti. Si è sempre predicato sulla necessità di far riposare il proprio coniuge in un clima di serenità e di tranquillità — feriale e festiva — ma queste fanatiche in casa creano guai e confusione coi mille aggeggi che passano sotto il nome di elettrodomestici: il tempo lo passano in quei pretesti di evasione domestica che sono le feste, gli spettacoli dilettanteschi, i pranzi all'insegna della beneficenza e se ci si aggiunge la baraonda dei camping al posto del riposo festivo il quadro è completo.
Le sequenze dei «gags» illustrano, appunto, le due situazioni paradossali, comiche, affidate alla mimica dei due protagonisti e alle canzoni di Johnny Dorelli. Ai loro nomi va aggiunto quello di Mario Riva che appare in uno «sketch» e di Renato Carosone che dirige il suo complesso. Ha diretto Mario Mattoli col solito buon mestiere.
«Il Tempo», 29 agosto 1958
Abbiano trovato Totò e Peppino De Filippo, una delle coppie comiche del cinema italiano più indovinate, dietro le sbarre in un manicomio.[...] Una serie di sketches compongono questa garbata satira dei nostri tempi che permette a Totò e De Filippo di porre ancora una volta in luce le loro innumerevoli risorse comiche. A fianco dei protagonisti il misurato ed efficace Aroldo Tieri, la graziosa Alessandra Panaro, Mario Riva e Johnny Dorelli che si esibisce in alcuni noti brani del suo repertorio di canzoni. Ha diretto con il consueto mestiere Mario Mattoli.
«Il Messaggero», 29 agosto 1958
I documenti
Le uscite in home video di Totò, Peppino e le fanatiche (1958), dal formato VHS agli ultimi DVD editoriali. Uscite certificate con date, edizioni, contenuti speciali quando disponibili.
📼 VHS / Videocassetta
- Formula Home Video – edizione VHS (anni ’90‑2000)
- Distribuita probabilmente alla fine degli anni ’90 da Formula Home Video, in formato PAL.
- Copertina generica, contenuti originali senza restauri o extra. Catalogata come parte della linea “Da collezione”
- Si trovano copie usate su eBay in condizioni buone/ottime, con custodia danneggiata o strappata, prezzo da collezionista (circa 3 € incluse spese ).
💿 DVD – Prima edizione (2010, Warner/Mediastore)
- Uscita in Italia: 2 luglio 2010 (Warner Bros. Entertainment Italia)
- Supporto: 1 disco DVD (video in bianco e nero, 1 h 25 min, formato alternato 2.35:1 e 4:3, audio italiano Dolby Digital 1.0, sottotitoli in italiano).
- Contenuti: nessun extra segnalato – edizione standard censita su Amazon.it
📚 DVD – Edizioni editoriali
- "Il Grande Cinema di Totò" – Fabbri Editore / Medusa Video
- Edizione parte di una collana dedicata a Totò attraverso Medusa Video, distribuita in edicola.
- Contenuti speciali secondo fonti archivistiche:
- Presentazione di Mario Sesti;
- Documentario “Prima e dopo il restauro”;
- “Il mondo di Totò: Totò …” (schede tematiche).
- Qualità video variabile, alcuni restauri segnalati. Tra le uscite editoriali, spesso in confezione tipografata per edicola.
- "Grande Cinema di Totò" – DVD Fabbri, Fabbri Editore (collana)
- Include il film in versione restaurata, allegato a rivista o quotidiano. Contenuti analoghi a sopra.
🛍️ DVD – Edizioni collezione (Ebond / Fabbri Editore)
- Fabbri Editore – “Grande Cinema di Totò” – DVD sigillato in vendita in siti di annunci:
- Confezione editoriale con logo Fabbri, venduto nuovo a circa 7–17 € .
- Supporto: DVD singolo; qualità video rimane B/N 2.35:1, audio Dolby Digital Mono
- Contenuti extra: come la collana, ma non sempre documentati sull’inserto.
- Ebond – DVD editoriale (EAN 8010020003051)
- Scheda IBS e Amazon confermano la durata, formato audio e video
- Nessuna indicazione su extra.
🎞️ Super 8 e cinebobine
- Copie 4 bobine da 180 mt (Super 8) registrate nel 1958 talvolta spuntano su blog come “Passione Super 8”. Prezzo da collezione: circa 55 €.
🧾 Riepilogo supporti ed edizioni
Supporto | Edizione | Anno uscita | Edizione/Collana | Contenuti speciali |
---|---|---|---|---|
VHS | Formula Home Video | ’90‑’00 | “Da collezione” generic | Nessun extra |
DVD | Warner Bros. Italia / Amazon.it | 2 luglio 2010 | Edizione standard | Nessun extra segnalato |
DVD editoriali | Fabbri Editore – Medusa Video | anni 2000? | Collana "Il Grande Cinema di Totò" | Presentazione Sesti, restauro, schede |
DVD | Ebond (collezione) | anni 2000? | Editoriale collezione | Simile edizione Fabbri |
Super 8 | Cinebobine 4 x 180 mt | 1958 (ripasc) | Off-market per collezionisti | Versione proiezione vintage |
✅ Conclusioni
- Le VHS sono edizioni semplici (no extra, nessun restauro).
- La prima DVD ufficiale (2010) si limita al film, senza bonus.
- Le edizioni editoriali (Fabbri/Meda/Italia ‘edicolosa’) offrono introduzione, restauro e schede di approfondimento.
- Le qualità video variano: da native analogiche a restauri selettivi.
- Per i collezionisti più nostalgici, esistono versioni Super 8.
Delle scene con Peppino non c’era quasi niente di scritto. A volte c’era solo ‘qui parla Totò’. Loro provavano pochissimo: s’incontravano, magari camminavano insieme verso il punto dove dovevano girare, parlavano fra loro dieci minuti, ‘Sei pronto?’, ‘Andiamo?’, ciak e via. Senza sapere cosa poteva succedere perché anche Peppino era un mostro. C’erano molti 'buona la prima' perché le ripetizioni non piacevano a nessuno dei due. La rifacevano credo per l’assicurazione; però facevano la seconda in modo che si dovesse scegliere la prima, perché era quella più naturale, più vera.
Johnny Dorelli
Ricordo che ero molto guardingo, non volevo disturbare nessuno. Mattoli stranamente aveva della simpatia per me, tant’è vero che poi mi fece fare altri due film, Tipi da spiaggia e Guardatele ma non toccatele. L’unica cosa che gli chiedevo era di essere lasciato sul set quando giravano Totò e Peppino. Andavo a vedere in produzione e se leggevo che il giorno successivo c’era una scena con loro andavo sul set anche se non toccava a me. Totò lavorava mezza giornata, con orari ridotti. Portava sempre gli occhiali scuri, tranne quando girava. Era proprio al di sopra, riservato, silenzioso. Quando doveva girare si illuminava di colpo e appena staccava tornava come prima. Avevo vent’anni, ero molto emozionato a stare con lui. Era una persona adorabile, generosissima, un uomo come pochi ne ho conosciuti: lo aspettavano fuori Cinecittà tutte le mattine e lui dava denaro alle persone che avevano bisogno. Mi diceva che era una cosa che bisognava fare visto che eravamo fortunati a guadagnare.
Johnny Dorelli
Brochure originale del film "Totò, Peppino e le fanatiche" - Germania, 1958 (Collezione Domenico Livigni)
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Decisamente brutto (*½). Unici squarci sono le telefonate con equivoco di Totò (nella prima crede di parlare con una prosperosa impiegata, invece sta conversando con la moglie...). La storia è cucita alla meno peggio, risolvendosi in scenette non troppo funzionanti. C'è Carosone che canta "Tu vuo' fa' l'americano": è bravissimo come sempre, ma viene coinvolto nel film solo per fare metraggio. Il che la dice lunga sulla qualità complessiva della sceneggiatura.
- Sotto tono, malgrado l'impareggiabile e indefettibile mestiere. È che le ideuzze sono uzze uzze, le gag o striminzite o stiracchiate, il contorno mediocre o sottoutilizzato (Tieri). Si salvano il segmento di Peppino con Riva, la sequenza a fumetti, qualche equivoco verbale che funziona sempre perchè quei due erano quei due. E il numero di Carosone, avulso ma valido in sè.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Alluvionata mia!". Le maggiorate. La sequenza a fumetti.
- Vari episodi con le disavventure (a sfondo coniugale) di Totò e Peppino, raccontati da loro stessi rinchiusi in manicomio: microstorie piuttosto piatte che suscitano tutt'al più simpatia per le sempreverdi gag fisico-verbali dei due comici, ma che stentano a stimolare risate. Non che non ci s'ingegni: si pensi allo sketch degli elettrodomestici con tanto di rumore infernale e con le battute che compaiono come nuvole di fumetti. Ma non basta. Unico momento da ricordare: l'esibizione finale di Carosone, quella sì davvero notevole e travolgente.
- Totò e Peppino, ricoverati in manicomio, raccontano ad un medico assai comprensivo come i loro familiari li abbiano portati all'esasperazione con le loro assurde pretese... Fra i film della celebre coppia, probabilmente il più debole e raffazzonato, una sequenza di barzellette illustrate di scarsa verve tenute insieme da una trama assai esile, durante la quale anche il mestiere dei due commedianti fatica ad imporsi e strappare un sorriso. Simpatica, per quanto pretestuosa, la partecipazione di Carosone, da latte ai ginocchi i battibecchi Panaro/Dorelli. 1+
- Uno dei film meno riusciti con la coppia Totò-Peppino. Un po' troppo lento e con delle scene mielose. Le gag fanno uscire a stento dei sorrisi. Meglio gli episodi con Totò. Annoiano (ovviamente) le scene in cui Dorelli canta. Si poteva fare certamente di più.
- Come sempre Totò e Peppino, qui Tony e Pepi, insieme regalano tante risate. Manca però qualcosa e quel qualcosa è una buona storia sotto. Infatti, l'opera sembra sempre poggiarsi sulle gag dei due comici e sulle doti canore e musicali prima di Dorelli e poi di Carosone.
- Fra i vari film con la coppia, forse questo è il più debole, soprattutto a causa di una storia davvero troppo esile. Totò e Peppino però sanno regalare alcuni momenti divertenti anche qui, come la telefonata in ufficio o tutto lo sketch del secondo insieme al bravo Mario Riva. Dorelli giovanissimo rallenta tutto con un paio di inutili canzoni, Carosone invece è simpatico e coinvolge. Bravissimo anche Aroldo Tieri, ma il film zoppica.
- Fa impressione vedere la strada che porta al mare, deserta, dove le auto dei protagonisti si sfidano in una corsa a colpi di cartelli offensivi e un vigile di cartone dovrebbe essere di monito a un traffico inesistente. E' l'episodio di presentazione, dove il ragioniere parastatale Totò e il cavaliere Peppino solidarizzano, vittime di famiglie con mogli despote. Si ironizza sui costumi di un'Italia pre boom con scenette in cui i due protagonisti tengono banco da par loro. Stacchi musicali con Dorelli improbabile batterista e il grande Carosone.MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Renato Carosone e il suo complesso.
- Prima delle due pellicole dello strepitoso binomio comico dirette da Mattoli (verrà Signori si nasce). Stilisticamente è un film ad episodi "velato", con i vari aneddoti che han come comun denominatore le ossessioni femminili (ma non solo). Forse la durata è eccessiva e Totò e Peppino appaion appesantiti, eppure la cadenza ineccepibile di Mastro Mattioli è in grado di conferire al Duo un'aura di martiri della civiltà dei consumi a cui si guarda quasi con compassione, tanto son fuori tempo e luogo. Lo guardavo sempre col nonno: quanta malinconia nel comico!• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il virtuosistico duetto Peppino/Riva: "una pennellata e una rilassata"; "Orfanellli, orfanellli..."; Carosone; Udite udite "Il calypso melody" di Dorelli.
- I duetti tra Totò e Peppino sanno sempre come strappare una risata, anche se in questa occasione non vengono sostenuti a dovere. Una storia vera e propria non esiste; si può quasi parlare di scenette a sé stanti a cui si è cercato di dare un collante, ma senza grosso successo. Anche la regia sembra svogliata e poco incisiva. La consueta storia d’amore tra i rispettivi figli, interpretati da Dorelli e dalla Panaro, è veramente stucchevole e noiosa.
- Totó e Peppino sono i protagonisti di questa debolissima commedia (una delle meno riuscite in coppia) che ha una sceneggiatura raffazzonata e cucita alla buona. Gag non sempre riuscite ma che comunque si salvano grazie all'improvvisazione dei due comici. La storiella fra la Panaro e Dorelli è noiosa e inutile quasi insulsa. Bel numero musicale di Carosone verso il finale. Sufficienza scarsa.
- Un film di Totò e Peppino che delude un po’. In altre occasioni rimediavano ai buchi della sceneggiatura, agli errori di drammaturgia e alle regie trasandate con la loro energia comica, la loro forza anarchica dirompente, il loro folle estro, invece qui sono solo due grigi mariti pieni di saggezza tiranneggiati dalle mogli che cercano di coalizzarsi tra di loro per trovare il modo di riportare pace in famiglia. Quindi niente scontri spassosi tra di loro, niente zuffe all’ultima risata. Due comici normalizzati, che fanno ridere poco.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La satira sulle feste di beneficienza dove si mangia si mangia... Invece nello spettacolo teatrale i due comici non fanni ridere per niente.
- I due grandi attori napoletani vengono coinvolti in un filmetto che ricorda vagamente la struttura del loro primo lavoro, ovvero Totò e le donne, senza però replicarne la verve e il divertimento. Certo, i due sono sempre spassosi, Totò sforna battute e gag a ripetizione che in sé fanno almeno sorridere, ma è la pellicola nel complesso a non decollare mai nonostante un cast di tutto rispetto che può contare su Riva, Dorelli (doppiato non si sa perché), Fanfulla e Tieri. Occasione persa.
La censura
Duplicato del verbale originale (13 giugno 1958) della Commissione Revisione Cinematografica in data 2 luglio 1958
(Ministero dei Beni e per le Attività Culturali e per il Turismo - Direzione Generale per il cinema)
Le incongruenze
- Quando il ragionier Vignarello torna a casa trovando la cucina invasa dagli elettrodomestici, nell'inquadratura in cui fa il frullato di cambiali, il televisore sullo sfondo, acceso nel resto della scena, e' improvvisamente spento.
- Quando i due protagonisti vengono portati dal dottore nella cucina, Totò rompe due uova battendole sulla testa di Peppino; quando viene inquadrato il bancone dopo la rottura del secondo uovo, pero', i gusci del primo non ci sono.
- Durante la corsa in macchina in cui la i quattro si insultano con i cartelli, il trucco della corsa ricostruita in studio é rivelato dal fatto che nessuno ha i capelli scompigliati dal vento e soprattutto dal fatto che se stessero veramente correndo in macchina, lo spostamento d'aria gli strapperebbe di mano i cartelli
- Totò e Peppino, vestiti da clown, fanno uno spettacolo per gli orfanelli. Peppino suona un trombone, ma il suono emesso non corrisponde ai momenti in cui soffia nel tubo!
www.bloopers.it
![]() |
|
Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo |
|
|
|
Il manicomio nel quale sono ricoverati Antonio Vignanelli (Totò) e Peppino Caprioli (De Filippo) sono in realtà i famosi Studi De Paolis, situati in Via Tiburtina 521 a Roma. | |
|
|
A conferma, ecco questa scena girata subito dopo l’uscita dal manicomio del giornalista (Garinei) al quale i due avevano commissionato un articolo sul loro caso (tirandogli poi una sassata come promemoria): Garinei si trova proprio sul tratto della Tiburtina antistante l’ingresso agli studios. |
Totò Peppino e le fanatiche (1958) - Biografie e articoli correlati
Alivernini Umberto
Approfondimenti e rassegna stampa - Peppino De Filippo
Articoli & Ritagli di stampa - Rassegna 1958
Bonanni Luciano
Carosone Renato (Carusone Renato)
De Filippo Giuseppe (Peppino)
De Filippo Pasquale
De Martino Peppino (Giuseppe)
Dei Diana (Mancinelli Agnese)
Dorelli Johnny (Guidi Giorgio Domenico)
Fanfulla (Visconti Luigi)
Ferronao Edda
Furia Giacomo (Giacomo Matteo)
Garinei Enzo (Vincenzo)
Incrocci Agenore (Age)
La Raina Antonio (La Rana Antonio)
Laurenti Mariano
Laurenti Romolo
Libassi Renato
Libassi Salvo (Salvatore)
Lisi Virna (Pieralisi Virna)
Maggio Rosalia
Maldacea Nicola (Nicolino)
Marchetti Alfredo
Mattòli Mario
Mignone Toto (Ottone o Totò)
Panaro Alessandra
Peppino in tentazione
Riva Mario (Bonavolontà Mario)
Scarpelli Furio
Steno (Vanzina Stefano)
Strette di mano: il principe De Curtis
Tieri Aroldo
Tocchetto Feliciana
Totò e... Age
Totò e... Aroldo Tieri
Totò e... Furio Scarpelli
Totò e... Giacomo Furia
Totò e... Mario Mattoli
Totò e... Peppino De Filippo
Totò e... Steno
Totò, Peppino e... ho detto tutto (2001)
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- Johnny Dorelli, intervista di Alberto Anile, 1996, in "I film di Totò" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998, cit., pp. 259-260.
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- "Totò: principe clown", Ennio Bìspuri - Guida Editori, 1997
- "Totò, un napoletano europeo" (Valentina Ruffin), Ed. Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1996
- Documenti censura Ministero dei Beni e per le Attività Culturali e per il Turismo - Direzione Generale per il cinema
- Documenti Collezione Domenico Livigni
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- «La Notte», 1958
- «Il Messaggero», 7 giugno 1957
- «Le Ore», anno VI, n.274, 9 agosto 1958
- «Corriere della Sera», 23 agosto 1958
- «La Nuova Stampa», 23 agosto 1958
- «Corriere dell'Informazione», 24 agosto 1958
- «Il Tempo», 29 agosto 1958
- «Il Messaggero», 29 agosto 1958