Quand'ero reverendo. Totò soldato semplice, semplicissimo.

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Un’ avventura della mia vita? È ’na parola! Io non ho fatto niente, io non aggi' avuto niente! Non ho vissuto molto, non ho mai avuto nemici, non ho avuto una carriera troppo difficile, non mi è mai capitato nulla... Però, adesso che ci penso... Ma no, è una cosa troppo seria; ne parlarono pure i giornali, a quei tempi. La Castagnola, poveretta, era innamorata di me, una passione di quelle! Roba e’ pazzi, vi dico. Faceva la ballerina e si lavorava insieme; una sera — chissà perchè — ero di cattivo umore e, come dire, non sono stato proprio gentile con lei; ma niente di straordinario, eh? le ho detto solo che mi lasciasse in pace e che non ne avevo voglia.

E mi ha lasciato in pace sul serio, anche troppo! Un tubetto di Veronal: morta. E chi l’avrebbe immaginato? Manco p’ 'a capa!...

Uh, questo è carino, cosi vi faccio stare allegri. Dimentichiamo le malinconie e facciamo un po’ di strada all’indietro: ero giovane allora e soldato semplice, semplicissimo. Mi avevano assegnato al ventiduesimo di Pisa e, quindi, distaccato a Pescia con un reparto della Croce Rossa. Il rancio lo ricordo ancora: brodo che sembrava acqua, pasta che sembrava colla per attaccare gli avvisi e carne che faceva concorrenza alle suole dei nostri scarponi.

Allora, un giorno, sapete cosa faccio? Giuoco sull’equivoco, sissignori, giuoco! A Pescia, dico, chi mi conosce? Vado dal barbiere, mi faccio fare la tonsura come un seminarista e corro subito in trattoria. Là ci stava un amico mio al quale avevo già raccontato’ tutto. « Buonasera, reverendo — mi dice — si accomodi, si accomodi. Vedrà che qui si trova bene; ho già pensato io a raccomandarla al padrone». Quello intanto, vede le mostrine rosse e mi piglia sul serio per un prete. « Quale onore, reverendo! », e mi prepara uno di quei pranzi! Con lo sconto pure, per un riguardo al pastore di anime.

Tutto età andato bene, capite?, e perchè non dovevo seguitare ad approfittarne? Tirai avanti così per un pezzo, qualche volta pagando, qualche volta accettando con molto sussiego gli inviti che mi venivano fatti. Finché un giorno scoppiò la tragedia.

Mi ricordo ancora che stavo mangiando una cotoletta: le cotolette, infatti, erano la specialità della trattoria, quando entrò un ometto vestito in grigioverde. Sul taschino sinistro portava una croce rossa. Un cappellano militare! E, neanche a farlo apposta, mi viene incontro; gli hanno detto che c’è un sacerdote e, naturalmente, )o vuole conoscere.

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La cotoletta non mi va nè su, nè giù; vorrei giustificarmi, ma non riesco a spiaccicare due parole. Il reverendo, forse, ha già capito tutto; ma, intanto, la voce arriva al comando di reggimento. Il resto ve lo lascio immaginare!

Capitolo secondo: trasferimento da Pisa a Genova. Viaggiavo in uno scompartimento riservato alla truppa, alla bassa forza, per intenderci; a un certo momento mi viene il ghiribizza di passare nello scompartimento vicino. Madonna santissima! Che figurina e.. che gambe! Le teneva belle distese sul sedile di fronte: le calze di seta e le scarpe che parevano appena uscite dal calzaturificio. Era bella? Mistero. Aveva una sciarpa che le copriva completamente il viso.

Ditemi che cosa avreste fatto al mio posto. Facendo finta di niente ho cominciato ad accarezzarle le gambe; e quella ci stava, capite?, uh, come ci stava! Ormai ero lanciato: non ricordavo più di indossare una divisa e, soprattutto, di pascolare abusivamente in un territorio che il sergente maggiore ci aveva particolarmente proibito. Ero già entrato, direbbe Carolina Invernizio, nel vortice dell’avventura. « Come faccio — pensavo — quando arriviamo a Genova? La darò un appuntamento ».

Intanto cercavo di realizzare il più possibile perchè non c’era tempo da perdere; l’alba si annunciava dal finestrino e Genova non doveva essere più troppo distante. San Gennaro mio! Non sapevo più cosa pensare: quella, ormai, si era lasciata accarezzare tutta, e cosa aspettava a togliere la sciarpa?

Adesso, a tanti anni di distanza (ma lo ricordo ancora come se fosse stato ieri) penso che se non l’avesse più levata avrei potuto conservare un’illusione: racchia, racchia in una maniera spaventosa! Aveva i baffi e il naso a uncino: Dio, che spavento! Mai più avrei immaginato una cosa simile.

Anche questa volta non c’era che un sistema: tagliare ingloriosamente la corda. Tantopiù, capite?, che quella ci aveva preso gusto ed era diventata aggressiva. Mi fanno ridere i romanzieri, quando parlano delle avventure di viaggio!

Totò, «Film», anno XI, n.8, 21 febbraio 1948


Film
Totò, «Film», anno XI, n.8, 21 febbraio 1948