Chi si ferma è perduto

1960 Chi si ferma e perduto 6

Il pericolo ci sovrasta, in questo ufficio c'è uno jettatore: non uno iettatore da poco, ma uno iettatore ereditario. Il nonno era imbarcato sul Titanic e fu l'unico superstite del naufragio. Lo sbarcarono a Messina e la notte stessa venne il terremoto. Saranno coincidenze che coincidono, ma una coincidenza oggi, una coincidenza domani...

Antonio Guardalavecchia

Inizio riprese: settembre 1960, Stabilimenti Titanus Farnesina, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 10 dicembre 1960 - Incasso lire 298.506.000 - Spettatori 1.538.691


Titolo originaleChi si ferma è perduto
Lingua originale italiano - Paese Italia - Anno 1960 - Durata 103’ - B/N - Audio sonoro - Genere Comico - Regia Sergio Corbucci - Soggetto Bruno Corbucci, Dino De Palma, Giovanni Grimaldi, Mario Guerra, Luciano Martino - Sceneggiatura Bruno Corbucci, Dino De Palma, Giovanni Grimaldi, Mario Guerra, Luciano Martino - Produttore Emo Bistolfi - Casa di produzione Titanus - Fotografia Marco Scarpelli - Montaggio Dolores Tamburini - Musiche Gianni Ferrio - Scenografia Franco Lolli - Costumi Dina Di Bari - Trucco Marcella Favella, Pierantonio Mecacci, Piero Mecacci


Totò: Antonio Guardalavecchia - Peppino De Filippo: Giuseppe Colabona - Luigi De Filippo: Donato Cavallo - Aroldo Tieri: Matteo Rossi - Alberto Lionello: Mario Rossi - Alberto Talegalli: Il cliente che protesta - Angela Portaluri: Iole, figlia di Guardalavecchia - Mario Castellani: Comm. Amilcare Pasquetti - Lia Zoppelli: Giulia, sorella del Comm. Pasquetti - Jacqueline Pierreux: Teresa, moglie di Colabona - Luigi Pavese: Cesare Santoro - Anna Campori: Italia, moglie di Guardalavecchia - Pietro De Vico: Il cameriere - Renzo Palmer: Cavicchioni - Peppino De Martino: l'antiquario sordo - Marisa Traversi: Adua - Enzo Petito: Napoleone, usciere - Sergio Corbucci: Cameo. Uomo che gioca a biliardo con Renzo Palmer - Solvejg D'Assunta: Assunta - Nando Angelini - Vittorio Vaser: Proietti - Gino Scotti


Soggetto

I ragionieri Antonio Guardalavecchia e Giuseppe Colabona sono impiegati presso la filiale di Napoli della ditta Pasquetti, una società di trasporti. Il loro capoufficio è Cesare Santoro, superiore molto severo che non tollera l'atteggiamento poco professionale dei due impiegati. Al culmine dell'ennesimo rimprovero riservato a Colabona e Guardalavecchia davanti a un impiegato neoassunto, il catanese Donato Cavallo, Santoro minaccia di trasferirli in Sardegna.
L'improvvisa morte del capoufficio dà inizio a una spietata "guerra per la successione" tra Colabona e Guardalavecchia, lotta i cui segnali si manifestano già al funerale di Santoro, durante il quale Guardalavecchia tiene un discorso che ricorda quello di Marco Antonio nel Giulio Cesare di William Shakespeare (anche per i nomi dell'oratore, Antonio, e del defunto commemorato, Cesare).

Mentre gli aspiranti capoufficio stanno litigando per decidere chi deve sedersi alla scrivania di Santoro, l'usciere del palazzo che ospita la ditta, Napoleone, consegna loro una lettera in cui viene annunciato l'imminente arrivo dell'ispettore generale dei trasporti M. Rossi, il quale deciderà circa la successione al vertice dell'agenzia di Napoli. Colabona e Guardalavecchia si introducono nottetempo in ufficio e distruggono i propri fascicoli, contenenti la documentazione sulle proprie note caratteristiche, la quale li avrebbe condannati al sicuro trasferimento in Sardegna. Dopodiché si organizzano, separatamente e l'uno all'insaputa dell'altro, per garantirsi un occhio di riguardo da parte dell'ispettore. Mentre Colabona decide di attendere il Rossi alla stazione per accoglierlo con un mazzo di fiori, Guardalavecchia assolda il violento Cavicchioni per inscenare sul treno una finta aggressione ai danni dell'ispettore Rossi in modo che Guardalavecchia possa intervenire a difenderlo, guadagnandosi la sua ammirazione.
Il caso vuole che sullo stesso treno si trovino due M. Rossi: Matteo Rossi, l'ispettore incaricato di decidere del futuro della dirigenza presso la ditta Pasquetti, e Mario Rossi, un ignaro ispettore scolastico. Guardalavecchia e Cavicchioni salgono sul treno alla stazione di Formia e mettono in atto il loro piano, ma nei confronti di Mario Rossi, l'ispettore sbagliato. Alla stazione d'arrivo, Guardalavecchia si allontana con l'ispettore scolastico, invitandolo a casa propria senza rendersi conto dell'equivoco, mentre Colabona accoglie il vero ispettore dei trasporti. Giunti a casa Guardalavecchia, l'ispettore Mario Rossi viene accolto dalla moglie del ragioniere, Italia, e incontra la loro figlia Iole, maestra elementare, di cui si innamora.
La mattina seguente, l'ispettore Matteo Rossi giunge nella sede della ditta e Guardalavecchia, non sapendo chi egli sia, lo accoglie in malo modo. Una volta scoperto l'equivoco, Guardalavecchia, tornato a casa, manda via con una scenata l'incolpevole Mario Rossi.

Per cercare di rimediare all'infelice primo approccio con l'ispettore, Guardalavecchia comincia a mostrarsi estremamente zelante sul lavoro e accusa Colabona di essere uno iettatore. Per dimostrare queste accuse, Guardalavecchia dà vita a finti incidenti ai danni dell'ispettore Rossi. La sua strategia, però, si rivelerà controproducente, in quanto Rossi si mostrerà molto timoroso nei confronti dei "poteri" di Colabona, e quest'ultimo cercherà di stare al gioco per sfruttare le calunnie a suo vantaggio. Per mettere nuovamente in cattiva luce il suo "nemico", Guardalavecchia contatta la vistosa Adua, un'amica di Cavicchioni, affinché si presenti in ufficio e insceni una situazione piccante coinvolgendo l'ignaro Colabona.
Qualche giorno dopo, viene organizzato un ricevimento per festeggiare il cinquantentario della fondazione della sede napoletana della ditta Pasquetti, a cui interviene anche il presidente, il Grande Ufficiale Amilcare Pasquetti. Nell'occasione, l'ispettore Matteo Rossi ritrova la moglie di Colabona, Teresa, con la quale ha avuto in passato una storia d'amore, interrotta bruscamente dagli eventi della seconda guerra mondiale. Guardalavecchia vede confabulare i due e teme che Colabona stia utilizzando l'avvenenza di sua moglie. Per rimediare, decide di iniziare a corteggiare la sorella del presidente, Giulia Pasquetti. Il corteggiamento culmina in una "scena del balcone" in versi, simile a quella di Romeo e Giulietta, ancora di Shakespeare.

Il giorno dopo Guardalavecchia invita Giulia a Villa Lolita, un albergo molto equivoco consigliatogli da Donato Cavallo. Quella stessa sera, Mario Rossi e Iole decidono di trovarsi nel medesimo albergo, per mettere in scena un finto incontro amoroso volto a far credere ai genitori di Iole, i coniugi Guardalavecchia, attirati con un biglietto, di trovarsi di fronte al "fatto compiuto". Anche Matteo Rossi e Teresa Colabona si accordano per un incontro clandestino nello stesso luogo, la stessa sera, sempre su consiglio di Cavallo, anch'egli intenzionato a recarsi alla villa con Adua.
A Villa Lolita si ritrovano così tutti i protagonisti della storia, inclusi Colabona e Amilcare Pasquetti, che vogliono cogliere in flagrante Guardalavecchia e Giulia. L'omonimia porta Matteo Rossi, Teresa e Iole a trovarsi tutti nella stessa camera, dove vengono sorpresi da Guardalavecchia. Infine, nella stanza arrivano Colabona, il commendator Pasquetti, Adua, Mario Rossi e Italia, la moglie di Guardalavecchia, generando tutta una serie di equivoci. Il film termina con Colabona e Guardalavecchia a bordo del traghetto che li conduce verso la Sardegna.

Critica e curiosità

🎭 Chi si ferma è perduto — ovvero: la farsa a pedali nel motore impiegatizio

Se il titolo sembra suggerire una specie di motto da marines, in realtà siamo nel pieno di una buro-farsa alla carbonara, con Totò e Peppino pronti a scardinare l’apparato statale a colpi di equivoci, latinorum fasullo, appoggiamenti a pareti inesistenti e insulti dissimulati sotto forma di parole inventate. Insomma: la guerra fredda degli impiegati d'ufficio, armati di maschere, torce e occhiali acustici della Maico.

📜 Un progetto, due fratelli, e un Principe perplesso

Il film nasce da un’idea di Emo Bistolfi, uno di quei nomi che sembra uscito da un elenco telefonico redatto da Pirandello. Il progetto passa poi nelle mani dei fratelli Corbucci, con Sergio alla regia (alla sua prima volta con Totò) e Bruno, fratello minore e sceneggiatore insieme a Giovanni Grimaldi. A Totò il risultato non fa impazzire – anzi, pare che sia rimasto piuttosto deluso – ma tant’è: si parte, si gira, si ride. A tratti.

🏢 Prima parte: Uffici, scartoffie e “compare, si lasci prendere a schiaffi”

La prima metà del film si presenta come una commedia realistica imbastardita da elementi di pochade. L’atmosfera è quella del sottobosco ministeriale: impiegati colmi di sudore e di ambizioni meschine, burocrazie tentacolari, e Totò che, tra una mascherina e una pila, incrocia nell’ufficio buio un Peppino identico e vestito uguale. Uno sketch dentro lo sketch, in pieno stile “camera delle meraviglie dell’assurdo”.

Non mancano perle di costume e caricature squisite, tra cui spicca il presidente della ditta Pasquetti, una Lia Zoppelli irresistibile nella parte della sorella austera e lusinghiera, pronta a cadere vittima del corteggiamento totònesco: languido, impacciato e intriso di réclame pubblicitarie anni ’60. Totò si dichiara "un obbelisco” con l’aria di chi ha letto Virgilio in edizione tascabile e ha appena preso un sonnifero. Delirio linguistico assicurato.

🎭 Seconda parte: equivoci d’albergo, Shakespeare svaporato e pochade sfiatata

La seconda metà del film sbanda. O meglio: sbanda e deraglia come un tram senza conducente in una sceneggiatura scolpita nella cera sciolta. Ci si ritrova tutti – letteralmente tutti – in una stanza d’albergo, dove il tasso di equivoci per metro quadro supera quello radioattivo di Chernobyl.

Il punto più folle (o più mesto, a seconda dei gusti): la sequenza di “Giulietta e Romeo” recitata in endecasillabi rivistaioli. Dovrebbe essere una parodia, ma non riesce a parodiare nemmeno sé stessa. Una vera “sbrodolata da rivista estiva con zanzare”, dove Shakespeare si rivolta nella tomba e si rimette a dormire.

🤡 Totò & Peppino: il duo delle maschere miste

In questa occasione la coppia Totò–Peppino si diverte (e ci diverte) a mischiare i ruoli: il clown bianco e l’Augusto si scambiano i baffi e gli abiti. La solita divisione, netta nei film precedenti, qui si sfuma: Totò è cinico e tenero, Peppino è spiazzante e burbero, e insieme fanno il girotondo attorno a un mondo di assurdità statali e cravatte sgualcite.

Totò, soprattutto, torna a essere se stesso: spietato e tenero, lucido e demenziale, furbo e disorientato. Un homunculus tragicomico che colleziona gaffe, sogni infranti e verbi sbagliati con la grazia di un marionettista ubriaco.

⚰️ Giulio Cesare e la bara comica

Uno dei picchi del film è la parodia shakespeariana al funerale del capufficio Santoro, dove Totò sfodera tutto il suo repertorio da istrione lirico, declamando il brano del Giulio Cesare con una voce tanto impostata quanto impastata. È teatro nel teatro, e teatro fatto a pezzi: una delle trovate più geniali e camp del film.

⛴️ Finale sardo, ma a Roma: l’ennesima fuga travestita

Nel gran finale, Totò e Peppino – stavolta travestiti da sardi – si imbarcano su una nave per sfuggire all’ennesimo guaio. Qui il déjà vu è dichiarato e cercato: il richiamo è diretto a “Totò, Peppino e la malafemmina” (Milano) e “Totò, Eva e il pennello proibito” (Madrid). Stavolta siamo a “Formia”, che in realtà è Roma Ostiense: la geografia nel cinema di Totò è sempre una questione di mascheramenti.

🎬 Tecniche, camei, sponsor: ovvero l’apparato della farsa
  • Il film ospita un cameo del regista Sergio Corbucci, che gioca a biliardo con Renzo Palmer.
  • Il vero protagonista silenzioso è l’edificio romano del Collegio Angelo Braschi, che viene spacciato per la sede della “Pasquetti”.
  • Il cartello “Formia” alla stazione? Falso.
  • E la Maico? Vero sponsor ante litteram, con il suo apparecchio acustico multifunzione nei panni (letteralmente) degli occhiali di Totò.
✂️ Censura: vietato ai minori per troppa ironia (poi no)

La censura inizialmente ci mette il timbro: vietato ai minori di 16 anni. Ma dopo qualche taglio e qualche ripulita al copione, la condanna viene ritirata, e il film esce in tutta la sua potenziale innocuità.

🧠 Lessico Totoniano: “a cuoppo cupo poco pepe cape”

Nel cuore della comicità verbale del film c’è il vocabolario inventato, l’assurdo fonetico, il paradosso del linguaggio che Totò tratta come una gelatina da frantumare:

  • “Cercare il pelago nell’uovo”
  • “Esuberatone per esuberante”
  • “Il mio è un hobby, sono un obbelisco”
  • “Audax fortuna Juventus” (copiato da “Gambe d’oro”)
  • “Sono in un vincolo cieco”

Questa lingua mitopoietica e destrutturata è l’anima del film, la sua colonna vertebrale semantica, una grammatica tutta Totò, dove il significato inciampa sul significante, e ci lascia ridere – e a volte pensare.

🏁 Conclusione: Totò corre ancora, saltella ancora, si appoggia ancora a pareti che non esistono

“Chi si ferma è perduto” non è tra i capolavori del Principe, ma è un film che regala frammenti del suo talento puro, anarchico, linguistico e corporeo, tra battute che sembrano sciocchezze e invece sono piccoli teoremi sulla stupidità del reale.

Un film a due velocità, certo: prima parte brillante, seconda parte più stanca. Ma in mezzo ci sono lampi di genio, battute fulminanti, e soprattutto l’arte del doppio: del travestimento, della parola che vuol dire altro, del gesto che mima la realtà e la capovolge.

Perché Totò, come sempre, è la maschera che ride e ci spiazza, anche quando si trova dentro un film incerto. Perché lui non si ferma. E chi si ferma… beh, è perduto.


Scene più famose e memorabili di Chi si ferma è perduto, con il Principe della Risata che qui torna a scorrazzare tra uffici grotteschi, camere d’albergo deliranti, e teatrini di Shakespeare in salsa mortadella. Prepara la torcia, indossa la maschera e via:

🏢 Totò e Peppino in missione notturna, ovvero “007 al Ministero del Cuoppo”

Una delle sequenze più iconiche del film è quella ambientata nell’ufficio semibuio, in cui Totò e Peppino, armati di torcia e con una maschera sul volto, si aggirano a notte fonda. È un momento da slapstick puro, che ricalca l’estetica delle comiche mute, ma con un gusto tutto italiano per il paradosso.

Totò, incontrando Peppino vestito esattamente come lui, crea uno scambio identitario tanto surreale quanto metafisico, una gag che sembra uscita da un film di Beckett con le musiche di Nino Rota: i due si spiano, si temono, si confondono… salvo poi scoprire di essere vittime della stessa farsa.

È una parodia interna alla macchina ministeriale, un’allusione al fatto che tutti sono intercambiabili, burocrati, maschere, ombre.

🤺 La parodia shakespeariana al funerale del capufficio

Questa scena è una delle vette assolute della comicità teatrale di Totò. Durante il funerale del temutissimo capufficio Cesare Santoro, il Principe prende la parola per un’orazione funebre che è, in realtà, una smaccata parodia dell’elogio di Antonio a Giulio Cesare di Shakespeare.

“Amici, impiegati, romani, prestatemi l’attenzione vostra…”
(più o meno così, ma sgrammaticato con eleganza)

Il tono è solenne, la mimica è maestosa, ma le parole… sono di un nonsense sublime. La scena fonde alto e basso come solo Totò sa fare, dando il via a un teatrino mortuario grottesco, dove la parodia non uccide il dramma, ma lo gonfia fino all’esplosione.
Un autentico manifesto della poetica totiana del ribaltamento.

🤜 “Compare, si lasci schiaffeggiare”

Altra scena memorabile: l’arrivo del presunto ispettore ministeriale. Totò, per impressionare l’autorità, costringe il collega Peppino a farsi maltrattare, simulando un’inflessibilità degna della Gestapo.

Il dialogo è una danza di sottomissione e finzione:

TOTÒ (con aria fiera): “Compare, lei è in ritardo.”
PEPPINO: “Ma io... ero in bagno…”
TOTÒ: “Silenzio! Si lasci schiaffeggiare.”
(e pàffete, parte il manrovescio a orologeria)

Qui il potere è una sceneggiata, e la violenza è ridotta a rituale di promozione personale, come nei peggiori uffici dove si fa carriera a suon di ipocrisie. La comicità nasce dal cortocircuito tra tono serissimo e contenuto assurdo, un classico di Totò, che riprende gag già viste in “Fermo con le mani” ma le reinventa alla luce del “neorealismo impiegatizio”.

🧳 Il corteggiamento alla Zoppelli: “ma lei... è la sorella del Presidente!”

Un altro momento d’oro è quello in cui Totò, ignaro, si mette a corteggiare la severissima sorella del capo, la Zoppelli. Il corteggiamento è fatto di giri di parole demenziali, galanterie equivocate, e battute dal sapore pubblicitario:

“Signora, lei per me è come la Maico: mi fa sentire meglio... anche se non ci vedo bene.”

Totò sfrutta ogni occasione per vantarsi di sé, del proprio “obbelisco”, del “vincolo cieco” che lo unisce alle donne, fino a quando non scopre l’identità della dama: allora la sua maschera si sfalda come un flan alla festa del Ministero.
È una farsa amorosa che demolisce il galateo, il maschilismo e le buone maniere, in pieno stile totiano.

🛏️ La scena nella camera d’albergo: pochade a domino

Nel secondo tempo del film, il motore narrativo si inceppa un po’, ma la scena dell’albergo è un piccolo manuale di commedia degli equivoci. Ci sono scambi di stanza, identità sbagliate, letti invasi, porte che si aprono e si richiudono, e ovviamente gente che finisce in mutande (spesso metaforicamente, qualche volta letteralmente).

È un grande caos coreografato male, ma proprio per questo grottescamente divertente. La regia di Corbucci non è proprio una sinfonia, ma l’abilità mimica di Totò tiene in piedi l’impalcatura scricchiolante. In un certo senso è una parodia delle parodie, un omaggio maldestro alla tradizione della pochade francese rivisitata alla romana.

🎭 “Giulietta e Romeo” in salsa Rivista

L’altra grande scena “fuori rotta” è quella in cui viene rappresentata la tragedia di Giulietta e Romeo in stile rivista. Qui Totò declama versi posticci, inciampa nelle rime e fa dell’amore tragico una barzelletta ben vestita.

È una satira dell’alta cultura, una versione sgangherata dell’opera di Shakespeare che non vuole essere colta, ma solo declinata a burla. Eppure, c’è qualcosa di teneramente meta-teatrale in quella rappresentazione: Totò è ancora una volta attore che si finge attore, dentro un canovaccio che non funziona ma che funziona perché lui ci crede, almeno per il tempo della gag.

⛴️ L’epilogo “sardo” sulla nave (ma a Roma): travestimenti e déjà vu

E infine, la fuga in maschera. Totò e Peppino travestiti da sardi salgono a bordo di una nave per evitare guai. È un finale surreale che richiama direttamente altre celebri fughe travestite della loro filmografia:

  • “Totò, Peppino e la malafemmina” con la nebbia milanese e le colbaccherie russe
  • “Totò, Eva e il pennello proibito” con la ferrovia madrilena e i baffi disegnati

Qui invece siamo a Roma, ma il cartello dice “Formia”, e tanto basta: il realismo cede definitivamente il passo alla geografia dei sogni in stile Cinecittà.

🧂 E infine… il lessico!

Ogni scena memorabile è condita dal genio verbale di Totò. Non c’è un momento davvero iconico che non sia accompagnato da:

  • metafore strampalate
  • latinorum reinventato
  • proverbi scorticati
  • scambi linguistici che creano confusione teatrale e verità poetica insieme

Insomma: il film è una mappa di scene scollegate ma memorabili, tutte legate dal filo rosso dell’assurdo e del linguaggio


Così la stampa dell'epoca

L'accoglienza di Chi si ferma è perduto (1960), che come spesso accade per le pellicole del Principe De Curtis, fece ridere il pubblico e storcere il naso a molti critici — e in questo caso pure ai censori, almeno all’inizio. Una farsa dai meccanismi rodati, ma non priva di spigoli.

🧑‍⚖️ Censura: “vietato ai minori di 16 anni”, ovvero: la farsa inquieta

Il film, al momento della sua uscita, fu inizialmente vietato ai minori di 16 anni. Un giudizio che oggi fa sorridere, considerando il tono lieve e farsesco dell’opera. Ma nel contesto del 1960, anno ancora dominato dalla moralità post-democristiana e dal rigore della commissione censura, certe scene di travestimenti, il linguaggio ambiguo, e in particolare i numerosi equivoci a sfondo erotico (si pensi alla confusione nella camera d’albergo), posero dei problemi.

Probabilmente a preoccupare fu anche la satira sull’ambiente ministeriale, che poteva essere letta come una caricatura corrosiva delle strutture statali, e quindi potenzialmente irriverente in un’Italia ancora molto formale nei confronti delle autorità pubbliche.

La produzione fu costretta a modificare alcune sequenze e limare certe allusioni, per ottenere poi l’annullamento del divieto, e permettere così una programmazione più ampia (soprattutto nei cinema di periferia e nelle proiezioni domenicali).

📰 Critica: sarcasmo, condiscendenza e le solite etichette totiane

La critica dell’epoca accolse Chi si ferma è perduto con la solita diffidenza che accompagnava molti film popolari di Totò, soprattutto quelli non firmati da registi “intellettualmente garantiti” (Pasolini, Monicelli, Zampa, etc.).

I toni erano più o meno questi:
  • «Farsa chiassosa e prevedibile, sorretta solo dal mestiere di Totò.»
  • «Il film si fonda su meccanismi comici consumati, ravvivati di tanto in tanto da trovate verbali.»
  • «Peppino De Filippo in ottima forma, ma la sceneggiatura è disarticolata.»

A essere criticata in particolare fu la regia di Sergio Corbucci, qui al suo primo lavoro con Totò: gli venne imputata una messa in scena piatta, senza ritmo, incapace di gestire le potenzialità del duo protagonista. Alcuni recensori evidenziarono un netto calo nel secondo tempo, laddove la pochade “scolastica” veniva vista come fuori moda, appesantita, vecchia rivista rianimata a fatica.

I giornali più “alti”, come L’Unità, La Stampa, Il Messaggero, furono piuttosto sbrigativi: recensirono il film come prodotto di consumo, appena degno di nota, “una domenicale evasione in compagnia di Totò, che ripete se stesso con classe e con pigrizia”.

🎟️ Pubblico: risate, incassi soddisfacenti e tanto affetto

Ben diversa fu l’accoglienza da parte del pubblico. Il film ebbe un buon successo al botteghino, con incassi solidi, anche se non ai livelli stratosferici di “Totò, Peppino e la malafemmina” o “Totòtruffa '62”. Totò era nel suo periodo d’oro commerciale, e ogni sua uscita era attesa, amata, replicata.

Il pubblico apprezzò soprattutto la prima parte, quella ambientata negli uffici, riconoscendovi situazioni familiari, satirizzate con garbo. Molti spettatori vi videro una prosecuzione delle maschere teatrali del varietà, mentre altri rimasero divertiti dalle caricature dei dirigenti, delle signorine “raccomandate” e degli impiegati servili.

Alcune battute entrarono addirittura nel parlare comune dell’epoca, soprattutto tra impiegati statali:

“Compare, si lasci schiaffeggiare”
“Audax fortuna Juventus”
“A cuoppo cupo poco pepe cape”

Le scene nella stanza d’albergo e il finale sulla nave, seppur meno apprezzate dalla critica, furono percepite dal pubblico come divertenti “slapstick all’italiana”, in perfetta continuità con la tradizione totiana.

🎞️ Retrospettiva critica successiva: una farsa in equilibrio precario ma con lampi di genio

Con il passare degli anni, Chi si ferma è perduto ha guadagnato una collocazione affettuosa nella “fascia media” della filmografia totiana. Non un capolavoro, certo, ma neanche una pellicola da dimenticare, soprattutto per:

  • la forza linguistica e mimica di Totò, qui particolarmente brillante nella prima parte;
  • l’evidente affiatamento con Peppino, in un contesto più corale;
  • alcune invenzioni verbali e parodiche che oggi ci appaiono più sofisticate di quanto non sembrassero ai critici dell’epoca.

Autori come Alberto Anile, Orio Caldiron e Roberto Chiti hanno sottolineato l’importanza del film come primo passo del sodalizio tra Totò e Sergio Corbucci, che negli anni successivi porterà ad altri titoli famosi.

🗃️ In conclusione: tra sospetti, risate e nonsense autorizzato

Chi si ferma è perduto è stato criticato con stanchezza, censurato con sospetto, amato con allegria. Il pubblico lo ha fatto suo, la critica ha sbuffato, la censura ha tagliato — ma Totò, come sempre, è rimasto in piedi, con le gambe storte e la lingua affilata.

E mentre i recensori facevano i conti con la propria serietà, i cinema ridevano. E ridevano forte.


Ancora Totò e Peppino, ma questa volta si ride. Il copione ha almeno il merito di ripresentare vecchie cose con un certo garbo sconosciuto ai nostri film comici di serie B : e Totò e Peppino sono prontissimi a cogliere il minimo pretesto per recitare con gusto.

Valentino De Carlo, 1960


Chi si ferma è perduto appartiene al filone facile, preveduto e volgaruccio, della nostra produzione faceta. Qualche invenzione verbale, un'eccellente interpretazione della coppia Totò - De Filippo non sono certo sufficienti per invitare a un onesto divertimento lo spettatore di gusto. Siamo alle solite : corna, miseria, qui pro quo [...]

Pietro Bianchi, 1960


Per Totò il film con la Magnani è solo un intermezzo di lusso, uno sfizio venato di nostalgia. Dopo lo attende ancora un'ultima serie di pellicole con Peppino.Chi si ferma è perduto è un progetto di Ennio Bistolfi, un piccolo produttore genovese. Il film viene combinato da Sergio Corbucci, un ragazzone romano che lavora nel cinema da due lustri e che conosce personalmente Liliana de Curtis, la figlia dell'attore. Totò, sempre piuttosto guardingo nei confronti dei giovani registi, accetta la proposta ma pone come condizione la presenza di Peppino. [...]

Alberto Anile


Un esilarante duello fra Totò e Peppino De Filippo, impiegati di una azienda di trasporti, nel film Chi si ferma è perduto. [...] Sergio Corbucci ha diretto lo scherzo con sufficiente scioltezza, allentando un po' troppo le briglie soltanto nell’affrettata conclusione. Le occasioni di risate sono, ad ogni modo, frequenti, senza quasi concessioni al cattivo gusto. Totò, specialmente, è in ottima forma e la scena al balcone, fra lui e Lia Zoppelli, è una azzeccata parafrasi burlesca di «Giulietta e Romeo». A fianco degli attori già menzionati: Alberto Lionello, Luigi Pavese, Angela Portalupi, Jacqueline Picrreux e Anna Campori.

«Corriere della Sera», 16 dicembre 1960


Dopo tanti anni Totò conserva, ancora lo scettro di re della risata. Soltanto che da assoluto è diventato re costituzionale, e mette generosamente a parte del suo governo quell'ottimo partner che è Peppino De Filippo. L’odierno filmetto, di Sergio Corbucci, è anch’esso impostato sullo spassoso binomio presentato nei soliti toni di affettuoso bisticcio, e come quelli che lo hanno preceduto spiega gli effetti di una ricettina tuttora infallibile. Per amore o per forza si ride.

Il copione, del resto risulta meno sdrucito di tanti altri [...] Regista e sceneggiatori si sono ingegnati di offrire situazioni ai due comici, senza troppo mancare al buon senso e al buon gusto; ci sono relativamente riusciti, e con tutte le sue pecche il filmetto corre.

l. p. (Leo Pestelli), «La Stampa», 28 aprile 1961


Lotta di cadreghino fra Totò e Peppino

Un divertente duello fra Totò e Peppino De Filippo, colleghi d'ufficio, per occupare la poltrona ancora calda del loro diretto superiore. [...] Il regista ha dato ai due bravi attori frequenti occasioni per sfolgorare; oltre a ciò il suo filmetto ha una certa connessione, e dai toni della commedia dialettale a quelli della farsa e della pochade non si disequilibra troppo. Divertentissimi i due comici napoletani, e specialmente l'intramontabile Totò, che anche quando scherza sul «chicchessia», e sono tanti anni che lo fa, riesce ancora a strappare la risata. E garbati gli altri interpreti, con una speciale menzione per la Zoppelli, deliziosamente caricaturale.

l. p. (Leo Pestelli), «Stampa Sera», 28-29 aprile 1961


La censura

Giudizio preventivo alla sceneggiatura "Impiegati di concetto" (2a versione), 10 ottobre 1960

Ministero del Turismo e dello Spettacolo - Servizi dello Spettacolo

«Il copione risulta sensibilmente rielaborato rispetto alla precedente stesura [...] È stata tolta, per prima cosa, l'ambientazione ministeriale e i due protagonisti figurano adesso alle dipendenze di un immaginario Ente Nazionale Trasporti. Sono inoltre scomparsi i personaggi di Padre O'Connor, fanatico boyscoutista, e dell'effeminato Luchetto Borgia, con conseguente eliminazione delle varie scene di sapore equivoco che si riferivano a quest'ultimo.
Permane invece la scena del giovane impiegato sorpreso in canottiera in ufficio (un ufficio, però, non più ministeriale) insieme a una dattilografa in sottoveste, e si ritiene di dover sottolineare il cattivo gusto della seguente battuta (p. 36): «Tedescona questa è... due cosce fantastiche... morbide come due divani». A parte ciò, anche il dialogo appare nel complesso notevolmente riveduto e migliorato, cosicché il film, pur restando nei limiti di una facile commedia, segna nel suo insieme un effettivo progresso».

Peppino De Filippo, battuta contestata in "Chi si ferma è perduto"

Qui non siamo in Francia, qui c'è la censura.


Alberto Anile

I documenti

Approfondimento completo e dettagliato sulle uscite in home video di Chi si ferma è perduto, con date, formati, edizioni e contenuti speciali (inclusi extra quando disponibili), impaginato in modo chiaro e cronologico.

📼 VHS

Fabbri Video – collana Il Grande Cinema di Totò – anni 2000
  • Editore: Fabbri Video, nell’ambito della collana curata da Corriere della Sera/media, dedicata interamente a Totò.
  • Anno: probabilmente tra il 2003 e il 2008 (coincidente con la collana “Il Grande Cinema di Totò” e “Collezione Oro”).
  • Dettagli:
    • Titolo stampato: “Chi si ferma è perduto” in fascia dedicata.
    • Formato: VHS, circa 98 minuti.
    • Audio: italiano.
    • Extra: assenti (normale per VHS della collana)

💽 DVD

1. Edizione Medusa / Rai Cinema – data non meglio specificata (probabilmente anni 2000)
  • Editore: Medusa Pictures in collaborazione con Rai Cinema.
  • Formati and Details:
    • Disco singolo, catalogo standard.
    • Extra: Clip (presumibilmente sequenze tratte dal film o promo), sezione “Cast & Credits”
2. Edizione “Gli archivi del Sole 24 Ore” (numero 23) – uscite per edicola
  • Anno: non specificato, ma comunemente tra il 2008–2012.
  • Editore: Sole 24 Ore (collana in edicola).
  • Particolarità: confezione in DVD sigillato, in condizioni “nuovo”
  • Extra: non riportati, probabilmente standard (nessun bonus extra menzionato).
3. Edizione Rai (Amazon.it)6 luglio 2017
  • Editore: Rai Cinema (distribuzione Amazon e store).
  • Formato: DVD, disco singolo, colore, audio in Dolby Digital 2.0, lingua: italiano, nessun divieto d’età 
  • Extra: non indicati; tipicamente menu semplici e scheda trailer.

📀 Riepilogo in tabella

FormatoEditore / CollanaAnnoExtra inclusi
VHS Fabbri Video – Il Grande Cinema di Totò 2003–2008 ca. Nessuno
DVD Medusa / Rai Cinema (edizione standard) Anno incerto Clip + Cast & Credits
DVD Sole 24 Ore – Gli archivi del Sole (#23) 2008–2012 ca. Probabile edizione standard
DVD Rai Cinema – edizione Amazon 6 luglio 2017 Struttura standard, nessun extra chiaro

🔍 Note aggiuntive

  • Blu‑ray o supporti digitali: attualmente non risultano edizioni Blu‑ray ufficiali o versioni in alta definizione (VOD, streaming).
  • Contenuti speciali:
    • L’edizione Medusa è quella con i pochi extra aggiuntivi (clip, credits).
    • Le altre edizioni DVD presentano probabilmente solo menu, trailer; non sembrano contenere documentari, interviste o libreria fotografica.
  • Ristampe: è possibile che la versione 2017 Rai riprenda il master usato dalla Medusa—non ci sono dettagli su eventuali restauri o migliorie video/audio.

✅ Conclusione

Se stai cercando l’edizione con qualche extra, la versione più completa è la Medusa/Rai Cinema (edizione DVD standard con clip e credits). Le altre uscite sono utili per collezionisti o chi desidera avere il film in edizione economica o in collane a fascicoli, ma offrono zero contenuti aggiuntivi. Non si registrano uscite in Blu‑ray o versioni in alta definizione al momento (2025).


Era accaduto che da qualche anno, in coppia con Totò, avevo ottenuto un notevole successo cinematografico guadagnandomi, così, la fiducia del «noleggio», la sicurezza, cioè, di aver provocato l’interesse diretto dei distributori di films. Tra costoro vi figurava il più importante: Angelo Rizzoli. [...] Infatti, si creda o non si creda ma le statistiche parlano chiare, furono i films che io girai in coppia con Totò a salvare il nostro cinema di allora che subiva la barriera delle produzioni americane, fino a raggiungere la vetta di oltre un miliardo e mezzo di incassi. Si parla di una cifra di tredici anni fa!

Peppino De Filippo

(«Strette di mano», Peppino De Filippo, Alberto Marotta Editore, Napoli 1974)


Il cantico di Romeo

Giulia: Lei è senza alcun vincolo?
Antonio: Beh, io sto in un vincolo cieco, cara.
Antonio: Gulietta, calami la scaletta.
Giulia: Siedi piuttosto, e non avere fretta.
Antonio: Ma dove seder degg'io se qui sgabel non v'è?
Giulia: Siedi sul quel pendio oppur favella in piè.
Antonio: Favellerò di botto, in piedi da qui sotto.
Giulia: Che cosa domandate?
Antonio: Domando se mi amate.
Giulia: Al verone son venuta per dirvi di non essere imprudente. Mio fratello sospetta, giustamente.
E ieri sera più di un impiegato ha abbozzato un sorriso di ironia.
Antonio: Non mi importa se qualcuno ha già sfacato,
voglio solo che presto siate mia.
Giulia: Mi proponete allor di essere amanti.
Antonio: Non siamo i soli, ce ne sono tanti.
Giulia: Ma un giorno mi farete vostra sposa?
Antonio: Mia sposa? No, non posso, come oso? Sposare voi, un umile impegato morto di fame e sempre squattrinato.
Giulia: Potremo fare qualche sacrificio.
Antonio: È meglio farmi fare capufficio.[...]
Giulia: Il vostro amore allora è interessato!
Antonio: Giulietta mia, che dici? Hai equivocato.
Io t'amo in ogni modo, questo lo sai.
Giulia: Questo amore può metterci nei guai.
Antonio: Non importa, io ti darò il mio cuore.
Giulia: È troppo poco per un grande amore.
Oltre al cuore io voglio tutto il resto.
Antonio: Vuoi le frattaglie? Dimmi, io faccio presto.
Giulia: Mio fratello mi chiama, che disdetta!
Antonio: Che faccio, salgo su nella stanzetta?
Giulia: Oh no Romeo ti prego non farlo, non è giusto!
Antonio: Laddove c'è il periglio c'è più gusto.
Giuseppe Colabona: Onorate la salma di Cesare, onorate il discorso atto ad esaltare la gloria di Cesare, che Antonio qui presente, dietro nostra licenza, è incaricato di tenere. A voi Antonio.
Antonio: Amici, concittadini, colleghi, porgetemi le orecchie vostre. Vengo per seppellire Cesare, non per lodarlo, e per dare a Cesare quel che è di Cesare, dato che da vivo non glielo abbiamo mai potuto dare. Si dirà che Cesare era un po' burbero, con un'aria scostante, ma Cesare era un uomo d'onore. Qualcuno dirà che il suo aspetto era ributtante, che era sempre ingrugnato, ma Cesare era un uomo d'onore.
Antonio: Questo e' un asino, un ciuccio! Un ciuccio che si chiama Cavallo!
Antonio: Oh, ma perche' io ho una moglie ignorante, tardiva che non capisce niente? Perche'? Ma che peccato ho fatto? La guerra l'ho forse fatta io, no! Sono ispettore delle tasse io, no! E allora perche', perche'?
Antonio: Voleva ubriacare mia figlia!
Giuseppe Colabona: Voleva ubriacare mia moglie!
Antonio: A sua moglie non c'e' bisogno di ubriacarla!
Italia : Vergognati! Sporcaccione!
Antonio: Italia! Italia mia!
Giuseppe Colabona: Eh, mettiamola sul piano patriottico!
Giuseppe Colabona: (alla moglie) Copriti! Copriti!
Amilcare:, davvero, questo e' un bellissimo complimento che io apprezzo moltissimo. E un complimento fatto a mia sorella e' un passaporto per la scima e l'amicisia!
Antonio: (imitandolo) Non ho capito, scuci!

C’è quella scena tra Totò e Lia Zoppelli in cui facevano Giulietta e Romeo. ‘Il resto è silenzio’, diceva lei, e Totò, senza che nessuno gli avesse detto niente, cominciò a fischiettare il silenzio. Come fa uno sceneggiatore a prevedere una cosa del genere?

Sergio Corbucci


Cosa ne pensa il pubblico...


I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com

  • Sergio Corbucci dirige Totò e Peppino De Filippo, storici partner, in una commedia dalla trama assai esile: litigi e dispetti tra due colleghi d'ufficio a causa di una promozione. La sceneggiatura non brilla per inventiva, ma la pellicola è resa gradevole dai due ottimi protagonisti che con il loro collaudato mestiere suppliscono a qualche carenza di scrittura e sono affiancati da un più che valido cast di caratteristi.

  • Alle prese con la rivalità sul posto di lavoro, Peppino e il Principe della risata danno corso alla classica ed efficace (in termini di gag) battaglia condotta dietro colpi bassi, opportunismi e ruffianismi di ogni sorta. E' passato quasi mezzo secolo e Totò, nel bene e nel male, si manifesta ancora in veste di personaggio adatto e attuale per dare corso a riflessioni (sopìte da una sana comicità) mai banali e adattabili ai nostri tempi. Motivo per il quale, di tanto in tanto, l'immagine di De Curtis appare nei TG, nei più disparati documentari e - discutibilmente - pure in spot televisivi.

  • Totò e Peppino colleghi d'ufficio in lotta per la promozione. Commedia divertente con una classica sceneggiatura imperniata sui litigi e sugli equivoci, e con un film basato sulla sempre frizzante accoppiata Totò-Peppino. La resa è buona se non ci si attende gran che: in fin dei conti i due fuoriclasse riescono a calamitare l'attenzione in ogni inquadratura. A tratti esilarante.

  • Totò e Peppino funzionano bene in questa pellicola, che può vantare momenti esilaranti, alternati però ad altri più sciocchi, durante i quali è difficile anche sorridere, soprattutto quando i veri protagonisti assoluti lasciano purtroppo spazio alle seconde linee. Bastano però i due antagonisti, che puntano alla promozioni, usando tutti gli espedienti possibili, a dare un senso al film, rendendo meno evidenti certe pecche del copione. Nota di merito per l'assoldato da Totò, che in treno mette quasi i piedi in faccia a quello che crede il presidente, minacciando di togliersi anche i calzini.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò "Io ho combattuto sul Carso. Ogni nemico uno schiaffone e rotolava giù"; Peppino ripete più volte "Presidente, eccoli!". Ma non trova mai nessuno.

  • Farsa che sulla carta dovrebbe essere scatenata (il finale è la classica commedia degli equivoci con porte che si aprono e chiudono, per di più in un albergo equivoco denominato "Lolita"!); di fatto ci sono dei momenti di stanca quando in scena non è presente la mitica coppia Totò & Peppino con relativi dispetti reciproci; stuolo di bravi caratteristi con menzione per la bella e ironica Lia Zoppelli nei panni della romantica zitella.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: L'ode al balcone di Giulietta.

  • Tra i migliori film interpretati dalla indimenticata coppia Totò/De Filippo. Scatenata sarabanda comica, con un paio di battute e di scene indimenticabili, una regia perfetta di Corbucci e un cast di supporto che regge il gioco ai due mattatori alla grande. Un film assolutamente da riscoprire.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò: "Sono vent’anni che lei dice di essere un perito, ma non perisce mai. Ma perisca una buona volta, mi faccia il piacere!" "Audax fortuna juventus".

  • Commedia degli equivoci e dei battibecchi fra i grandi Totò e Peppino che qui sono due colleghi che ambiscono al posto del superiore morto. La nota negativa del film sta nella parte finale, che cade un po' troppo nel patetico. Attori di contorno bravi.

  • Commedia sceneggiata in modo da valorizzare al massimo le doti attoriali della famosa coppia Totò/Peppino De Filippo, impiegati inetti (un classico) impegnati in una "furiosa" battaglia, a suon di colpi bassi, per la conquista del posto di capufficio. Nutrito il cast dei comprimari e dei caratteristi, indispensabile in questi casi per arrivare a momenti culminanti come la sarabanda nelle camere dell'albergo compiacente. Totò non si esime dal pronunciare alcune delle sue famose fulminanti battute. Ottima la direzione di Corbucci.

  • Esilarante e brillante commedia interpretata dalla coppia comica per antonomasia, ben ausiliata da un ricchissimo cast. Fraintendimenti, dispetti e scherzi goliardici in un tourbillon di situazioni che strappano sovente il sorriso. Totò è meravigliosamente loquace, con eccelsi giochi di parole. Ottimo.

  • Commedia disimpegnata, fizzante e allegra nella quale la premiata ditta Totò-Peppino dà un'ulteriore prova di quanto bene funzioni; non si tratta però solo di semplice affinità, i due attori estraggono dal cilindro delle esperienze teatrali tutta una serie di trucchi "del mestiere" che utilizzano con consumata maestria, azzeccando un timing favoloso anche rispetto a film più celebrati. Sergio Corbucci, che in regia è una garanzia, fa il resto con semplicità disarmante conducendo lo spettatore a un piacevolissimo finale di stampo "Rossiniano".• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Peppino in veste iettatore; "Venga in un uffico Colabona!".

  • La parte di Totò (Guardalavecchia!) qui proposta ricorda quella del cittadino mediocre e arrivista spesso interpretata da Sordi, con la differenza che l’attore napoletano, pur mattatore, lascia maggiore spazio ai comprimari, non solo il sempre valido Peppino De Filippo (Colabona…), collega rivale nella corsa a miglioramento di carriera, ma anche Tieri, Lionello e Palmer. Nel complesso è un intrattenimento molto simpatico, con scenette irresistibili per cui l’evoluzione della trama, abbastanza scontata, passa in secondo piano.

  • Divertente commedia con molti momenti felici dovuti unicamente alla bravura di Totò e Peppino De Filippo che a suoni di colpi bassi e giochi di parole regalano diverse risate a fronte di una trama esilina e a tratti scontata (ma poco importa). Bene il resto del cast, in primis Aroldo Tieri che fa da spalla ai due comici. Film godibile e senza pretese.

  • Tràttasi in effetti di una commedia abbastanza divertente, ancorché sottovalutata. Non mi è piaciuto però l'epilogo risolto in pochade, genere che non ho mai amato (da notare la presenza nel cast di Alberto Lionello che, al di là del suo noto caratteraccio e della relativa superbia nella vita reale, fu uno dei nostri migliori attori teatrali comico-brillanti di commedie leggere e, appunto, pochades). Occhio alle coscione visibilmente cellulitiche - ma Ado Kyrou gradirebbe - della Pierreux e al cammeo per la futura doppiatrice Solvejg D'Assunta...

  • La solita divertente farsa scatenata e il primo film di Sergio Corbucci con il Principe della risata. Totò e Peppino vanno avanti, ormai, con il pilota automatico cesellando, con la loro suprema maestria comica, situazioni narrative ipertrofiche e stravaganti incardinate sulla molla psicologica della rivalità carrieristica. Ma Totò, in questo film, raggiunge il picco della comicità nei duetti con il falso ispettore Rossi e nella stralunata scena finale, in una parodia scespiriana ricca di giochi linguisti con una vitalissima e autoironica Lia Zoppelli.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Sconcertante somiglianza tra il Totò della parodia scespiriana e lo Iago del suo ultimo film Cosa sono le nuvole? diretto da Pasolini.

  • Il canovaccio è ridotto davvero all'osso (la lotta tra due impiegati per una promozione), i duetti sono pochi e il personaggio di Peppino diventa troppo secondario rispetto al protagonista. Di contro quest'ultimo problema genera un effetto esplosivo in Totò, irrefrenabile e scatenato in monologhi urlati e fuori controllo e l'invenzione di una scena (il Principe vestito da Romeo che in versi azzardatissimi invoca l'amore della sua Giulietta) surreale, picco astratto e solitario della pellicola.

Le incongruenze

  1. Quando Totò e Peppino attendono l'ingresso dell'ispettore, si vede chiaramente l'ombra sulla porta di una persona della troupe che passa
  2. Quando Totò è in treno con il falso ispettore ad un certo punto il suo labiale non corrisponde al parlato. Lo stacco è nettissimo, è da presupporre un cambio di sceneggiatura in fase di doppiaggio
  3. Quando Alberto Lionello è a tavola a casa di Totò ad un certo punto, riferendosi alla moglie di Totò, la chiama mamma
  4. L'ispettore dei trasporti Rossi viene da Milano, l'ispettore scolastico Rossi probabilmente da Roma (sia perché dipende dal ministero, sia perché ha in mano "Il Tempo"). In ogni caso entrambi, discutendo sul posto che devono occupare, sembra proprio che siano appena saliti alla stazione di Formia, dove Totò prepara il suo piano
  5. Totò e Peppino sono di fronte alla cassaforte del capo. Totò chiede a Peppino se ha un piede di porco, Peppino dice sì e tira fuori... un trapano a mano, che Totò accetta senza battere ciglio
  6. Finale nella stanza d'albergo. I personaggi si passano di mano una bottiglia di spumante chiusa, ma si nota da come la tengono in mano e la agitano che in realtà la bottiglia è vuota
  7. Peppino e Totò incontrano l'ispettore. Peppino dice: "cose turche", e si pulisce l'occhio sinistro con un fazzoletto. Stacco e si sta pulendo il destro
  8. Arriva l'antiquario con l'apparecchio acustico. Totò abbassa la saracinesca con due mani, ma allo stacco di montaggio la sta abbassando con una sola
  9. Durante la cena con il Dott.Rossi, il tovagliolo che ha Toto' sul colletto cambia di posizione, infatti a volte si vede la cravatta e a volte no
  10. Quando, in ufficio, Totò si accorge dell'equivoco, nato dallo scambio di persona tra i due Rossi, e conosce il vero "dottor Rossi" ispettore della ditta, inizia a supplicarlo, tirando fuori un fazzoletto dalla tasca destra. Nella scena successiva, gesticola, ma il fazzoletto è sparito dalle sue mani
  11. Quando, il capo ufficio Santoro, sorprende Totò e Peppino (Guardalavecchia e Colabona) che cantano una canzone al telefono alla moglie di Colabona, li sgrida e - nella confusione - il lume che si trova sul tavolo davanti ai due impiegati cade. Ma nella scena successiva, è di nuovo perfettamente al suo posto
  12. Quando entra il cliente sordo, Totò lascia la porta aperta. Quando il cliente esce, la porta è chiusa
  13. Nella scena in cui Toto' cerca di accreditare presso l'ispettore , Peppino come terribile iettatore, per dare forza a questa tesi riferisce di un antenato di Peppino stesso responasbile di enormi disatri: imbarcato come marinaio sul Titanic ed unico sopravvisuto al disastro, fu sbarcato successivamente a Messina (colpita dal disastroso terremoto). Va rilevato pero' che il terremoto di Messina e' del 1908, mentre il naufragio del Titanic e' del 1912

www.bloopers.it


Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo.

La stazione dove Antonio Guardalavecchia (Totò) e il violento Cavicchioni (Palmer) attendono il treno per Napoli, sul quale viaggia l'ispettore Rossi (Tieri), nonostante un cartello dica FORMIA è in realtà il primo binario di Roma Ostiense, facilmente riconoscibile dall'ex edificio per il controllo del movimento.

Pochissimi gli esterni di rilievo in questo bel film con Totò e Peppino. Uno è quello dove si svolge la celebre orazione funebre (Amici, vicini e lontani...) di Guardalavecchia al suo vecchio e odiato capoufficio.Siamo sulla scalinata della Chiesa di San Gregorio Magno al Celio a Roma. Sulla stessa scalinata Fantozzi piangerà la morte della madre del megadirettore (altro che capufficio!) nel primo "Fantozzi".
Ed ecco la chiesa più da lontano, con il riquadro rosso che mostra la parte inquadrata nel film

Questi gli oratori che spuntano dietro la chiesa

La ditta in cui lavorano Totò e Peppino (set principale) è in realtà il Collegio Angelo Braschi situato in Piazza di San Salvatore in Lauro 10 a Roma, ovvero la scuola del figlio di Tognazzi ne I mostri

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Riferimenti e bibliografie:

  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
  • "Totò: principe clown", Ennio Bìspuri - Guida Editori, 1997
  • Orio Caldiron (a cura di), Sergio Corbucci, Ramberti editore, Rimini 1993, p. 70
  • "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
  • "Totò proibito" (Alberto Anile) - Ed. Lundau, 2005

Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:

  • Valentino De Carlo, 1960
  • Pietro Bianchi, 1960
  • «Corriere della Sera», 16 dicembre 1960
  • l. p. (Leo Pestelli), «La Stampa», 28 aprile 1961
  • l. p. (Leo Pestelli), «Stampa Sera», 28-29 aprile 1961

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