Dino De Laurentiis: mia moglie Silvana Mangano come la vedo io
Mi capita spesso, forse anche troppo spesso, di sentirmi rivolgere domande più o meno indiscrete intorno a mia moglie, ai miei bambini, alla mia vita privata in genere. Ebbene io credo, o almeno lo spero, di non aver mai deluso l’interrogante — per usare un termine parlamentare — anche trattandosi alle volte, vi giuro, di argomenti piuttosto imbarazzanti. La ragione è che. grazie a Dio, posseggo ìnsita nel mio carattere una sufficiente dose di ottimistica rassegnazione alle condizioni. talvolta scomode, impostemi dal genere di vita, starei per dire pubblica, che il mio mestiere comporta. Mestiere e vita, debbo aggiungere, che mi son scelto liberamente — esiste o no il libero arbitrio? — e dunque, lungi dal ripetere a me stesso come un rimprovero il celebre «Tu l’as voulu» di Georges Dandin, accetto allegramente da buon giocatore le regole del gioco. Le quali consistono soprattutto nel sacrificio quasi totale della propria intimità. La nostra vita finisce con lo svolgersi quasi più sulle pagine dei settimanali a rotocalco che tra le mura della nostra casa; la quale è diventata di vetro, senza più segreti. Abbastanza caro, non vi pare? il prezzo di quel po’ di notorietà che, bisogna confessarlo, per colmo dell’ironia ai nostri esordi ambimmo tanto di conquistare!
Dicevo dunque di non essermi mai sottratto alla curiosità più o meno disinteressata di nessuno; tantomeno di quei frequenti esemplari di fauna umana che, andando oltre le intenzioni del Vangelo, hanno finito con l’amare il loro prossimo più assai di loro stessi, tanto da non viver più, si direbbe, che del riflesso della vita altrui. Ebbene debbo confessare che le uniche domande che, se proprio non mi imbarazzano, m’invitano per lo meno alla reticenza, alla scappatoia del riserbo professionale, e insomma iall.e quali mi sembra proprio che dovrei esser dispensato dal rispondere, sono quelle che mi vengono rivolte a tradimento per «estorcermi», è la parola, «un personale giudizio su Silvana Mangano come attrice».
Perché, una volta tesami questa trappola, cosa volete che ci si aspetti da me? Certamente un giudizio invalidato, se non dai plausibili interessi del «produttore», almeno dai preconcetti sentimentali del «marito». I primi tempi me la cavavo adottando invariabilmente la formula diciamo «demolitrice», che consisteva nello snocciolare allo strabiliato intervistatore la più spietata stroncatura dell’attrice nata dalla celebre «rivelazione» di «Riso amaro». Una stroncatura, bisogna aggiungere, confezionata in modo tanto impersonale e distaccato da accrescerne in modo impressionante la ferocia, proprio da levar la pelle. Bene, mi crederete se vi dico che non m’è mai più capitato, come in quel periodo, di ascoltare tante aggressive difese, tanti panegirici di Silvana Mangano? Finivo invariabilmente coll’arrendermi a tanto fervore di argomentazioni. «Lo sa che cosa debbo dirle?» concludevo «Che lei mi ha pienamente convinto».
Un certo gusto sperimentale al quale mi diverte qualche volta di cedere, mi spinse ad applicare dopo un po’ una seconda formula, che chiameremo «imbonitoria». Allora, con ancor più distacco e tono impersonale che nella formula precedente, a chi sollecitava un mio giudizio su Silvana Mangano attrice, spiattellavo con la massima naturalezza la più iperbolica definizione che si possa dare di una «stella di prima grandezza». Definizione condita, ovviamente, dr quegli «aggettivissimi» e superlativi stereotipati tanto cari agli uffici stampa di tutto il mondo, il mio compreso.
Capirete che a lungo andare una réclame di quella fatta poteva ricaderci addosso come un boomerang. Bisognava trovare qualcosa d’altro. E finalmente, circa due anni fa’ mi si affacciò improvvisa alla mente — quella che si dice un’illuminazione — la formula davvero ineccepibile. Fu per una signora sui quaranta, assai distinta e d’una serietà sconcertante, ma che rivelava alle prime parole un infantilismo pari a quello delle due adolescenti — non ho capito se nipoti o amiche — con le quali faceva causa comune alla caccia d’autografi: una con indosso i caratteristici «blue jeans», mentre l’altra, che non aveva abdicato alle sue prerogative femminili, mostrava di tenere alla sua corta veste scozzese, alle sue grassocce gambe nude, ai suoi sgargianti pedalini arrotolati sulla caviglia: due autentiche «baby sockers», «Anzitutto» dissi, rispondendo alla valanga delle loro domande con un’altra domanda «anzitutto bisogna chiarire un equivoco: non crederete, spero, che Silvana Mangano e mia moglie siano la stessa persona?»
Silvana Mangano e Dino De Laurentis sono sposati da sette anni ed hanno tre figli. De Laurentis fu il produttore di «Riso Amaro».
Nella mia intenzione, la «trovata» doveva essere valida special-mente per le due ragazze. Quelle invece ammiccarono subito come per dire» e va bene, staremo al gioco», mentre l’anziana signora mi prese sul serio:
«Sorelle, allora, gemelle»
«Macché, neanche parenti»
«Strano! E come si spiega allora una così perfetta somiglianza? «Ah, si, non s’è mai dato, forse, un caso più strepitoso di sosia» E aggiunsi: «Quante volte in testa ai films avrete letto: questi fatti, questi personaggi sono puramente immaginari, eccetera. Questo è successo anche per la signora De Laurentiis e l’attrice Silvana Mangano: un caso straordinario, quanto... accidentale». «Ma... si conosceranno, naturalmente, saranno amiche, no?»
«Conoscersi, beh, questo si, purtroppo!... Quanto ad essere amiche, credevo fosse trapelato anche troppo spesso attraverso stampa, Radio e TV, quanto le vada poco a sangue, a mia moglie, d’avere quel sosia!»
«E lei, poveretto, come se la cava?»
«Io? Non me ne parli! Io cammino in mezzo a loro come su un filo di rasoio. E non c’è niente da fare: né il grande amore che porto alla madre dei miei bambini, né l’incondizionata ammirazione che nutro per la protagonista di tanti miei films, varranno mai, ahimè, a conciliarle!». Ora, a parte la eccessiva credulità di quella distinta signora io mi resi conto che il vero beneficiario di quella «trovata» sarei stato proprio io. Calma, però, avevo a che fare con gente decisa ad andare a fondo. Infatti, appena le fu possibile, la signora mi domandò guardinga «E... dove abita?»
«Chi?»
«La Mangano»
Non ci avevo pensato, l’affare si complicava, bisognava inventare un indirizzo.
Ecco come il più piccolo dei De Laurentiis « obbliga » papà a fare il « giuoco del treno » per mangiare, da bravo, il piatto di maccheroni. Fra poche settimane anche Silvana tornerà al lavoro interpretando un film prodotto dal marito e ricavato da un famoso racconto di Puskin.
L’indirizzo della Mangano? Impossibile a sapersi. In pochi anni ne aveva cambiati una decina, quanti erano stati i suoi films, per l’esattezza, perché tra le abitudini singolari dell’attrice c’era anche quello di «eleggere domicilio», di volta in volta, presso il personaggio che doveva «impersonare». Mi arrestai in tempo, m’ero messo su una china troppo pirandelliana, dovetti dire d’avere scherzato. Salvo, s’intende, la ormai proverbiale scontrosità e forastichezza della Mangano — questo era anche troppo vero — e la sua avversione ad ogni consuetudine sociale: in ispecie quella di dare il proprio indirizzo a chicchessia, me compreso. Bisognava darle la caccia, dunque, tener d’occhio i teatri di posa e cercar di sorprenderla sul lavoro; oppure, più facile forse, abbordarla durante ripresa in esterni. Così, riuscii finalmente a sganciarmi dal terzetto delle cacciatrici d’autografi; verso le quali, nonché trovarle abbastanza spassose, provavo ora un sincero senso di gratitudine. Perché dovevo a loro l’invenzione della formula numero tre, rivelatasi come ho detto ben più preziosa di quanto in un primo momento non avessi immaginato. E in seguito, ho dovuto chiamarla in soccorso tante di quelle volte, e l’esito è stato sempre tanto puntualmente positivo, che... ho finito quasi col credervi anch’io (o col trovar conveniente fingere di credervi, che fa lo stesso). Qualcuno dirà «ci risiamo col piran-dellismo», ma la verità è proprio questa, che nonostante la sua apparenza paradossale, questo immaginario triangolo i cui vertici siamo, io, la signora De Laurentiis e Silvana Mangano, è aderente alla realtà assai più di quanto non sembri. Fatto sta che, non appena «stipulata * con me stesso quella specie di convenzione grazie alla quale la moglie-attrice si sdoppiava in due persone distinte, messa cioè fuori causa la signora De Laurentiis, esprimere un giudizio sull’«attrice» mi diventò un gioco da ragazzi. Conseguenza immediata, vedemmo comporsi come d’incanto, grazie a quell’uovo di Colombo, sia nell’ambito della famiglia che tra estranei, tra le mura domestiche come sul «set», i mille immancabili attriti provocati fatalmente dalla insanabile incompatibilità che è sempre esistita e sempre esisterà tra famiglia e teatro. Voglio dire il «mestiere» del teatro — e del cinema, naturalmente — non lo spettacolo in sé. E poiché stiamo parlando di «mestiere», ebbene sta proprio qui il nocciolo della questione. E il punto dolente.
Perché, oltre alla suaccennata incompatibilità tra le due Silvane, bisogna poi fare i conti con quel perenne stato d’allarme e d’insoddisfazione che la Silvana attrice porta in sé, ormai connaturato, e che nasce — questa è la mia diagnosi — proprio dalla sua avversione al «mestiere». Silvana Mangano — parrà strano — non ha mai provato un’eccessiva tenerezza per la splendida creatura «allo stato naturale» che irruppe in «Riso amaro» direttamente dalla vita. Non l’ha amata né tantomeno rimpianta (come parte del suo pubblico).
Silvana Mangano nel soggiorno della sua villa sull’Appia Antica. Uno degli « hobby » preferiti dall’attrice è quello di ascoltare musica classica ma nella sua discoteca si trovano anche molti « classici » di musica contemporanea di cui Silvana è un’appassionata. Il successo non l’ha distratta nelle consuete fiere della vanità ed ella preferisce sempre rifugiai'si nel intimità famigliare.
Ma bisognerebbe sapere anche con quanta severità e diffidenza essa sorveglia la nuova immagine che lo schermo ci dà oggi di lei! «Oro di Napoli», «La diga sul Pacifico», per non citare tra le sue interpretazioni che quelle di maggior rilievo, quelle che basterebbero da sole a confermare le sue doti di grande attrice. Ebbene Silvana diffida di questo suo nuovo volto eppure non è — e lo sa bene — che il risultato d’una logica evoluzione, d’una «formazione», d’una «maturazione». Ma in lei l’idea di «formazione», appunto, di «maturazione», si associa troppo a quella di quel «mestiere» da cui aborre con tutta l’anima, sempre a un pelo dal diventare «mestieraccio», il «mestiere» di cui, quando credi di essertene impossessato, non ti accorgi neanche più che s’è invece impossessato di te. Di qui il suo disagio, ma anche il suo maggior vanto, ch’è quello di essere «l'antiattrice» per eccellenza: nient’altro che una creatura umana che si presta, anima e corpo, ad un gioco d’immagini e di sentimenti (vi par poco?) che si piega docile, un film dopo l'altro, al ruolo da sostenere, ma come «nuova» ogni volta, ogni volta tornando allo stato puro, «rinascendo» ad ogni nuovo personaggio.
Si può fare ancora di più, per farle piacere: affermare cioè, paradossalmente, che se pure esiste di nome, l’attrice Silvana Mangano «non esiste». L’avrebbero inventata i registi di quella decina di films dove lei è apparsa, inutile citarne i titoli, il pubblico li ricorda benissimo. De Santis, De Sica, René Clément... avrebbero «evocata», starei per dire, la protagonista dei loro film, servendosi di Silvana Mangano quasi come lo spiritista ottiene, tramite la medium in trance, che uno spirito si materializzi. Finita la seduta cosa resta della medium? Una creatura logorata nella sua dolorosa sensibilità, che non ricorda più nulla. Bisogna ammettere che, almeno limitata-mente a questo risultato finale, qualche affinità esiste.
Provate ad accennare parlando con Silvana — non con mia moglie, per carità — a qualcuna delle sue interpretazioni, magari l’ultimo film appena finito di girare. La vedrete sgranare gli occhi sinceramente stupita: non se ne ricorda già più, assolutamente. Non esiste più traccia, in lei, di quel personaggio. Lo ha «impersonato», è vero, ma è altrettanto vero che, con l’ultimo giro di manovella, le è diventato del tutto estraneo. S’è parlato poc’anzi di medium, di trance, eccetera. Mi si consenta però di fare un po’ di marcia indietro, non vorrei che mi si fosse preso troppo alla lettera riguardo alla «docilità» con cui Silvana si affiderebbe al regista del film.
Dino De Laurentiis, «Le Ore», anno VI, n.253, 15 marzo 1958 - Fotografie di Chiara Samugheo
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Dino De Laurentiis, «Le Ore», anno VI, n.253, 15 marzo 1958 - Fotografie di Chiara Samugheo |