Giovanna Ralli, l'innamorata del guerriero

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Giovanna Ralli che interpreterà fra breve la parte della falsa nipote di un cardinale romano, riverita e adulata per la sua parentela, sostiene che nel lavoro ci si può sempre divertire

«Che strano — dice Giovanna Ralli — io sapevo poco o nulla della Jugoslavia; così per esempio quando ho visto Pec, ho avuto l’impressione, come dire?, che tutto il mondo sia lì, raggruppato in quel paese del Montenegro, ai confini con l’Albania». «A Pec», aggiunge, (e pronuncia questo nome come dicesse Tivoli o Velletri), c’è gente di tutte le razze. Ci sono albanesi: "quelli che portano i pantaloni col cavallo all’altezza del ginocchio", musulmani, col fez rosso in testa, slavi, zingari, ma non come i nostri nomadi, lì vivono in case vere, normali, solo a sposarsi ci vanno in carretto, la bandiera in testa, le coperte buone esposte come durante la processione, e le donne dietro, cariche di collane fatte di monete d’oro, che non pesano meno di 20 chili. E poi a Pec ci sono i negri».

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«Sì, sì, anche i negri. Mi sono informata come mai; sono i discendenti di due famiglie negre che capitarono a Pec durante l’altra guerra». L’attrice sorride: «Che strano, vero?»: e via via che dipana il filo dei suoi ricordi jugoslavi, questo aggettivo continua a contrappuntare le sue parole, eco dello stupore di una ragazza viva, ancora capace di meravigliarsi, ma anche di chi era partita con l’idea che andare a lavorare in Jugoslavia, un Paese socialista, lei una ragazza sola, e poi in certe zone eccentriche, montuose, depresse, era un’impresa quasi da metter paura. I primi giorni, infatti, appena arrivata, la malinconia, i pianti, le lunghe telefonate con i genitori; ma poi una mattina apre la radio ed ecco, che ti esce fuori? "Tuppè, tuppè, marescià”, e lei: «Ma dove sono capitata?» si domanda.

Come l’Italia; si, gli jugoslavi vanno matti per le canzoni, per i film italiani; ma proprio l'opposto dell’Italia, per tante altre cose. Per esempio, la televisione. Ce l’hanno, possono usufruire di due canali, uno italiano e uno ungherese, ma mica gli interessa, cioè non hanno la passione per il video che c’é da noi. «Non gli interessano —dice l’attrice — le cose moderne in generale. Loro... — e fa uno sforzo per sintetizzare le sue impressioni — preferiscono ascoltare una sinfonia di Ciaikowsky». Sorride, incerta se è riuscita a rendere bene l’idea che voleva esprimere, e poi, buttandosi dietro l’incertezza, «Gli operai della troupe — dice — sa di che cosa volevano parlare? Di Omero, di Dostojewsky... e io, le confesso, ero piuttosto imbarazzata; perchè li ho letti, ma mica me li ricordo bene».

Pec, Titograd, Nihcs, Ulcin, Dubrovnik, Budva: quattro mesi è stata in Jugoslavia per girare un film, spostandosi da un paese all’altro, passando dalle rocciose monlagne dello interno alle isole della costa, da una antica fortezza austriaca a picco sul mare alle pianure di Nihcs; e ne è ritornata con tanti ricordi, due mandolini albanesi, e una cicatrice al ginocchio. I mandolini, («li vuol vedere?», quelli col manico lunghissimo e la cassa a forma di spicchio di aglio, glieli ha regalati un ammiratore, un operaio della troupe. «Durante la pausa — dice — i macchinisti si sedevano per terra formando un cerchio e suonavano sempre, mentre le cameriere... No, le cameriere — si corregge — le studentesse che fungevano da cameriere, apparecchiavano la tavola all’aria aperta». Là cicatrice se l’è fatta cadendo da cavallo.

«Beh — precisa — il verbo cadere non è esatto. Fa pensare ad una mia inesperienza o ad un cavallo bizzarro». Invece lei a cavallo ci sapeva andare. «Oh, sì, sono diventata bravissima; adesso potrei anche partecipare ad un concorso ippico». E il cavallo era tutt'altro che bizzarro; si chiamava Unka, era una femmina stanca, sfiduciata, sempre addormentata. Solo quando incontrava un cavallo maschio, si risvegliava. Ma quanto a correre.... Così, un giorno che doveva metterla al trotto e poi al galoppo, la scena era pronta, Unka che fa? si siede, si adagia per terra, non collabora più. «Ecco, mi sono ferita così. Poco glorioso, vero?; ma bisogna pensare che quel giorno l’orario di lavoro era finito, e in Jugoslavia non è come da noi, nessuno fa gli straordinari, neppure i cavalli...».

GIOVANNA RALLI si trova in questi giorni a Parigi dove ha assistito alla prima francese di "Era notte a Roma”: col regista Rossellini l'attrice ha girato anche 'Viva l’Italia". Nonostante la sua giovane età Giovanna Ralli è una veterana del cinema. Esordi infatti dieci anni fa con una piccola parte nel film "Luci del varietà". L'attrice ha appena finito di interpretare in Jugoslavia un film sulle vicende rivoluzionarie di Zapata ed ha ora numerosi progetti di lavoro in America e in Italia che assorbiranno completamente la sua attività nel futuro. Il forte temperamento dell'attrice si adatta assai bene alle parti drammatiche: il Festival di San Francisco ha assegnato un premio a Giovanna Ralli.

Molto più dannoso, è stato lo "sciopero del cielo": per due mesi è piovuto, e cosi Il gusto della violenza, film francese ambientato nel Messico e girato in Montenegro, è durato quattro mesi invece di due. I baffi, i sombreri, i poncho, che Hossein si era portato da Parigi giacevano inutilizzati nei magazzini; e lui, Robert, regista e protagonista, si mangiava il fegato dalla rabbia. «E’ una storia — racconta la attrice — che si svolge durante la rivoluzione di Zapata. Io sono la figlia del governatore. I guerriglieri mi rapiscono, per tenermi in ostaggio; alla fine mi innamoro del loro capo, ma fra noi non accade nulla». Cioè, precisa, c’è una scena in cui loro fanno all'amore, ma solo guardandosi; più forte e più vera d’un bacio. Sì. tutta primi piani, sguardi, espressioni. «E’ stata — ride — un’esperienza nuova».

Questo film è il primo rimbalzo del successo riportato da Giovanna Ralli con Era notte a Roma. Il film di Rossellini, che non ha portato molta fortuna al regista, (ma adesso l’hanno acquistato gli americani), ne ha portata invece all’attrice. Quel personaggio di popolana affarista e generosa, che si veste da monaca e ospita i prigionieri, è piaciuto a tutti, critici, pubblico e produttori. Al festival di San Francisco le hanno assegnato il premio per la miglior attrice. «L'ho appreso dalla radio, proprio mentre mi trovavo in Jugosllavia». E Deutchmaster, uno dei più grossi produttori europei, subito dopo aver visto il film, la chiamò a Parigi, le. presentò Hossein, e combinò tutto, senza neppure chiedere una coproduzione. La prese per se stessa, come attrice, non come portatrice di denaro. Ed ora il film di Hossein andrà a Cannes.

L’attrice incrocia le dita delle mani, vi appoggia la guancia: è abbastanza contenta di sè. Da dieci anni lavora nel cinema. Agli inizi creò un personaggio, che molte altre hanno cercato d’imitare, e che lei ha approfondito con Rossellini; ai tempi della crisi, piuttosto che svilirsi, fece la soubrette; delle due strade, o i soldi o una certa coerenza, ha sempre cercato di seguire la seconda. Tagliata nella stessa stoffa della Magnani e di Sordi, cioè di quegli attori romani che sfogano nella recitazione il loro bisogno di vita e la loro tristezza, Giovanna Ralli è riuscita a sopravvivere, là dove molte sono scomparse, e ora si è affermata come attrice dotata di una sua personalità. «Io — dice — nel lavoro cerco sempre di divertirmi. E se un giorno mi andasse proprio male, non mi perderei d’animo. Sa che faccio? Scendo per la strada e mi metto a cantare...».

P. R., «Tempo», anno XXIII, n.11, 18 marzo 1961 - Fotografie di Chiara Samugheo


P. R., «Tempo», anno XXIII, n.11, 18 marzo 1961 - Fotografie di Chiara Samugheo