Totò e... Alberto Sordi
Come Keaton e Charlot
Non mi sorprende affatto, quindi, che tra le carte di Totò sia stato ritrovato un foglio di appunti, diviso in due colonne: da una parte c'è scritto "Totò" e dall'altra "Sordi", e sotto alcuni titoli di film suoi e miei con accanto i relativi incassi. Non credo che Totò prendesse questi appunti per raffrontarsi con me, considerandomi magari un antagonista. Credo che volesse confrontare il genere dei film suoi con quelli miei, proprio per studiare quell'evoluzione di tendenza del pubblico cui accennavo prima. E credo avesse capito che la nascita della commedia all'italiana faceva emergere altri tipi di personaggi che ugualmente potevano far ridere la gente, anche se lui dominava ancora il cinema comico. Insomma, Totò era il massimo allo stato puro, all'altezza di Charlot e di Buster Keaton. Oggi si riconosce che lo si può capire dovunque mentre noi abbiamo parlato una lingua sconosciuta oltre confine, pur rappresentando, comunque, qualcosa di artisticamente diverso.
Se un giorno si affaccerà alla ribalta un altro personaggio come Totò, sarà solo per un miracolo della natura, sarà un'immagine che muoverà istintivamente il riso della gente, una vis comica che si baserà, come Totò, sull'istinto e l'improvvisazione, non avrà bisogno di testi e tanto meno di registi. Anzi farà, come Totò, la felicità di registi e produttori che non avranno bisogno di scervellarsi troppo: tanto il film, o lo spettacolo che sia, glielo salverà comunque questo nuovo Totò. Ammesso e non concesso, ripeto, che ne nasca un altro.
Nel 1954 Totò decide di incontrare nuovamente Alberto Sordi, attore in netta fase di affermazione. L'ultimo incontro risale a due anni prima, quando hanno girato insieme "Totò e i re di Roma". Totò incarica il cugino Eduardo Clemente di contattare Sordi per un invito a cena. In quell'incontro tra i due artisti, è Totò che si confida con l'altro e con umiltà gli prospetta le sue perplessità sui dubbi che gli dà la sua carriera artistica in quello specifico periodo. C'è anche un progetto di un altro lavoro da realizzare insieme, forse più coinvolgente del precedente, un Totò padre e figlio. Sordi sottolinea però le diverse caratteristiche di recitazione, differenze probabilmente insanabili, rifiutando implicitamente ogni futura possibilità di lavoro.
Abbiamo passato una serata da ricordare. Lui mi dice: “Ma forse devo cambiare registi... Non ho mai un copione, devo fare sempre recite a soggetto...”. E io gli rispondo: “Ma il ruolo tuo è proprio questo. Perché basta che tu entri in scena la gente ride”. Dice: “Ma sono così bello?”, Dico: “La physique du rote, come dicono in Francia, aiuta moltissimo il comico. Uno come te c’ha una faccia così comunicativa... Tu non hai bisogno di niente. Sono io che devo trovare situazioni, rispecchiare una realtà, lavorare perché la gente si riconosca in quei personaggi, dire le cose che abitualmente dice, insomma lavorare un po’ di fantasia”...
(Vedendo il film "Un americano a Roma", Totò) si impressionò molto, la mia non era la solita comicità tradizionale, il cinema comico con le battute e le gag, si sentiva un linguaggio un po’ diverso e lui capì subito. Cominciavo a rispecchiare la società, ad andare al passo con l’evoluzione del costume.
La rassegna stampa
Da vario tempo seguo quelli che nell'accezione popolare passano per «films da ridere» e che hanno come protagonisti Totò, Croccolo, Fabrizi, Tino Scotti, Rascel ecc. Infallibilmente, al successo, cosidetto di cassetta mai risponde dignità artistica e tanto meno morale. Eppure tanto è il desiderio del comico da parte del pubblico che vuole trastullarsi la sera, dopo il lavoro quotidiano, cosicché qualunque cosa i produttori ammanniscano ogni stomaco lo trangugia senza protestare anzi pagando e applaudendo. [...] Totò batte il record di tale monotonia quasi nauseante. Gli altri, quando non procedono sul filo dell’osceno, si esibiscono in uscite isolate o staccate dal racconto, in motivi gratuiti o addirittura umiliando il cinema a divulgare quei clichés rimestati in tutte le salse [...] Senonchè, a lungo andare, queste facili vie di successo si inaridiscono stancando il pubblico. Prova ne sia l’intiepidimento per films di Totò. Gli incassi di oggi sono fortunatamente ben lontani dai primi successi di cassetta. Così dicasi di Croccolo, di Tino Scotti, dello stesso Fabrizi che non avendo potuto evadere da quella maschera fossilizzata, già stancano i non più entusiasti (come un anno fa) spettatori. Possibile — ci si chiedeva — che l’Italia non produca una formula dell’umorismo cinematografico pulito e geniale come la Francia con Tati, l’Inghilterra con Kay e l’America con Charlot ?[...]
Siamo appena agli inizi ma lo salutiamo egualmente con affettuosa solidarietà. Alberto Sordi è entrato trionfalmente nel rango del comico cinematografico senza usare, anzi escludendo sesso ed equivoco. Inventa personaggi, alternandoli, per coglierti nel fianco risibile che in genere è determinato da una colpa morale. Il «Seduttore», per esempio, è un piccolo capolavoro che ridicolizza un costume provinciale italiano dei, don Giovanni o dei Casanova in sedicesimo. Umorismo che giunge a segno moralmente e nello stesso tempo sprigiona ilarità sane. Ma qui si vuoje incoraggiare questo giovane attore comico che, volta per volta, si rinnova e crea tipi equidistanti tra la satira asciutta e l’umorismo demolitore. Raramente, in mezzo a tanto scialo d’ostentato immoralismo specie nel teatro e nel cinema per cui vale la regola del successo, si ebbero lezioni di civismo dalle nostre pellicole «che fan ridare». Quello di Charlot è un caso unico e meriterebbe un altro discorso. Sordi se ha il coraggio di continuare e non adagiarsi alla sollecitazione dell’ottenuto successo sarà un rinnovatore, forse colui che inizia un genere cinematografico fin’ora inedito.
Partì da una fortunata rubrica radiofonica coi «compagnucci» e la «parrocchietta». Il primo film «Mamma mia che impressione» fu un fiasco, non tanto per il nuovo tipo di umorismo non ancora approfondito in lui, quanto per la mediocrità tecnica della pellicola. Le platee sono abitudinarie e ci vuol tempo per staccarle dai loro gusti perfino mediocri. Il regista Fellini lo inserì nei «Vitelloni» è trionfò, dopo averlo provato in «Sceicco bianco» con modesto successo. Ora ha battuto le pantomime equivoche di Totò è, se non cede agli interessi dei produttori od all’ignavia propria, diventerà un tipo fondamentale per far ridere senza sporcar le coscienze.
Lorenzo Bedeschi, «L'Azione», 10 dicembre 1954
Riferimenti e bibliografie:
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998, pagg.214-215
- Alberto Sordi, «Il Mattino», mercoledi 15 aprile 1992
- Lorenzo Bedeschi, «L'Azione», 10 dicembre 1954