Campanini Carlo

Carlo_Campanini

(Torino, 5 ottobre 1906 – Roma, 20 novembre 1984) è stato un attore italiano.

Biografia 

La sua carriera artistica ha inizio in teatro, in cui si esibisce come attore brillante ma anche come tenore.
Dopo un lungo tirocinio in compagnie regionali e dopo un'esperienza in Argentina al seguito di una di queste compagnie, passa all'operetta e alla rivista e nel 1939 esordisce nel cinema con il divertente ruolo di un portalettere nel film Lo vedi come sei... lo vedi come sei? di Mario Mattòli, con Erminio Macario nel ruolo del protagonista. Nello stesso anno lavora con Assia Noris in Dora Nelson, una commedia del genere "telefoni bianchi". 

Il cinema 

Per tutti gli anni quaranta Campanini interpreta una lunga serie di pellicole, fino a dieci in un anno, caratterizzando talvolta con esuberanza caricaturale, talvolta con misura, personaggi di secondo piano ma sempre ben riconoscibili: di solito è il comprimario ingenuo, di buon cuore, un po' imbranato e stravagante.
Di questo periodo è da ricordare la sua interpretazione dello studente fuori corso in Addio giovinezza!, quella del bidello pasticcione, vittima degli scherzi delle studentesse in Ore 9: lezione di chimica, e i ruoli di "spalla" di Totò ne Il ratto delle Sabine e ne I due orfanelli, parodia del romanzo di D'Ennery e Cormon.
Esibisce la sua voce tenorile in La vita è bella, film di Carlo Ludovico Bragaglia in cui recita (e canta) al fianco di Alberto Rabagliati e Anna Magnani, e in teatro imita Oliver Hardy in coppia con Carlo Dapporto, che imita invece Stan Laurel.
Oltre che in commedie brillanti, Campanini recita anche in film drammatici: Le miserie del signor Travet (1945), il suo primo film da protagonista, e Il bandito (1946) in cui interpreta il ruolo del reduce amico di Amedeo Nazzari.

Con Walter Chiari 

Sul set de I cadetti di Guascogna (1950, regia di Mario Mattòli) lavora per la prima volta con Walter Chiari. Tra i due si sviluppa un felice sodalizio, che proseguirà anche in teatro e in televisione, in cui Campanini diviene la spalla di Chiari: l'imitazione dei fratelli De Rege (il cui famoso "Vieni avanti, cretino!" è rimasto ancor oggi nella memoria collettiva), poi lo sketch del "Sarchiapone", nato come breve intermezzo tra i numeri di avanspettacolo e dilatatosi successivamente fino a diventare un tormentone della durata di più di un'ora, riproposto in versioni sempre diverse e presentato più volte anche in televisione.
Negli anni cinquanta, Carlo Campanini continua a mietere consensi sia di pubblico che di critica, ma l'industria del cinema comincia a relegarlo sempre più in ruoli macchiettistici e in pellicole di genere, tra cui diversi musicarelli.


Sono stato uno dei primi che ha avuto le confidenze di Totò a proposito delle sue ricerche araldiche. È stato durante la lavorazione del Ratto delle Sabine in cui faceva il guitto che moriva di fame e faceva andare per le lunghe le prove perché nel frattempo era mantenuto con tutta la compagnia. Nella recita Totò fa il re e mi ricordo che finché eravamo lì che provavamo m'ha detto: "Ah Carle', io qui faccio per scherzo ma lo sono veramente!". lo che non ero al corrente di nullla sono rimasto un po', lo guardavo e pensavo: , "Sta raccontando una barzelletta". Dico: "Non ci credo". "Ma io sono veramente re", e il giorno dopo m'ha portato un malloppo di carte dell'ufficio della consulta araldica fiorentina e m'ha fatto vedere il papier secondo il quale era già barone. Non ho mai avuto il coraggio di chiamarlo principe, perché mi sembrava di pigliarlo in giro, capisco domani in società ci terrai, ma qui stiamo facendo i buffoni ... A questo proposito m'ha racccontato un bell'aneddoto. Dapporto va a trovarlo al Quattro Fontane, entra in camerino durante l'intervallo e gli fa: "Buongiorno, principe". "Ah, ma lo sai pure tu". "Sì - dice - guardi che lo sanno tutti". "Meno male che sono solo principe. Pensa, se ero re che sentivo un fetente che veniva a bussare: "S'accomodi, tocca a lei Altezza", sai sarebbe stata una cosa un po' troppo mortificante". Poi a poco a poco è entrato in possesso dei suoi titoli, era molto soddisfatto, era la sua vita, tanto è vero che io un giorno per scherzo ho detto: "Mi sembra che Totò viva in un giardino pieno di alberi genealogici", perché non parlava d'altro.

Carlo Campanini


Il recente ritorno di Totò in televisione con le trasmissioni di una serie dei suoi film « prima maniera », è stata senz’altro un’iniziativa positiva: è piaciuta alle persone, diciamo così, di mezza età, che hanno ricordato con quei film un periodo della loro vita, ma è stato gradito anche ai giovani che, nella comicità di Totò hanno trovato qualcosa di vivo e di reale.

Il primo film del ciclo è stato proprio « I due orfanelli », che ebbi il piacere di girare con Totò: i due orfanelli eravamo appunto lui ed io. Era un cosiddetto « film di recupero », in quanto erano in corso riprese di una pellicola in costume e, allo scopo di dimezzarne le spese, appena c’era un intervallo nella lavorazione, entravamo in scena noi due.

Io credo che il grande comico napoletano non sia mai stato sfruttato per il suo vero, grande valore. A volte, nella cinematografia di trent’anni orsono, si doveva fare tutto in fretta. Così Totò non sfuggiva alla regola. Soltanto la sua grande abilità consentiva un certo risultato perché chiaramente non era sorretto da soggetti adatti e tagliati a sua misura. Da ciò derivava il fatto che si ripetesse un po’ perché i copioni erano veramente banali.

Carlo Campanini, «A Totò», opuscolo "Premio De Curtis", Napoli, 1973


Un balbuziente fortunato

Ben Turpin, uno dei più noti comici delle vecchie farse cinematografiche di Mac Sennett, dovette il suo successo allo strabismo. Carlo Campanini, ottimo comico della nostra Rivista, lo deve alla balbuzie. Senonchè l’occhio storto di Ben è autentico e le impuntature verbarli di Carletto sono « fasulle». Sapete com’è: uno si fa crescere i baffi «tanto pe’ ffa’ ’na cosa» e poi la fidanzata o la moglie o l’amante gli dice che così sta meglio, che non c’è paragone, che sembra più maschio e i baffi rimangono anche quando cominciano a brizzolarsi (sono i primi a incanutire, accidenti e non si ha più il coraggio di raderseli e magari si tingono, ma non si tagliano). Altrettanto è successo per la balbuzie di Campanini; la ideò una sera, per combinazione, forse allo scopo di dar maggior risalto a battute che, altrimenti, sarebbero parse scialbe; ma piacque talmente che ormai, parafrasando la buon’anima di Giuseppe Giusti, si può dire che « Campanini sta su per la balbuzie e la balbuzie sta su per Campanini ». Col suo viso di pacioccone e il suo vocione da tenore mancato, Carletto ha la buffoneria facile e familiare, col sapore della marmellata fatta in casa, tutta frutta e zucchero. Ma un tale genere di confettura, se il bicarbonato non è in giuste dosi e la chiusura non è ermetica, corre il rischio di ammuffire, proprio per la sua schietta semplicità. Allora Carletto tira fuori la sua famosa ba-ba-balbuzie, si batte un paio di esasperate manate sulle cosce paffute e il pubblico va in visibilio. Ma anche lui è uno di quelli che la Decima Musa ha traviato. Troppi denari e troppo comodi sono quelli che offre il Cinema. Eppure, in un orecchio, Carletto, credici: meglio un Chi vuol esser lieto sia che non dieci Cadetti di Guascogna. Per noi e per te.

Dino Falconi e Angelo Frattini


La televisione 

Trova così maggiore spazio nel nascente mezzo televisivo, sia come attore di commedie, sia come interprete di sketch in coppia con Walter Chiari, nella riproposta di situazioni e personaggi già felicemente sperimentati in teatro. Non mancano le partecipazioni agli spot di Carosello, in cui Campanini interpreta con Pina Renzi la coppia "Adalgisa e Gustavino" nella pubblicità di un'azienda vinicola, e il ruolo di primo testimonial di un celebre amaro "contro il logorio della vita moderna", ruolo che in seguito sarà affidato a Ferruccio De Ceresa e infine a Ernesto Calindri.
Come interprete di sceneggiati televisivi è apparso nel 1959 ne Il romanzo di un maestro, diretto da Mario Landi.
Negli anni sessanta gli impegni cinematografici si fanno più rari e Campanini si dedica alla gestione di una compagnia teatrale piemontese, fino al definitivo ritiro nel 1981.

Padre Pio 

Cruciale, nella vita privata di Carlo Campanini, fu il percorso di fede compiuto con Padre Pio da Pietrelcina, che divenne per lui un riferimento morale e spirituale. 

Chi non ricorda il sarchiapone?

Era il misterioso animale immaginario protagonista dello sketch di Walter Chiari e Carlo Campanini, divenuti famosi come coppia comica dopo aver riproposto la scenetta dei fratelli Guido e Ciccio De Rege Vieni avanti, cretino! E invece poco risaputo che Sarchiapone era il nome di un personaggio comico dell’opera sacra del 1698 Cantata dei pastori, per la precisione un barbiere costretto alla fuga per aver commesso due omicidi. Ma nello stesso modo si chiama anche un cavallo cui Totò dedicò la poesia Sarchiapone e Ludovico, contenuta nella raccolta ’A livella («Teneva diciott’anne Sarchiapone, era stato cavallo ammartenato, ma... ogne bella scarpa nu scarpone addeventa c’ ’o tiempo e cu l'età [...]»).
Anche lo sketch del sarchiapone, cosi come quello del wagon-lit di Totò, era in origine un semplice canovaccio della durata di pochi minuti poi dilatatosi a un’ora abbondante. Si svolgeva in uno scompartimento ferroviario piuttosto affollato dove il passeggero/Campanini entrava reggendo una gabbietta coperta da un telo, nella quale, diceva, c’era un sarchiapone americano da cui millantava di essere stato morsicato.

Il passeggero/Chiari fingeva a sua volta di sapere benissimo cosa fosse un sarchiapone americano, e imbastiva con Campanini un’assurda conversazione sull’animale sparandone a casaccio un particolare o un’abitudine, nel tentativo di capire di cosa diavolo si trattasse. E poiché il sarchiapone veniva descritto con caratteristiche via via più orrende e spaventose, i passeggeri piano piano abbandonavano lo scompartimento. Alla fine Walter Chiari chiedeva nervoso di vedere quella strana bestia, e l’altro gli rivelava che era un animale inventato, da lui usato come spauracchio per spaventare la gente e poter quindi viaggiare da solo.

Campanini, che aveva esordito in teatro come attore brillante, oltre a I due orfanelli girò con Totò II ratto delle Sabine, I pompieri di Viggiù, Totò terzo uomo, Sette ore di guai, Un turco napoletano e II piti comico spettacolo del mondo. Più volte prese parte alle registrazioni di commedie per la televisione, oltre che di sketch con Walter Chiari. Partecipò anche a delle pubblicità per Carosello: in coppia con Pina Renzi, Adalgisa e Gustavino per una casa vinicola; da solo, quella del Cynar, più tardi affidata a Ferruccio De Ceresa ed Ernesto Calindri.

Fondò una compagnia teatrale in Piemonte negli anni Sessanta, per poi ritirarsi definitivamente dalle scene nel 1981, tre anni prima della morte.

Valentina Pattavina


Galleria fotografica e stampa dell'epoca

Carlo Campanini, un comico di prim’ordine e supererà la fama di... Ha fatto il nome di due o tre grossi attori di cinema e cosi gli abbiamo creduto volentieri. Quando poi abbiamo visto Carlo Campanini lo abbiamo pregato di raccontarci brevemente e senza balbettare, la storia della sua vita. Di buon grado e con dizione perfetta, Campanini ha cominciato a raccontare. E' un giovanotto di trentatrè anni, di temperamento giocondo, non molto alto, cordiale e semplice. In «Dora Nelson» per essere più nel personaggio dell'ottico balbuziente, ha inforcato un paio occhiali da otto diottrie.

— Un tormento, portare occhiali che mi accecavano per tutto il giorno. Ma credo che solo così sono stato sinceramente miope. Come ho cominciato a fare l'attore? Studiavo per mio conto da baritono a Torino, mia città natale. Mi dissero che Casaleggio stava formando una compagnia per andare in America e mi presentai per essere «sentito». — Mi dispiace — disse Casaleggio, dopo avermi benevolmente ascoltato. Avete una bella voce, ma a noi occorre un tenore! — Pensate un po’. Oggi, a distanza di sette anni da quella prova memorabile, studio regolarmente canto, con la famosa Maestra Starna, ma non più da baritono. Sono diventato tenore e, per di più, lirico! Chissà che non mi ascolterete presto, a meno che il cinema non mi conquisti definitivamente.

— E Casaleggio?

— Subito dopo il giudizio sfavorevole del grande comico piemontese, gli chiesi di poter dire un mio monologo. Il successo fu talmente pieno che Casaleggio mi portò con la compagnia. Sette mesi di trionfi in America.

— Che monologo?

— Un balbuziente, ma non di quelli che balbettano ripetendo due o tre volte l'inizio di una parola. Insomma non un balbuziente labiale, ma tracheale, una vera terribile balbuzie, che viene dallo stomaco, una balbuzie integrale per la quale non esistono rimedi.

— Ma da chi vi siete ispirato?

— Da un ragazzo che m'aiutava nel periodo in cui facevo l'aggiustatore meccanico alla Fiat. Dicevo al ragazzo : «Portami un calibro 28». Il ragazzo stralunava gli occhi, inghiottiva saliva e dopo un indi, cibile sforzo riusciva ad articolare: «Quale calibro, Mauser?». Mi faceva dapprincipio una grande pena, mentre vedevo che tutti i miei compagni si smascellavano dalle risa. Poi cominciai a studiarlo e mi sorprendevo dopo qualche ora di lavoro, a fare la sua imitazione. E' un sentimento irresistibile. Col passare degli anni ho conosciuto ormai alla perfezione il difetto del ragazzo e, visto il successo che suscitava la sua infelice imperfezione, mi sono deciso a creare un breve monologo che recitavo agli amici, la domenica. Quel monologo che mi fruttò la scrittura per l'America. Poi, venne un lungo periodo di varietà. Fondai una compagnia. Il tipo del balbuziente aveva fatto la mia fortuna e in fondo gli ero affezionato, soprattutto perchè si staccava da ogni altro tipo del genere. Le vecchie farse col tipo di balbuziente che deve cantare per comunicare all'amico che la sua casa è bruciata e che sua figlia è andata sotto il tram, erano superate. In Francia, durante un lungo periodo, oltre alle mie macchiette, feci un'imitazione di Stan Laurei. Inoltre, volli cantare. Ma mi accorsi che la voce non era più quella di una volta e la mia sorpresa fu immensa quando, la stessa prima sera, venne nel mio camerino un signore a offrirmi una borsa di studio per perfezionarmi nel canto. Ecco perchè, come ho detto, oggi studio da tenore.

— Ma continuerete il vostro « tipo » ?

— Certamente. Nel cinema, anzi, voglio svilupparlo.

— In confidenza, ditemi come fate e in che consiste questa vostra balbuzie integrale.

— E' semplicissimo. La mia canna dell'esofago, invece di essere diritta e cilindriforme come la vostra, è fatta a serpentina. La parola deve fare tanti giri e, arrivata all'ultima curva, si ferma. E deve aspettare la spinta di un’altra parola per poter uscire.

Infatti è semplicissimo. Provate un po'.

B. L. R., «Film», 25 novembre 1939


«Film», 31 maggio 1941 - Tre in uno: Carlo Campanini


«L'Ora», 17 gennaio 1942


«Tempo», 10 dicembre 1942


E' sullo schermo il rappresentante della bonomìa, ma guai se diventa tre volte buono ! Piglia dirizzoni, puerilizza, lezioseggia, sino alla nausea. Pochi giorni or sono, lo sentivo campanineggiare alla radio, innanzi ad un pubblico immediato di soldati. Squisito come il più squisito uomo di palcoscenico, per misura, brio, varietà, dolcezza ! « E' questo — mi chiedevo — lo stesso Campanini che ho più volte sentito fare il tonto con le eccessività e i mezzucci d'un guitto? E' questo lo stesso uomo che sullo schermo ho sentito in due o tre film farseggiare grossolanamente attraverso un monotono balbettìo? ».

Il balbettìo uniforme, cui ricorreva, o l'avevan fatto ricorrere, come ad un presunto irresistibile solletico del pubblico filmistico, era quello assai comune che intoppa sui » che », e i toscani chiamano « scheccherare ». Immaginatevi che allegria un melenso scheccherante, che. per un ora e mezza, continui a ciancicare a quel modo le parole della sua sentimentale melensaggine !

Questo vi dica quanto, alle volte, il mondo del cinema sia a corto di fantasia. Anche in quel balbettamento, in quel mezzuccio da farsa e da guitto, ci sarebbe stato il modo d essere vario ed irresistibile, per una comicità vera. Ci sono balbettìi complicati da qualche piccolo e insidioso e tremendo tic, che parrebbero tragedie, massime nel magnificato realismo del cinema.

Il difetto era proprio nel manico: nella grossolanità di chi dirige accontentandosi di tutto e sostituendo troppo volentieri al comico il farsistico ed al farsistico pepato il puerile e l'approssimativo. Se alla bonomìa sfiaccolata e sentimentale d un attore come il Campanini serbate un tantino di misura e di tono, ne potete far sempre qualcosa di squisito. Quel che la caratterizza di parte in parte è una sfumatura che bisogna darsi la pena di trovare e di fissare: ma se non volete o non sapete fare questa fatica, l'attore è troppo pigro per farla lui e darà facilmente nello sguaiato.

Ho l'impressione che. a differenza dei molti attori filmistici cui il teatro non affiderebbe neanche l'infima tra le sue porticine, il Campanini sia un attore squisitamente teatrale nel senso e nelle esigenze di quelle corresponsabilità delicate, di quelle proporzionali sfumature. di quel caratteristico che la scena teatrale impone di volta in volta, e la filmistica ignora del tutto, quando le manchi ogni artistica sensibilità.

Il tipo del ragazzone dolce-pigro, patetico, ciondolone. che il Campanini rappresenta, si presta, evidentemente, a tenui sfaccettature, a contingenti caratterizzazioni. a mille spiritose individualizzazioni Trovato per lo schermo un tipo, una maschera universale, il problema è precisamente quello delle caratterizzazioni del tipo, certo meno impegnative e più superficiali che al teatro, ma, appunto per questo, varie, dilettose, inventive. inesauribili. Si tratta di sfaccettare il tipo Campanini con brillante leggerezza : non. al contrario, di grossolanizzarlo sempre più, fino a farne un ciocco di grasso, sbadigliante e balbettante.

Che. nel cinema, il Campanini ormai debba campanineggiare, si capisce: ma campanineggi almeno con finezza e con un sempre vigile senso d'artistica responsabilità.

Eugenio Giovannetti, «Si gira!», aprile 1943


«Epoca», 1953 - Walter Chiari e Carlo Campanini


La nuova compagnia progettata da Walter, per la quale stenderà egli stesso il copione

SIM, «Il Piccolo di Trieste», 17 maggio 1955


Campanini: «mi ricordo che Totò...»

TORINO — Carlo Campanini, 73 anni appena compiuti, toma con la memoria sul set di Il ratto delle Sabine, Roma 1945. «Totò era proprio scocciato. Mi disse sottovoce: "Questi scherzano, ma io, maestà lo sono veramente! E domani ti faccio vedere...". Mi portò gli incartamenti araldici: aveva fatto tutta la trafila, marchese conte principe...». Durante una scena del film che vedremo stasera in Tv, Totò, capocomico di una compagnia di guitti affamati, mette in scena (per sopravvivere) un dramma in versi, li ratto delle Sabine, opera del professore del paese, che è Carlo Campanini. A Totò spetta il ruolo del re; la gente, anche sul set, si diverte, ma l'attore, geloso del suo sangue blu, s’inquieta.

Da una commedia recitata in teatro da Angelo Musco, il regista Mario Bonnard («bravo ma pigro. Diceva «Fai tu, Carlino...») ricavò in fretta un film comico. «Girammo nel teatrino di via degli Avignonesi. Proprio li, Rossellini vi stava girando, a pezzi e bocconi, Roma città aperta. Io intanto facevo contemporaneamente con Soldati Le miserie del signor Travet. Per il film con Totò ebbi 200 mila lire: tante, uno sproposito...».

Ora recita in un altro teatrino, la sala Gobetti da Torino. Recita in piemontese Paletto Gioanin, americano ’d Mongardin a fianco di un giovane e dotato comico torinese, Franco Barbero. Fanno coppia da cinque anni, nove commedie rappresentate a teatri, esauriti, storie subalpine di ruspante fragranza comico-sentimentale.

In questo stesso teatrino, 300 posti al primo piano di via Rossini, sotto la Mole, nacque nel ’55 con Nico Pepe lo Stabile torinese, De Bosio vi allestì i primi Ruzante, Moravia (Il mondo è quello che è) e Natalia Ginzburg (Ti ho sposato per allegria) vi presentarono le loro novità di teatro. Campanini sorride: «E proprio qui ho studiato corno. Nel ’24, per tre mesi. Poi mi misi a cantare. Intanto lavoravo in una fabbrica di molle e come compagno di tornio avevo un giovanotto balbuziente. Mi presentai a un impresario come baritono e venni assunto come comico, grazie all’imitazione del balbuziente. Andammo in America. Ho cominciato così. Sono nato a Torino, povero, in via Principe Amedeo, quartiere allora malfamato per via delle case chiuse. Mio padre era tranviere e morì giovane: dovetti arrangiarmi...».

— Ancora Totò. Eravate amici?

«Abbiamo fatto tanti film insieme, I due orfanelli resta il migliore. Fuori lavoro, Totò non frequentava nessuno. Ma era buono, aiutava gli attori sfortunati pagando affitti e conti in trattoria senza dirlo in giro. E si innamorava spesso. La Pampanini? Beh si, l’aveva corteggiata. Magari s’era illuso. Lei gli disse durante 47 morto che parla che lo considerava solo un padre, un fratello. E Totò, in uno sfoga notturno, scrisse Malafemmena».

— E quante volte lei ha dato del cretino a Walter Chiari?

«Centinaia... Vieni avanti, cretino. E venivano anche gli applausi. L'imitazione dei fratelli De Rege ci ha dato successo e lavoro. In Australia non sapevano dell'esistenza dei De Rege e attribuirono a noi l’invenzione dei personaggi...-.

— E i suoi film?

«Più di 100. Ora li trasmettono alle Tv private e la gente mi riconosce per strada. Anche perché ho messo in testa un po’ di Brill (e si passa la mano nel capelli diventati scuri per esigenze di copione). Per il ruolo di Leone in Addio giovinezza c’erano quattro candidati: Nino Besozzi, Umberto Melnati, Paolo Stoppa e Carlo Romano. Scelsero me, che venivo dall'avanspettacolo...».

— Ha recitato accanto a Totò, Macario, Chiari: si considera una buona «spalla»?

«Non direi "spalla": sono un caratterista che recita in coppia. Ma la coppia è sempre esistita, nel teatro comico.

—Si sente in debito o in credito con la vita?

«Scherza? Meglio di cosi non poteva andare. Ho quattro figli e cinque nipoti. Recito da mezzo secolo, sono in pensione da 13 anni ma continuo a lavorare. Un solo, grandissimo dolore, la scomparsa di mia moglie. Una grande fortuna, l’incontro con Padre Pio e la mia conversione. Ecco come passo il mio tempo libero, parlando al prossimo di Padre Pio. Non una conferenza, ma una confessione».

La voce gli si incrina di commozione. Poi si spande il cerone sul volto, un po’ di rossetto sulle guance e entra in scena. Lo accoglie il tradizionale applauso di sortita. Succede cosi da mezzo secolo

Dino Tedesco, «Corriere della Sera», 19 ottobre 1979


«L'Unità», 19 settembre 1981


Così si era definito egli stesso, con la sua proverbiale modestia - Dall'esordio con Monssù Travet ai film e alle gag con Walter Chiari

o. g., «La Stampa», 22 novembre 1984


Una "spalla" che cantò al Regio Carlo Campanini

p. per., «Stampa Sera», 22 novembre 1984


Campanini, il comico umile

ROMA — (ANSA) L’attore Carlo Campanini si è spento l'altra notte nella sua casa di Roma, stroncato da un infarto, all'età di 78 anni. Era nato a Torino nel 1908, e si era dedicato al teatro, ul cinema e alla televisione per cinquantusei anni. Lascia quattro figli, Maria Pio, Grazia. Nuto e Claudio. I funerali si sono svolti ieri mattina.

Da tre anni, da quando cioè si era ritirato definitivamente dalla scena, non si era più sentito parlare di lui: perchè Carlo Campanini non era un «personaggio», non era una di quelle presenze destinate a lasciare una traccia indelebile: la sua vita era tutta in palcoscenico, la sua personalità si esprimeva compiutamente in quell'artigianato comico umile e puntuale, sommesso e precisissimo che è il tratto più prezioso del caratterista, della buona «spalla».

R.P., «Corriere della Sera», 22 novembre 1984


«Il Piccolo», 22 novembre 1984



Filmografia

Lo vedi come sei?, regia di Mario Mattoli (1939)
Addio giovinezza!, regia di Ferdinando Maria Poggioli (1940)
La danza dei milioni, regia di Camillo Mastrocinque (1940)
La granduchessa si diverte, regia di Giacomo Gentilomo (1940)
La zia smemorata, regia di Ladislao Vajda (1940)
Violette nei capelli, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1941)
Con le donne non si scherza, regia di Giorgio Simonelli (1941)
Voglio vivere così, regia di Mario Mattoli (1942)
Margherita fra i tre, regia di Ivo Perilli (1942)
Soltanto un bacio, regia di Giorgio Simonelli (1942)
Catene invisibili, regia di Mario Mattoli (1942)
Labbra serrate, regia di Mario Mattoli (1942)
La vita è bella, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1943)
Buongiorno, Madrid! , regia di Gian Maria Cominetti (1943)
Ho tanta voglia di cantare, regia di Mario Mattoli (1943)
Il ratto delle Sabine, regia di Mario Bonnard (1945)
Circo equestre Za-bum, regia di Mario Mattoli (1945)
Pronto, chi parla?, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1945)
Chi l'ha visto?, regia di Goffredo Alessandrini (1945)
Le modelle di via Margutta, regia di Giuseppe Maria Scotese (1946)
La primula bianca, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1946)
Partenza ore 7, regia di Mario Mattoli (1946)
Il bandito, regia di Alberto Lattuada (1946)
Albergo Luna, camera 34, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1946)
I due orfanelli, regia di Mario Mattoli (1947)
Come persi la guerra, regia di Carlo Borghesio (1947)
L'isola del sogno, regia di Ernesto Remani (1947)
Undici uomini e un pallone, regia di Giorgio Simonelli (1948)
I peggiori anni della nostra vita, regia di Mario Amendola (1949)
Al diavolo la celebrità, regia di Mario Monicelli e Steno (1949)
La fiamma che non si spegne, regia di Vittorio Cottafavi (1949)
Follie per l'opera, regia di Mario Costa (1949)
I pompieri di Viggiù, regia Mario Mattoli (1949)
La bisarca, regia di Giorgio Simonelli (1950)
Miss Italia, regia di Duilio Coletti (1950)
Vendetta... sarda, regia di Mario Mattoli (1951)
Totò terzo uomo, regia Mario Mattoli (1951)
O.K. Nerone, regia di Mario Mattoli (1951)
Sette ore di guai, regia Vittorio Metz, Marcello Marchesi (1951)
Il padrone del vapore, regia di Mario Mattoli (1951)
Anema e core, regia di Mario Mattoli (1951)
Noi due soli, regia di Marcello Marchesi, Vittorio Metz e Marino Girolami (1952)
Era lei che lo voleva, regia di Marino Girolami e Giorgio Simonelli (1952)
Un turco napoletano, regia di Mario Mattoli (1953)
Se vincessi cento milioni, regia di Carlo Campogalliani e Carlo Moscovini - episodio "Il pensionato" (1953)
Il più comico spettacolo del mondo, regia Mario Mattoli (1953)
Le avventure di Giacomo Casanova, regia di Steno (1954)
Siamo tutti milanesi, regia di Mario Landi (1954)
Milanesi a Napoli, regia di Enzo Di Gianni (1955)
I giorni più belli, regia di Mario Mattoli (1956)
L'amore nasce a Roma, regia di Mario Amendola (1958)
Simpatico mascalzone, regia di Mario Amendola (1959)
Psicanalista per signora (Le confident de ces dames), regia di Jean Boyer (1959)
Agosto, donne mie non vi conosco, regia di Guido Malatesta (1959)
Obiettivo ragazze , regia di Mario Mattoli (1961)
Uno strano tipo, regia di Lucio Fulci (1963)
Il terribile ispettore, regia di Mario Amendola (1969)


Riferimenti e bibliografie:
  • Dino Falconi - Angelo Frattini in "Guida alla rivista e all'operetta", Casa Editrice Accademia, 1953
  • Valentina Pattavina in "Non principe ma imperatore", Einaudi, 2008
  • (EN) Carlo Campanini, su Internet Movie Database, IMDb.com
  • (EN) Carlo Campanini, su AllMovie, All Media Network
  • (DE, EN) Carlo Campanini, su filmportal.de

Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:

  • B. L. R., «Film», 25 novembre 1939
  • «Film», 31 maggio 1941
  • «L'Ora», 17 gennaio 1942
  • «Tempo», 10 dicembre 1942
  • Eugenio Giovannetti, «Si gira!», aprile 1943
  • «Epoca», 1953
  • SIM, «Il Piccolo di Trieste», 17 maggio 1955
  • Dino Tedesco, «Corriere della Sera», 19 ottobre 1979
  • «L'Unità», 19 settembre 1981
  • o. g., «La Stampa», 22 novembre 1984
  • p. per., «Stampa Sera», 22 novembre 1984
  • R.P., «Corriere della Sera», 22 novembre 1984
  • «Il Piccolo», 22 novembre 1984