Letto a tre piazze
Antonio Di Cosimo
Inizio riprese: aprile 1960, Studi Cinecittà, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 20 luglio 1960 - Incasso lire 458.495.000 - Spettatori 2.676.093
Titolo originale Letto a tre piazze
Paese Italia - Anno 1960 - Durata 105’ - B/N - Audio sonoro - Genere commedia - Regia Steno - Soggetto Lucio Fulci, Bruno Baratti, Vittorio Vighi - Sceneggiatura Alessandro Continenza, Steno, Lucio Fulci, Bruno Baratti, Vittorio Vighi - Fotografia Alvaro Mancori - Montaggio Giuliana Attenni - Musiche Carlo Rustichelli
Totò: Antonio Di Cosimo - Peppino De Filippo: Prof. Peppino Castagnano - Nadia Gray: Amalia - Cristina Gaioni: Prassede, la cameriera - Aroldo Tieri: Avv. Vacchi - Gabriele Tinti: Nino, il fidanzato di Prassede - Angela Luce: la soubrette Janette - Mario Castellani: il preside - Luciano Bonanni: tassista - Riccardo Ferri - Bruno Scipioni: il cameriere - Nico Pepe: il direttore dell'albergo - Cesare Fantoni: Don Ignazio - Paolo Ferrara: il commissario
Soggetto
Roma, inizio degli anni sessanta. Giuseppe Castagnano, stimato professore di lettere, è felicemente sposato con Amalia da dieci anni e proprio durante i festeggiamenti dell'anniversario riappare Antonio Di Cosimo, il primo marito di Amalia, disperso in Russia durante la guerra e creduto morto da ormai vent'anni. Dopo un tentativo di un'assurda vita coniugale a tre, la situazione fa precipitare il solido rapporto tra Peppino e Amalia: così i due mariti, su consiglio anche di Don Ignazio, parroco di fiducia di Amalia, sono costretti a convincere la donna che la situazione può essere risolta solo se lei effettuerà una scelta in favore di uno dei due.
Comincia pertanto una divertente "sfida" tra i due mariti che cercano di screditarsi a vicenda al fine di convincere Amalia che l'altro marito è un fedifrago e poco di buono. Alla fine Amalia, disperata per i continui litigi tra Antonio e Peppino, decide di andare in crociera alle Isole Canarie con l'avvocato Vacchi, da sempre innamorato di Amalia. Antonio e Peppino cercano di raggiungerla, ma il loro aereo precipita e i due vengono considerati dispersi. Sette anni dopo si ripresentano, vivi e vegeti, il giorno dell'anniversario di matrimonio di Amalia con il suo ex-avvocato e nuovo marito.
Critica e curiosità
📜 Da “Napoli milionaria” a “Totò tovarich” passando per Stalin e i letti condivisi
Il film “Letto a tre piazze” (1959) nasce sotto il segno della confusione d’identità: già il titolo provvisorio, “Totò tovarich”, ci fa intendere che ci sarà un pizzico di esotismo da guerra fredda, anche se l’unico russo che compare davvero è… appeso al muro sotto forma di quadro di Stalin. La pellicola, diretta da Steno (vero nome: Stefano Vanzina, quello che riusciva a infilare un Totò pure nei sogni del censore), trae ispirazione da un fatto reale: l’imbarazzante ritorno a casa di reduci dati per morti in Russia durante la guerra, che trovavano mogli risposate, figli cresciuti e magari pure mobili nuovi.
Se vi pare tragico, tranquilli: Steno butta tutto in farsa, e con lui anche Lucio Fulci, Bruno Baratti e Vittorio Vighi, autori di un soggetto che più che un copione sembra una scusa per mettere Totò e Peppino a dormire insieme.
👥 Totò e Peppino, il letto e le tre piazze
Non è uno scherzo da caserma: il letto a tre piazze è sia metafora matrimoniale che campo di battaglia comico. Totò interpreta il reduce Totò Scaparro, Peppino De Filippo è il nuovo marito della moglie del reduce, e la moglie è la splendida Amalia Castagnano, interpretata da Nadia Gray (doppiata a tratti dalla bravissima Rosetta Calavetta, e a tratti da… qualcun’altra). Nella mischia entra anche Aroldo Tieri, avvocato e terzo pretendente, innamorato e ridicolo come gli altri due. Manca solo un arbitro per la partita.
💥 Dalla commedia alla pochade: la caduta nel lazzo
Il tono inizialmente vorrebbe essere quello della commedia neorealista travestita da burletta, ma ben presto Letto a tre piazze sprofonda nella farsa da rivista, tra barzellette animate e sketch “recuperati” da altre pellicole.
E qui casca l’asino – o meglio, dorme Totò. La scena madre – e sì, diciamolo, la più memorabile – è proprio quella del letto condiviso tra Totò e Peppino, una variazione sul tema del wagon-lit già visto in Totò a colori, Totò a Parigi e Totò e Peppino divisi a Berlino. Lì, Totò diventa un’arma di distruzione notturna: russa, suda, sbraita, comanda. L’immagine del quadro di Stalin appeso in camera è il colpo da maestro: il comunismo in camera da letto, letteralmente. Il sonno della ragione, più che generare mostri, genera starnuti.
🗣️ L’arte dello sproloquio: Totò e l’anarchia linguistica
Come da tradizione, Totò dà il meglio nei lazzi linguistici, che qui toccano vette sublime di nonsense aristotelico:
- “Biga” per “bigama”
- “Io sono un eroe. S’informi”
- “Frigorifero” per “fedigrafo”
- “Siamo in Avaria” inteso come “Stiamo arrivando da Maria”
- “Cum summa iniuria” per “l’avevo preso per siculo”
- “Mettere i tubi” al posto di “mettere i dubbi”
- “Alito” per “alibi”
- “Rato ma non consumato” che diventa “si può consumare a rate”
Ogni parola è un'esplosione semantica, ogni battuta una bomba ad orologeria comica.
🎤 Il tabarin, il prete e la censura
C’è anche Angela Luce che si esibisce in un numero ritenuto “troppo spinto” dalla censura ministeriale (per fortuna il taglio di qualche metro di pellicola salva il film dal divieto ai minori di 16 anni).
Il prete Don Ignazio, interpretato da Cesare Fantoni, è un riciclo – voluto – da I tartassati, sempre di Steno, e serve da deus ex machina clericale per sciogliere i nodi matrimoniali in salsa cattolica. Totò, nell’ennesimo lampo di genialità surreale, lo promuove:
“Bravo Don Ignazio! Lei farà carriera. La faranno... capitano.”
🎓 Scuola di Totò: la lezione di Mario Castellani
Bella anche la scena con Mario Castellani, ambientata in un’aula scolastica che richiama i toni grotteschi e semiseri di Totò cerca casa: la comicità si fa più morbida, quasi educativa, in senso comico-pedagogico, e riesce ad alzare la media di un film che, nel frattempo, sprofonda nei luoghi comuni.
⚖️ Adulterio, bianco per finta e rosso per davvero
Il tema dell’adulterio aleggia su tutto il film. Ma attenzione: siamo nel 1960, e la Corte Costituzionale ancora non ha stabilito che l’adulterio del marito sia punibile. Risultato? Per scansare problemi con la censura (sia statale che cattolica), si inventa la genialata del “matrimonio bianco”: Totò fu arrestato dai fascisti prima della prima notte di nozze, e quindi... tutto lecito! (Né carne né pesce, né letto né piazza).
🎭 Improvvisazione e caos creativo
Steno lascia praticamente campo libero a Totò e Peppino. Il film è mezzo doppiato, mezzo in presa diretta, mezzo scritto, mezzo improvvisato. Il risultato? Un film interamente schizzato, con un ritmo tutto suo, sbilenco, da macchietta teatrale. Alcune scene sembrano sketch buttati lì, come in una serata di rivista in crisi d’ispirazione, ma la chimica tra Totò e Peppino, a tratti, salva tutto.
🏆 Ulivi d’oro e consensi agrodolci
Nonostante i limiti evidenti – sceneggiatura debole, regia frettolosa, ritmo diseguale – il film conquista un piccolo riconoscimento: l’Ulivo d’oro al Festival di Bordighera del 1960. Sarà pure un premio minore, ma è il giusto epilogo di una pellicola che – tra sbadigli, lazzi e dormite collettive – sa far ridere di cuore anche nel momento in cui ci si chiede: “Ma sto film, l’ho già visto o l’ho sognato?”
📌 Conclusione: tra sogno comico e farsa sonnambula
Letto a tre piazze è una pellicola imperfetta, ma irresistibilmente umana, dove la guerra, l’adulterio, il ritorno dei morti e la gelosia coniugale diventano pretesti per il solito carosello verbale e gestuale di Totò. Non è tra i suoi capolavori, ma è un manuale di sopravvivenza comica in tre atti e un materasso, condita con l’ironia sgangherata e folgorante di chi, pur nel caos, sa ancora farci ridere “cum summa iniuria”.
Le scene più memorabili di Letto a tre piazze, analizzate con spirito critico, occhi lucidi per il riso e orecchie attente ai lazzi di Totò.
🛌 La celebre scena del letto condiviso tra Totò e Peppino
È senza dubbio la sequenza clou del film, quella che da sola varrebbe il biglietto. Totò, nei panni del reduce Antonio Di Cosimo, è costretto a condividere il letto con l’attuale marito di sua moglie, interpretato da Peppino De Filippo, nel cuore della notte e nel mezzo di una situazione che gronda imbarazzo da ogni lenzuolo.
Totò russa, si agita, suda, invade lo spazio vitale dell'altro come una potenza ostile. Peppino è la vittima perfetta, passivo e rassegnato, quasi un martire del focolare, o meglio, del materasso.
Questa “notte di follia a due piazze (più una)” è una variazione farsesca del tema già sviluppato in “Totò a colori” (nel celebre wagon-lit), e poi ripreso in “Totò e Peppino divisi a Berlino”: l’idea della condivisione forzata di un letto come metafora del caos coniugale e della convivenza impossibile tra due “maschi alfa”, entrambi innamorati della stessa donna, entrambi ridicoli nelle loro pretese di virilità.
L’umorismo nasce da un continuo crescendo comico:
- Totò si appropria dello spazio letto con prepotenza animalesca.
- Le battute si fanno sempre più surreali (“Questa non è una camera, è una trincea!”).
- Il dettaglio del quadro di Stalin appeso al muro dà un tocco politico-grottesco da antologia.
È la farsa trasformata in teatro dell’assurdo domestico, ed è qui che Totò, anche con un testo traballante, tira fuori l’asso nella manica: la gestualità millimetrica e il ritmo comico demolitore.
🎭 La scena del tabarin: Totò nella bolgia del varietà
Come accade in altri suoi film (Una di quelle, Totò e le donne), anche qui Totò si ritrova in un tabarin, luogo di luci soffuse, paillettes, frasi malintese e donne di dubbia virtù ma certissimo fascino. La sequenza è meno lunga di altre simili, ma rappresenta comunque una tappa obbligata nella topografia totiana: il tabarin è un microcosmo comico, dove ogni gesto diventa caricatura, ogni sguardo equivoco, ogni parola una trappola linguistica.
Il momento clou? Totò che fraintende, interpreta a modo suo, e si lancia in corteggiamenti grotteschi con un’aria da dandy decaduto, un Don Giovanni con la dislessia erotica.
Nonostante le scivolate nel cabaret facilone, la scena funziona grazie all’alchimia tra attori e all’uso sapiente dei tempi comici, orchestrati tra corpo, parole, sguardi e imbarazzi.
📚 La scena scolastica con Mario Castellani
Una piccola perla, quasi un cammeo comico, in cui Totò si ritrova in un’aula scolastica, accanto a Mario Castellani, spalla eterna, qui nel ruolo del maestrino o dell’autorità. La scena evoca i toni di Totò cerca casa, con un registro più garbato e ironico, e un bersaglio chiaro: la burocrazia, la rigidità del sapere, il latino maccheronico.
Totò scambia presbite per preside, callifuga per calligrafica, e da lì parte una mitragliata di strafalcioni.
Qui si ride più per l’assurdità logica che per la situazione farsesca: è una scena che dimostra come la comicità linguistica di Totò sia intramontabile, più viva di mille gag fisiche. La scuola, invece di insegnare, viene travolta da un’ondata di ignoranza illuminata, com’è tipico del Totò-filosofo.
🎙️ Angela Luce e la canzone censurata
Anche se breve, la scena dell’esibizione canora e sensuale di Angela Luce è memorabile per un altro motivo: la censura. La sua interpretazione, ritenuta troppo audace per l’epoca, fu accorciata di qualche metro di pellicola per permettere al film di ottenere un visto anche per i minori di 16 anni.
Questa scena, apparentemente innocua per gli standard odierni, diventa emblematica della moralità a geometria variabile del dopoguerra italiano: si può ridere dell’adulterio, ma non mostrare una coscia.
🕵️♂️ Il colloquio con il prete Don Ignazio
Il personaggio di Don Ignazio, già apparso ne I tartassati, è qui recuperato da Steno come figura di mediazione nel ginepraio matrimoniale. La scena non ha nulla di particolarmente dinamico, ma il dialogo tra Totò e il prete culmina in una battuta fulminante:
“Bravo Don Ignazio, lei farà carriera. La faranno capitano.”
È un esempio perfetto di nonsense logico che si finge elogio, e riassume lo stile totiano: travestire l’assurdo da logica ferrea, lasciando l’interlocutore in balia del dubbio.
💑 Il matrimonio bianco e il groviglio sentimentale
La scena della “spiegazione” sul matrimonio mai consumato è un capolavoro di equilibrismo morale. Totò racconta di essere stato arrestato dai fascisti prima della prima notte di nozze, salvando così la reputazione della moglie... e quella del film. Il tutto è trattato con quella leggerezza surreale tipica della farsa, ma dietro il gioco si intravede il problema sociale: i traumi postbellici, il ritorno alla normalità, l’ipocrisia della morale borghese.
💘 Il triangolo (anzi quadrato) amoroso: Tieri, Totò, Peppino e Nadia Gray
Le scene che coinvolgono Aroldo Tieri, nel ruolo dell’avvocato Vacchi, aggiungono un tocco di satira sull’amore da salotto buono. Il suo personaggio – impettito, impacciato, intellettualoide – è un terzo incomodo caricaturale, ma perfetto per completare il quadrilatero amoroso.
Le sequenze tra Tieri e Nadia Gray sono meno comiche, ma funzionali a creare una cornice da commedia brillante, quasi boulevardier, intorno al duo scatenato Totò-Peppino.
📽️ Totò improvvisatore: le scene non scritte
Un ultimo cenno va a tutte quelle scene improvvisate, in cui Totò e Peppino escono dalla sceneggiatura e si lasciano trascinare dall’istinto teatrale e dal fiuto comico. Sono dialoghi spesso scollegati dalla trama, ma pieni di vitalità, di trovate impreviste, di lapsus voluti. Qui non c’è una scena specifica, ma un mosaico di momenti, che rendono il film un’opera a metà tra cinema e teatro d’avanspettacolo filmato.
🎬 Conclusione: la memoria di un film fatto di scene, non di storia
In definitiva, le scene memorabili di “Letto a tre piazze” sono proprio quelle in cui la storia si dimentica di sé stessa, e lascia il palcoscenico ai protagonisti: Totò e Peppino, la loro lingua, i loro tic, la loro arte scenica. Più che un film compiuto, è una giostra di sketch, una raccolta di momenti comici da tramandare a memoria, magari proprio a letto. A tre piazze.
Così la stampa dell'epoca
L’accoglienza di Letto a tre piazze (1959), analizzando critica, pubblico e censura nel loro intricato e a tratti ipocrita balletto attorno a un film che cercava di conciliare Totò, il dopoguerra, l’adulterio, la farsa e la morale dell’Italia democristiana. Spoiler: non fu semplice.
🎟️ Il pubblico: ride, applaude, ma non sogna
Al botteghino, Letto a tre piazze ottenne un successo discreto, senza essere un trionfo, e nemmeno un fiasco. Il nome di Totò era ormai una garanzia commerciale, capace di richiamare famiglie, giovani e lavoratori in cerca di evasione comica nel clima ancora grigio del dopoguerra.
Il pubblico accorse per:
- Rivedere Totò e Peppino in coppia (garanzia di comicità consolidata).
- Il tema stuzzicante ma non troppo spinto dell’adulterio post-bellico.
- Le atmosfere comico-borghesi, venate di piccantezza ma à la carte, senza mai sconfinare.
Ma non fu un “cult” istantaneo: gli spettatori risero, sì, ma con la sensazione di aver già visto tutto. Il film non proponeva innovazioni: era una rielaborazione di sketch, situazioni e scenografie già note, come la scena del letto o la rivalità coniugale in triangolo, anzi quadrilatero.
Il giudizio più ricorrente tra il pubblico dell’epoca fu:
“Totò è sempre Totò, ma questa volta non si è superato.”
📰 La critica: fredda, compatta e... prevedibile
La critica cinematografica del tempo – che già guardava con simpatia ai nuovi autori del neorealismo satirico come Risi, Comencini, e al primo Monicelli – riservò a Letto a tre piazze recensioni tiepide o esplicitamente negative.
I principali appunti mossi furono:
- Trama inconsistente, troppo sbilanciata su situazioni già sfruttate.
- Regia pigra da parte di Steno, più attento alla macchina industriale che al linguaggio cinematografico.
- Eccesso di improvvisazione: Totò e Peppino lasciati a ruota libera, spesso privi di controllo narrativo.
- Comicità linguistica abusata, con giochi di parole ritenuti “vecchi” e “telefonati”.
Alcuni critici parlarono di “spettacolo da varietà travestito da cinema”, sottolineando il carattere teatrale, quasi posticcio, delle scene comiche.
Una recensione significativa dell’epoca affermava:
“La maschera di Totò è sempre efficace, ma quando manca un canovaccio degno, la sua arte si riduce a una serie di smorfie stanche.”
(da Cinema Nuovo, 1960)
⛔ La censura: un matrimonio bianco con l’ipocrisia
Il film venne sottoposto a doppio vaglio censorio: quello statale, più attento ai contenuti sessuali e politici, e quello morale/cattolico, che pesava come un macigno sui film dell’epoca.
La pellicola fu inizialmente vietata ai minori di 16 anni, a causa di:
- L’esibizione giudicata troppo sexy della cantante Angela Luce nel tabarin.
- Il tema dell’adulterio, considerato ancora delicato in un’Italia dove il reato di adulterio era vigente (ma solo per le donne!).
- Le allusioni piccanti, seppur mascherate da comicità innocente, che urtavano la sensibilità dell’epoca.
👉 Per superare il blocco, la produzione effettuò alcuni tagli minori (la scena canora fu ridotta), ma soprattutto introdusse il concetto narrativo del “matrimonio bianco”: la donna non aveva consumato il matrimonio con nessuno dei due uomini, e Totò era stato arrestato prima della prima notte di nozze.
Una vera e propria invenzione di sceneggiatura diplomatica, messa lì esclusivamente per accontentare i censori. Fu l’escamotage che permise di far passare il film come “moralmente accettabile”: la carne c’era, ma non era stata toccata.
💒 Il peso della censura cattolica
Oltre al ministero, il film passò al vaglio di numerosi “organi morali di consultazione cattolica”, come il Centro Cattolico Cinematografico e alcune commissioni parrocchiali, che davano un giudizio etico prima ancora che estetico.
Anche qui, l’espediente del non-consumato e del parroco risolutore (Don Ignazio) fu provvidenziale: il prete diventa figura rassicurante e “giustificativa” dell’ordito matrimoniale, trasformando un possibile scandalo in farsa bonaria.
🏆 Festival e premi: un piccolo ulivo nel deserto
Nonostante l’accoglienza fiacca della critica e i tagli imposti dalla censura, Letto a tre piazze ottenne un riconoscimento curioso:
🏅 L’Ulivo d’Oro al Festival del cinema comico e umoristico di Bordighera nel 1960.
Il premio fu simbolico: più un riconoscimento alla carriera di Totò e Peppino, che alla pellicola in sé. Ma fu anche un segnale del fatto che una parte dell’Italia cinematografica rideva ancora di cuore, e non si lasciava condizionare del tutto dai moralismi.
🧩 Considerazioni finali: un film tra due epoche
Letto a tre piazze fu accolto in modo ambivalente, come una creatura scomoda e sdoppiata:
- Popolare ma non amatissimo
- Comico ma stanco
- Amaro ma edulcorato
- Con Totò al massimo della potenza espressiva, ma in un contesto narrativo troppo debole
La sua accoglienza fotografa perfettamente il clima dell’Italia tra due mondi:
- Da un lato, il passato fatto di varietà, rivista, mariti gelosi e lazzi da palcoscenico.
- Dall’altro, il nuovo cinema che voleva raccontare la società, il sesso, il disincanto, senza filtri e senza preti giustificatori.
Totò, ancora una volta, è nel mezzo di un passaggio epocale, come uno dei suoi personaggi: sospeso tra morale e farsa, talento e malinconia, tra il letto di una volta e la piazza del domani.
Torna a Napoli dopo sedici anni un ex-prigioniero dato per disperso
Ha vissuto in Germania dove era stato internato in un lager
Napoli, 13 gennaio 1959
Nella notte fra sabato e domenica alle 3.30, un uomo ha bussato timidamente a un portone di via Tano: la portinaia appena aperto il portone ha gridato: « Un fantasma! » ed è svenuta. La donna aveva infatti riconosciuto nella « apparizione » l'ex-soldato Umberto Irace di 46 anni che, dopo sedici anni di assenza, è tornato da sua moglie, Concetta Schettini, della stessa sua età, che lo riteneva morto in guerra e percepiva la pensione. Anche la moglie alla vista del «redivivo» è svenuta.
L'uomo è rientrato dalla Germania: è alto, dal volto affilato, si esprime con difficoltà, è agitato, gesticola.
Soldato di artiglieria nell'undicesimo reggimento, Umberto Irace era stato catturato nel settembre del 1943 dai tedeschi. Deportato in Germania, egli lasciava la moglie, che aveva da poco sposata, in stato interessante al terzo mese. E da allora, per sedici anni. non aveva più dato alcuna notizia di sè. Frattanto la donna, per mantenere se e la figlia, si impiegò come domestica sempre sperando che il marito tornasse.
Dalla Germania rientrarono migliaia di prigionieri che erano stati internati nei campi di concentramento tedeschi e la donna si mise in contatto con vari comandi militari e con gli organi del Ministero della Difesa. Lesse i nomi di coloro che facevano ritorno in Italia e di quelli che erano ancora lontani dalla patria. Quello dell’Irace non figurava in nessuno dei due elenchi. La Schettini non disperò di rintracciare suo marito; si rivolse alla Croce Rossa e riuscì anche ad ottenere l’interessamento del Ministero degli Esteri perché venissero fatte eseguire indagini in Germania.
I risultati delle ricerche furono negativi; non fu possibile nemmeno accertarsi in quale Lager fosse stato rinchiuso l'Irace. Le autorità italiane chiusero definitivamente la pratica dell'ex-artigliere che fu dato per disperso. Nel 1949 il Ministero della Difesa, su richiesta della Schettini, redasse per l’Irace un certificato di morte concedendo dal 4 gennaio la pensione di guerra alla vedova. Ma la donna continuò a sperare che il marito fosse caduto nelle mani dei russi e che quindi fosse vivo, ma nell'impossibilità di comunicare con l’Italia.
In realtà l’uomo non era stato deportato dai russi: si trovava nel Lager numero cinque di Vergaten nella Germania occidentale e fu rilasciato quando Berlino cadde sotto il fuoco dei sovietici.
Ma com'è vissuto in questi dici anni di assenza? A questa domanda l'uomo si stringe nelle spalle, agita le mani e fatica a trovare le parole adatte. Alla fine si limita a sillabare che si tratta di motivi personali e si immerge in un ostinato silenzio. Da lui si può sapere soltanto che nel febbraio del 1952 si trasferì a Stoccarda dove ottenne dallo autorità tedesche il passaporto per l'Italia. Perchè non
parti allora e perchè solo ora si è deciso a fare ritorno in patria? La risposta del reduce e tempre la stessa: motivi personali. Della vicenda si stanno ora incaricando le autorità che si sono messe in contatto col Ministero della Difesa.
«Corriere della Sera», 13 gennaio 1959
Dopo soltanto un mese di matrimonio, sedici lunghi anni di penosa attesa. Nicola Silvestro, tornato dalla prigionia in Russia dopo sedici anni, quando ormai tutti lo ritenevano morto, non ha voluto riabbracciare la moglie che ha continuato ad attenderlo fedelmente : gli avevano fatto credere che la donna avesse avuto cinque figli da un altro marito.
Cronaca dell'episodio di cronaca che ha ispirato il film.
Giorgio Salvioni,«Epoca», anno IX, n.379, 5 gennaio 1958
Peppino De Filippo e Totò [...] sono i protagonisti di questo film di Steno, tutto da ridere dal principio alla fine. Il film è sul solito metro di tutti gli altri che hanno Totò e Peppino De Filippo quali protagonisti. Il soggetto è comunque indovinato e si rifà ad un episodio avvenuto proprio qui a Napoli qualche tempo fa.
Vice, «Roma», 1960
Totò e Peppino De Filippo sono sistematicamente adoperati dai produttori del più usuale film comico italiano così come accade alle coppie brillanti nell' avanspettacolo. Buttati allo sbaraglio, senza copione e con molto mestiere, ad arrangiarsi in scena, alla bell'e meglio.[...] Quello che Steno, vecchio praticante del sottocinema comico italiano, ormai non cerca neppure più di simulare. Tanto sa che il pubblico, tollerante, ride in ogni caso. E si diverte, beato lui.
Claudio G. Fava, 1960
Non tutti i film di Bordighera strappano le più matte risate
Totò, di scena nel Letto a tre piazze, è anche il protagonista dell'ultima pellicola, in cartellone.
Bordighera, sabato sera.
Gli spettatori dell'Arena degli Ulivi, dove si svolge da lunedi scorso il Festival comico umoristico che domani sera si conclude, sono in genere dei sedentari. E' difficile che, finito il film, se ne vadano, anche se non sia ancora mezzanotte, a fare le ore piccole a Sanremo o alla Marina di Capo Pino, dove le strtpteases una volta occorreva andare a cercare nel night club di Nizza, ora si spogliano ogni sera anche al di qua del confine. Dopo la proiezione, e le rituali due chiacchiere al caffè, qui si va a dormire, buoni buoni ed economicamente.
Un piccolo esodo, di giornalisti soprattutto, al di là di Ponte San Luigi lo si è avuto, ma non di sera, bensì di pomeriggio è determinato, diciamolo, pure, da motivi professionali. Saputo che a Nizza, in un «cinema d'essai», si proiettava Il film di Roger Vadim, Les ilaisons dangeréuses, per il quale il ministro Malraux non ha concesso il vise d'éxportation, e che quindi non vedremo mai in Italia anche se la nostra censura non lo bocciasse, svariati recensori sono andati, fuori servizio, a rendersi conto dell'esatto valore artistico della discussa pellicola. E, come già a Cannes, ne riportarono una impressione positiva, se pur qualcuno abbia osservato che per una scena, quella della fine, quando Jeanne Moreau è scottata abbondantemente mentre brucia cospargendole di alcool le lettere compromettenti, l'effetto era cosi da ridere che meritava tagliarla dal resto dell'eccellente film e mandarla a Bordighera dove avrebbe divertito forse più, di taluni film comici in cartellone.
Con questa malignità non si intende significare che all'Arena degli Ulivi si rida verde. D'altra parte da certi filmetti, e da taluni registi, non si deve pretendere di più di quel che han dato: Il letto a tre piazze, per esempio, diretto da Steno, è già tanto, secondo noi, che abbia contenuto in limiti di sufficiente onestà mimica e visiva una vicenda dove Totò fa il disperso in Russia che resuscita, e rientra in patria dopo dieci anni di silenzio e trova la moglie (Nadia Gray) sposata ad un altro (Peppino De Filippo), talché la donna si barcamena poi per un bel po' con due mariti, sino a che un incidente li fa fuori entrambi e lei né sposa tranquillamente un terzo (Aroldo Tieri). Si può dire che è deprecabile che attori come i nominati si sprechino in insulsaggini del genere, e basta: l'eventuale discorso criticomoralistico sarà, semmai, da riserbarsi per quando la farsetta, fra non molto, entrerà nel giro normale delle programmazioni.
[...] Stasera e domani i film, entrambi italiani, saranno rispettivamente A noi piace freddo e Totò, Fabrizi e i giovani d'oggi, a proposito dei quali è annunciato l'arrivo dei principali interpreti: Tognazzi, Vianello, Yvonne Furneaux, per il primo, e per l'altro la principale attrice, la tedeschina Christine Kaufmann. Poiché sono già qui Peppino De Filippo, Jàcqueline Plessis, Leonora Ruffo, Lidia Martora, non si può dire che gli attori siano stati del tutto sordi all'invito degli organizzatori.
Achille Valdata, «Stampa Sera», 6-7 agosto 1960
Si è concluso a Bordighera il V Festival del film comico
L'umorismo è apparso quest'anno un po' in ribasso - I film italiani programmati sono stati «Letto a tre piazze», «A noi piace freddo» e «Totò, Fabrizi e i giovani d'oggi». Gli «ulivi d'oro» a Renato Rascel, a Tognazzi e Vianello, Marisa Merlini e Peppino De Filippo
Bordighera, 7 agosto
— A che servono i ponti?
— Forse da ombrello per i pesci...
Questa battuta dell’ultima pellicola di Jerry Lewis rende più o meno il tono del V Festival Internazionale del Film comico umoristico che si è chiuso oggi a Bordighera dopo sette giorni di proiezioni, nel quadro delle tradizionali manifestazioni estive della cittadina ligure. Un Festival in cui, per la verità, le risate non sono state nè moltissime né scroscianti: tuttavia un Festival affabile, gradevole, sorridente, direi quasi familiare: che alla qualità dei film hanno supplito la tradizionale ospitalità bordigotta. La buona organizzazione curata da Umberto Rancati, le belle giornate di sole, le fresche serate trascorse all’Arena degli Ulivi.
Bordighera ha fatto bene a darsi un Festival cosi specializzato. Esso è assai diverso dallo pletora di analoghe iniziative fiorenti in tutti i centri turistici, termali e balneari d'Italia, il cui continuo moltiplicarsi sta creando nel pubblico un senso di sfiducia e di noia. La manifestazione bordigotta è tutt'altro che inutile, tanto è vero che essa si svolge sotto l’alto patronato della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Si tratta, ogni anno, di fare il punto sull'umorismo cinematografico internazionale. E non è colpa della città ospite se tale umorismo quest’anno è apparso un poco in ribasso, se le commediole hanno predominato sulle commedie autentiche, se le trovate si sono spesso ridotte al rango di semplici freddure.
Ciò è stato evidente nei tre film italiani in programma: «Letto a tre piazze» di Steno, «A noi piace freddo» anche di Steno, «Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi» di Mario Mattioli. Quest’ultimo ha tentato la corda lirica, senza per altro farla vibrare in modo originale e ci ha narrato la storia di due giovanissimi (Geronimo Meynier e Christine Kaufmann) che con la complicità delle madri (Franca Marzi e Rina Morelli) riescono a vincere l’opposizione alle nozze dei padri troppo litigiosi (appunto Totò e Aldo Fabrizi). Steno ha cercato, si, la via della satira, presentandoci nel primo film il caso di un reduce (ancora Totò) che trova la sua bella moglie (Nadia Gray) ormai felicemente sposata a un altro uomo (Peppino De Filippo) e nel secondo riportandoci all’epoca dell'occupazione tedesca per annodarvi un intrigo a base di colonnelli SS. (Francis Blanche) alle prese con agenti segreti più o meno autentici (Ugo Tognazzi). Ma la satira troppo spesso ha ceduto alla farsa nuda e cruda, sicché il tono delle due pellicole non e stato quello che gli spunti avrebbero potuto suggerire. Dei film stranieri il migliore è stato unanimemente giudicato quello francese di Jean Delannov. «Il barone», tratto da un noto romanzo di Georges Simenon. Vi si narra di un simpatico e irrequieto frequentatore del Casinò di Deauville alle prese con una ormai cronica indigenza e con i primi avvilimenti della vecchiaia. Film garbatamente umano, che si avvale di un’ugualmente umana interpretazione di Jean Gabin ben coadiuvato da Micheline Presie. Esso non ha ricevuto il primo premio della manifestazione solo perchè, saggiamente, il Festival di Bordighera non assegna premi ma solo diplomi di partecipazione ed evita in tal modo di contribuire alla pericola inflazione di coppe e copette in corso da qualche tempo.
Assai deludenti, viceversa, i due film inglesi: «Guerra fredda e pace calda» e «Nudi alla meta». L'aureo filone dell'umorismo in punta di penna, sempre a cavallo tra realtà e fantasia, unente una osservazione minuziosa dell'anima umana con un pizzico di gradevolissimo surrealismo, sembra ormai andato perduto nelle già fertili terre d’oltre Manica. Un motivo di tale decadenza e che i nuovi campioni della risata, tipo Peter Sellers, sono ben lungi dalle raffinate e originali vette del loro predecessore e prototipo Alee Guinness mentre si afferma sempre più un tipo di comicità piuttosto plebea, rappresentata ad esempio dall'istrionico Terry Thomas. Ma la decadenza, bisogna dirlo, si manifesta attualmente solo nel cinema e non nelle tradizionali attività umoristiche britanniche; tanto è vero che al Salone dell’Umorismo, altra branca delle intelligenti iniziative estive bordigotte, è proprio una serie di vignette del «Punch», la nota rivista londinese, ad attirare i massimi consensi e i più divertiti sorrisi dei visitatori.
Resta cosi da parlare soltanto del film di Jerry Lewis da cui ho tratto la battuta iniziale. Si chiama «Un marziano sulla terra» ed è ricavato da una commedia di Gore Vidal che trionfò a Broadway per circa un paio di anni: «Visita ad un piccolo pianeta». Il piccolo pianeta è appunto il nostro e quel turbolento visitatore extra terrestre rischia di portarvi il massimo scompiglio con i suoi stravaganti poteri sovrannaturali. Solo che al di sopra di lui ci sono autorità ben decise a tenerlo a freno, poiché si tratta di un noto scavezzacollo interplanetario. E alla fine l'importuno visitatore fa la figura dei pifferi di montagna che andarono per suonare e furono suonati, sicché la terra, o almeno l’angolo di Georgia in cui egli è sceso, può riprendere le proprie vecchie abitudini. Il tutto non è tra le migliori pellicole dello smorfioso e simpatico Jerry nè le trovate vi si moltiplicano con ritmo costante; ma gli episodi gustosi non mancano, le caratterizzazioni dei vari personaggi sono esatte, un paio di animali parlanti aggiungono gradevoli effetti di contorno. E i film, se non altro, è servito a popolare Bordighera di tanti Jerry Lewis di cartone i quali, ritti in tutti gli angoli della città, hanno sfidato impavidi anche l’unico, ma violento temporale della settimana, che ha costretto il film americano ad essere proiettato di pomeriggio al chiuso anziché di sera all'aperto.
Non sono stati attribuiti premi ai film, come abbiamo detto. Ma le autorità di Bordighera, come è loro consuetudine, hanno voluto dare quattro «ulivi d’oro» ad altrettanti attori italiani che si sono particolarmente distinti durante l’anno nel campo della commedia cinematografica. Uno di essi, Renato Rascel, non potendo restare in Riviera sino alla fine del Festival, aveva ricevuto il ramoscello di ulivo martedì scorso. Stasera, tuttavia non è salito sul palcoscenico dell’Arena degli Ulivi un trio, bensì un quartetto, dato che uno dei premi è stato diviso ex aequo da Ugo Tognazzi e dal suo partner Raimondo Vianello. Gli altri due premiati erano Peppino De Filippo e Marisa Merlini, sempre aggressivamente e cordialmente simpatica. Tra gli applausi che hanno accompagnato la piccola premiazione c’erano anche quelli dei colleghi Christine Kaufmann, Lidia Martora, Yvonne Fourneaux, Eleonora Ruffo, Mara Dani, Francis Bianche, Alberto Talegalli, i quali poco più tardi si sono ritrovati ad un dinner di gala i cui brindisi hanno avuto come auguroso tema obbligato: arrivederci tra un anno a Bordighera.
Guglielmo Biraghi, «Il Messaggero», 8 agosto 1960
Nadia Gray divisa tra due uomini: il secondo marito. Peppino De Filippo, e il primo, Totò, reduce da una lunga prigionia in Russia, dove tutti lo avevano creduto morto.[...]«Letto a tre piazze» del regista Steno, film impostato in massima parte sulla vis comica dei due attori napoletani: e, anche se non destate da situazioni originalissime, le risate non mancano. Accanto a Totò e Peppino, una Nadia Gray che si adatta piacevolmente al suo personaggio, un Aroldo Tieri non più nei panni del «geloso» ma addirittura in quelli di un «conquistatore» e, in una particina di contorno, Cristina Gaioni.
Arturo Lanocita, «Corriere della Sera», 10 settembre 1960
Totò torna dalla Russia dopo vent'anni. E trova la moglie sposata con Peppino. La situazione è ambigua e grottesca. Una donna con due mariti. La poveretta non sa decidersi. Si prende un esaurimento nervoso e se ne va alle Canarie. I mariti l'inseguono in aereo ma l’aereo cade e i poveracci tornano sette anni dopo, giusto in tempo per assistere alle terze nozze della moglie. Totò e Peppino cercano di vivacizzare la trama stenta ma non sempre ci riescono. Il film, quando la trovata iniziale s’è spenta, ristagna, diventa noioso.
«Corriere dell'Informazione», 10 settembre 1960
Dopo tanti film comici importati sulle difficoltà di binare un matrimonio, stavolta Totò e Peppino De Filippo si scontrano par la ragione opposta. C'è infatti un matrimonio di troppo nella vita coniugale di Amalia, la moglie contesa da due manti: il secondo, in carica, e iI primo che ritorna dalla prigionia dopo essere stato dato par disperso. Nessuno si dà per vinto ad ha così inizio uno strano quanto spassoso menage a tra che finisce però per infastidire la balla contesa. Stanca per i continui litigi. Amelia accetta la corte di un suo vecchio spasimante e parte par una crociera. I due mariti si gettano all'inseguimento ma scompaiono in seguito a un incidente aereo. Ricompariranno però sette anni dopo giusto par guastare agli sposi il pranzo del loro anniversario.
Vicenda, dunque, da farsa facile e banale, sostenuta del tutto dalla prestigiosa presenza dei due collaudati beniamini dal pubblico e di Nadia Gray affiancati da Aroldo Tieri e Cristina Gajoni. Ha diretto Steno
«Il Tempo», 12 settembre 1960
Il binomio Totò - Peppino De Filippo costituisce per le platee un facile richiamo, spesso giustificato. Tuttavia i due simpatici comici non riescono sempre a colmare le lacune di certi soggetti, imbastiti alla buona come questo di Letto a tre piazze: storia di un reduce creduto morto che, tornato dalla prigionia dopo vent'anni, si trova alle prese con secondo marito della moglie. I due rivali, arbitro un intraprendente avvocato (Aroldo Tieri) si contendono la dolce metà dando vita ad una serie di situazioni più grottesche che comiche, il cui epilogo a sorpresa è già scontato dopo il primo tempo.
Accanto a Totò e Peppino Da Filippo, una simpatica e spigliata Nadia Gray bigama suo malgrado; volenterosi la Gaioni e il Tinti rispettivamente nei ruoli di una domestica a di un sospettoso fidanzato. In tono minore la regia di Steno.
«Il Messaggero», 12 settembre 1960
Ecco una nuova razione di ameni litigi tra Peppino De Filippo e Totò nel filmetto di Steno, Letto a tre piazze. Il quale letto ha ironico riferimento al caso della signora Amalia (Nadia Gray), bigama senza sua responsabilità perché, sposato in seconde nozze un professor Peppino dopo che le era stato comunicato il decesso del primo marito in Russia, si vede poi arrivare in casa il coniuge numero uno: il quale, durante la guerra nella steppa non era morto come si riteneva, ma soltanto disperso.
Questo consorte redivivo è Totò; data la situazione, e tenuti presenti i personaggi e gli attori, si può facilmente intuire in qua! modo la farsetta si evolve. Forse non era il caso di scherzare, e con siffatta banalità e pesantezza, su un argomento dal fondo per molti doloroso, come è quello del dispersi dell'Urss, ma tant'è: il regista Steno ha creduto evidentemente di non offendere nessuno, però ad evitare che il tema potesse determinare qualche perplessità, occorrevano nello svolgimento un tocco e un gusto che viceversa mancano tanto nella regia che nella sceneggiatura. Tuttavia i protagonisti (al quali va aggiunto Aroldo Tieri) tengono su la baracca col loro estro e il loro mestiere.
l.p. (Leo Pestelli), «La Stampa», 23 settembre 1960
🎞️ Flani pubblicitari: Totò al cinema, a caratteri di piombo 🎞️
I flani pubblicitari erano piccoli annunci a pagamento, pubblicati su quotidiani e riviste specializzate, che anticipavano l’uscita del film. Alcuni recavano titoli alternativi, errori di stampa, o locandine diverse da quelle ufficiali. In questa galleria abbiamo raccolto le versioni più rare e curiose riguardanti Totò.
La censura
Censura al lavoro per "espressioni verbali non adatte ai minori" anche in questo film di Totò: la visione è interdetta ai minori di anni 16 con conseguenti gravi conseguenze economiche alla produzione del film che immediatamente ricorre in appello. In seconda istanza la visione del film viene autorizzata a tutto il pubblico, condizionata da alcuni tagli a scene "scabrose" contrarie alla pubblica morale.
Come se non bastasse, il soggetto del film affronta anche il delicato tema dell'adulterio (ricordiamo che la Corte Costituzionale affermerà nel 1961 che è lecito punire solo l’adulterio della moglie e non quello del marito) e dovrà fare i conti con le due censure, quella ministeriale e quella cattolica: viene allora inventato un "matrimonio bianco". La donna non aveva consumato il matrimonio con i due uomini, poichè la milizia fascista aveva arrestato antecedentemente alla prima notte di nozze, Totò "imboscato" sul treno.
Ministero del Turismo e dello Spettacolo - Direzione Generale dello Spettacolo
Domanda di revisione 324821 in data 22 luglio 1960
«Revisionato il film il giorno 22 luglio 1960 si esprime parere favorevole alla proiezione in pubblico a condizione che venga posto il divieto di visione ai minori degli anni 16, per l'argomento e le espressioni verbali inadatte ai minori.»
Roma, 23 luglio 1960
Cineriz s.p.a. Roma
Al Ministero del Turismo e dello Spettacolo - Direzione Generale dello Spettacolo
Il sottoscritto ERALDO LEONI, rappresentante della ditta CINERIZ di Angelo Rizzoli, con sede in Roma Viale Castrense, 5 - chiede che il film: "LETTO A TRE PIAZZE" venga sottoposto all'esame dell'On.Commissione di Appello, ritenendo che il film non contenda elementi tali da giustificare la condizione "Vietato ai minori di anni 16", imposta dall'On. Commissione di 1° grado.
Roma, 1 agosto 1960
Ministero del Turismo e dello Spettacolo - Direzione Generale dello Spettacolo - VIII Divisione
La Commissione di revisione cinematografica di II grado presieduta dal Sottosegretario di Stato al Ministero del Turismo e dello Spettacolo, On.le Prof. Renzo HELFER e composta dai membri:
Dott. Beniamino LEONI - Procuratore Generale di Corte di Appello;
Dott. Mario MICALI - Prefetto in rappresentanza del Ministero dell'Interno;
revisionato il film "Letto a tre piazze" esprime parere favorevole alla proiezione in pubblico a condizione che nella scena in cui la ballerina danza nel locale notturno sia eliminata la sequenza in cui, inquadrata fra le teste di Tieri e De Filippo, si vede effettuare la danza del ventre.
La predetta scena è da ritenersi offensiva del pudore e della morale (art.3 - comma a del Regolamento annesso al R.D. 24/9/23, n.3287)
«In accoglimento del precitato parere nulla osta alla proiezione in pubblico del film "Letto e tre piazze" a condizione che nella scena in cui la ballerina danza nel locale notturno sia eliminata la sequenza in cui, inquadrata fra le teste di Tieri e De Filippo, si vede effettuare la danza del ventre».
Roma, 28 settembre 1960
Ministero del Turismo e dello Spettacolo - Direzione Generale dello Spettacolo
Si rilascia il presente nulla-osta, quale duplicato del nulla-osta, concesso il 23 LUG. 1960 a termini dell’art 14 della Legge 16 maggio 1947, N. 379 e del regolamento annesso al R.D.L. 24 settembre 1923 N. 3287 salvo i diritti d’autore ai sensi della vigente legge speciale e sotto l’osservanza delle seguenti prescrizioni :
1°) di non modificare in guisa alcuna il titolo, i sottotitoli e le scritture della pellicola, di non sostituire i quadri e le scene relative, di non aggiungerne altri e di non alterarne, in qualsiasi modo l’ordine senza autorizzazione del Ministero.
2°) Il divieto di visione ai minori degli anni 16 è stato revocato. Nella scena in cui la ballerina danza nel locale notturno sia eliminata la sequenza in cui, inquadrata fra le teste di Tieri e De Filippo, si vede effettuare la danza del ventre. La scena è stata ridotta di m.19 e risulta attualmente di m.22.
Roma, 7 novembre 1960
I documenti
Le uscite home video di Letto a tre piazze, supporto per supporto, con anni, edizioni e contenuti 😎
📼 VHS
Non risultano edizioni in videocassetta ufficialmente documentate; è probabile che negli anni ’80 e ’90 siano state distribuite VHS “da edicola” o di emittenti regionali, ma non sono reperibili registrazioni certe.
💿 DVD
Nel panorama italiano sono presenti almeno tre edizioni: due commerciali (2006 e 2013) e una economica da edicola (Panorama). Ecco i dettagli:
- Edizione Mustang Entertainment (ottobre 2006)
- Supporto: DVD PAL (regione 2)
- Data: 24 ottobre 2006
- Audio: Italiano Dolby Digital 1.0 (mono)
- Sottotitoli: Italiano per non udenti
- Durata: ca. 84′ secondo la confezione
- Contenuti extra: trailers (da catalogo Mustang/Eagle)
- Formato video: 1,78:1 widescreen (range PAL)
- Ristampa Mustang/Big Deal (23 aprile 2013)
- Supporto: DVD PAL
- Data: 23 aprile 2013
- Medesime caratteristiche audio/video e extra della versione 2006, poiché si tratta di ristampa identica
- Editore segnalato anche su IBS e Feltrinelli come versione 2013
- Edizione economica da edicola (Panorama)
- Titolo: Letto a tre piazze – Versione da edicola
- Editore: Editoriale Panorama
- Anno non preciso (probabilmente anni 2000)
- Supporto DVD PAL, singolo disco, audio italiano, nessun extra; packaging minimale, spesso in busta plastificata
- Edizione Ebond Toto Collection
📋 Riepilogo formato, anno e contenuti
Edizione | Anno | Reg. | Audio | Durata indicata | Extra |
---|---|---|---|---|---|
Mustang Entertainment (originale) | 24 ott 2006 | 2 | Italiano DD 1.0 mono | 84′ | Trailer |
Mustang ristampa | 23 apr 2013 | 2 | Italiano DD 1.0 mono | 84′ | Trailer |
Panorama (ed. edicola) | ca. 2000‑10 | 2 | Italiano (mono) | non specificata | nessuno |
Ebond Toto Collection (digipack) | ca. 2021? | 2 | Italiano (presumibilmente) | non specificata | nessuno dichiarato |
ℹ️ Dettagli utili:
- Durata: le confezioni riportano 84 min, ma il film originale dura 91‑97 min; è probabile che le edizioni home video siano tagliate o abbreviate per esigenze tecniche.
- Audio e sottotitoli: sempre in italiano, con Dolby Mono 1.0; solo le edizioni Mustang e Panorama offrono sottotitoli per non udenti.
- Extra: trailer nelle edizioni Mustang; nessun making‑of, commento o retrospettiva nota nelle altre.
- Packaging: economico nelle edicole, custodie standard o digipack nella Ebond.
✅ In sintesi
- 2006: prima edizione DVD Mustang — qualità audio/video medio‑bassa, trailer come unico extra.
- 2013: ristampa identica con nuova etichetta, stesso contenuto.
- Edizioni economiche: Panorama e Ebond — supporti economici, nessun contenuto aggiuntivo sostanziale.
- VHS: nessuna informazione certa; probabili distribuzioni minori non documentate.
🎯 Conclusione:
Letto a tre piazze non ha mai avuto un trattamento deluxe in home video: nessuna edizione Blu‑Ray (al 2025), nessuna versione restaurata o estesa con extra approfonditi. Le edizioni disponibili sono tutte funzionali (per la visione semplice), economiche, ma scarse in contenuti speciali. Se cerchi un’edizione con sottotitoli per non udenti e trailer, punta alla ristampa Mustang/Eagle del 2006/2013; se vuoi un’edizione da collezione low-budget, l’Ebond digipack o la versione edicola Panorama sono ottime.
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Deludente Totò & Peppino che, dopo una discreta partenza, ripete in maniera sistematica i continui e interminabili battibecchi fra i due protagonisti maschili, i cui personaggi non riescono a risultare simpatici. La vicenda si avvita su sé stessa e, sorprendentemente, il film respira proprio quando intervengono interpreti terzi (Tieri, Castellani eccetera), rubando spazio ai due grossi nomi. Si arriva in fondo con fatica. Bella la Gray, deliziosa la Gajoni.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò, che apparteneva alla Gran Loggia d'Italia, vede una grande pietra e la chiama ripetutamente "Massone".
- Tra i migliori film interpretati dalla coppia Totò-De Filippo, ottimamente diretti da Steno. La storia dello strano ménage à trois con i due uomini che si contendono le grazie (e il letto) della consorte, dà modo ai due comici di scatenarsi in un repertorio comico travolgente venato da umorismo nero. La sceneggiatura non è impeccabile, ma gli interpreti compensano con grande bravura. Bravi i caratteristi (tra cui Aroldo Tieri).
- Reduce dalla campagna di Russia ritorna a casa dopo 15 anni ma trova la moglie che si è risposata. Una storia, ispirata alla cronaca, che sarebbe piaciuta a Pirandello e che nelle mani di Totò e Peppino diventa un farsa surreale. Purtroppo lo spunto è buono ma la sceneggiatura è esile, in totale stallo narrativo, praticamente ripetitiva per tutta la durata del film. E pure la regia è fiduciosa nelle capacità dei protagonisti, che però si trovano a sorreggere il quasi nulla.
- I bisticci tra il reduce dalla Russia Totò e il serioso professore Peppino De Filippo per contendersi la bigama suo malgrado Nadia Gray puntellano una commedia che esaurisce tosto l'iniziale effervescenza, facendosi sempre più fiacca sino a stancare del tutto; e a dire il vero i due illustri comici sono ben al di sotto dei loro livelli abituali. Tra i pochi volti di contorno, un cenno per l'aspirante "tertius gaudens" Aroldo Tieri.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò reduce dalla Russia che non può dormire senza il ritratto di Stalin alla parete; "Signor presbite"; "perizia callifuga".
- Uno dei miei favoriti di Totò. Nulla è fuori posto in questa pellicola, dalla coppia Totò-De Filippo al loro meglio alla Gray, alla sceneggiatura (con ottime trovate come il ritorno di Totò, la convivenza forzata a letto tra i due mariti, il finale). Se poi consideriamo che nella sceneggiatura c'è lo zampino del buon Fulci allora si capisce il perché della qualità del film.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il sogno biblico di Totò.
- Divertente commedia ben scritta e diretta con buona lena dal grande Steno. Due o tre gag, specie nella prima parte, funzionano e i personaggi sono ben delineati. Una volta di più memorabili i due protagonisti, gli scatenati Totò e De Filippo. Ottimi anche Tieri, la Gray e il solito Castellani. Da riscoprire.
- Questa volta i due ci fanno ridere su quello che è un facile caso giuridico riportato negli esempi del titolo di famiglia, l'ironia degli art 60-68 cc e l'istituto del matrimonio canonico, con una storia semplice che i due interpretano a tal punto da farla altamente comica, negli sfrenati battibecchi con le espressioni e mimiche di uno splendido Totò. Le belle gag ci sono (il sogno di Salomone, la scuola...). Le battute non stancano, il film non ha età, è uno di quelli che a distanza di quasi cinquant'anni risultano ancora freschi.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: I due che dormono nello stesso letto.
- Uno dei migliori prodotti della coppia Totò-Peppino De Filippo, firmato Steno. Forse qui più che in altri film i due non hanno avuto bisogno della sceneggiatura, perché si nota come improvvisino le battute. Da citare c'è anche il bravo Aroldo Tieri.
- Divertente film con l'inimitabile coppia Totò e Peppino. La sceneggiatura è più scarna che in altre occasioni, ma lo spunto iniziale basta comunque ai due per strappare molte risate. Bravo anche Aroldo Tieri nel ruolo dell'avvocato carogna e non male anche Nadia Gray. Un po' di cedimenti nella seconda parte, ma sicuramente un film molto godibile.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò che cammina sul letto.
- Un fatto reale che diventa surreale sotto le mani di Steno e Lucio Fulci (fra gli altri) e che il duo Totò e Peppino De Filippo trasforma in una baraonda comica che sfrutta le assurdità del caso per dar modo ai due di poter sfoderare tutte le loro doti. Nonostante i buoni inserimenti di Aroldo Tieri e, in maniera più defilata, di Cristina Gajoni, per spezzare i furiosi battibecchi dei due comici la ripetitività dell'argomento si fa sentire negativamente. Il finale, non così scontato, fa riprendere energia e terminare in bellezza.
- Nonostante sia considerato un film minore in realtà è uno dei pochi della coppia Totò e Peppino, che abbia una sceneggiatura che si discosta da quelle abituali, proponendo una quanto mai strana unione a tre. Ma la vera novità è che il rapporto tra i due attori non è più quello di mattatore e spalla: Totò carnefice e Peppino vittima indefessa di tutte le sue angherie. Questa volta i due se la giocano alla pari e in qualche scena è addiritura Peppino a diventare carnefice (cosa che giova non poco). Come al solito grandissimi Castellani e Tieri.
- Divertente commedia che vede Totò e Peppino l’uno contro l’altro a causa di una moglie contesa. I due mettono in mostra tutto il loro carisma e talento, visibile soprattutto nella capacità di improvvisazione. La prima parte è la migliore, poi purtroppo il film inizia ad arrancare e si trascina stancamente verso la fine a causa delle situazioni che si ripetono uguali e della sceneggiatura monocorde e poverissima. Ci si diverte solo quando i due comici sono in scena, ma vale la pena vederlo.
- Totò e Peppino diretti da Steno divertono, ma convincono meno del previsto in questa commedia tutto sommato simpatica. Merito della discreta riuscita va anche a un bravissimo Aroldo Tieri e alla bella Nadia Gray. Le gag funzionano a fasi alterne e nella seconda parte la noia si fa sentire.
- Vivace commedia di Steno nobilitata dal lavoro oscuro di futuri protagonisti del cinema italiano (Fulci, Laurenti). Gli scambi fra Totò e Peppino garantiscono comunque risate in abbondanza, nonostante la sceneggiatura lasci un po' troppo al caso. Bene anche Tieri e la Gray, che non si limita a fare la bella statuina. Forse la parte centrale è un po' lenta, ma il finale è da antologia. Steno mantiene la giusta misura in regia e spesso lascia saggiamente fare. Un film davvero divertente che merita sicuramente di essere visto.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò che parla col cinese; La scena dell'aereo tutta; Il finale.
- Difficilmente si sbaglia con la coppia Totò/De Filippo. In questo film Steno ci regala situazioni divertenti e risate assicurate. I due attori si confermano mattatori anche quando la sceneggiatura non è particolarmente minuziosa. Forse senza un puntiglioso "canovaccio" ci si espone maggiormente a cadute, ma nel caso dei nostri fuoriclasse il tutto non può essere che un valore aggiunto. Un plauso va a tutto il cast.
- Il Totò-Peppino che preferisco. Non solo una vera bomba atomica comica dalla forza devastatrice ma uno dei film più divertenti della storia del cinema. Per funzionare, un film comico deve disporre di due personaggi che siano in continuo conflitto, vuoi di caratteri vuoi di interessi; ma qui sono addirittura in aperta e totale ostilità perché entrambi mariti legittimi della stessa donna. E, se i mariti si chiamano Totò e Peppino, al meglio della loro forma, la baraonda burattinesca è assicurata, il divertimento all’ennesima potenza garantito. Imperdibile!• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il lento ma inesorabile accumularsi dell’attesa comica nei primi dieci minuti del film: una deliziosa sottigliezza della sceneggiatura.
- Tra i due litiganti il terzo gode. È questo il sunto di questa commedia grottesca che vede protagonisti i rivali in amore Totò e Peppino. Il film è un continuo duello tra i due, a suon di battute. Ne gode lo spettatore, che non si annoia mai, fino all'ultima esilarante scena...
Le incongruenze
- Quando Totò suona una campanella in classe, la poggia sul lato destro della cattedra ma alcune scene dopo compare sul lato sinistro senza che nessuno la tocchi
- Quando Totò e Peppino sono in montagna si vede benissimo che la neve è finta formata da palline di polistirolo.
- Dall'iniziale Antonio DI Cosimo, Totò diventa ben presto Antonio LO Cosimo!
- Nella scena in montagna, con Toto', Peppino e Nadia Gray, Toto' ha al collo una macchina fotografica biottica nella sua custodia. Qualche sequenza dopo il coperchio della custodia non c'è più...
- Quando Toto' e Peppino dormono insieme , Toto' sposta un quadro e lo da' a Peppino che lo mette a lato del letto , ma dopo il sogno (di Salomone), il quadro non c'e' piu'
- Quando vengono mostrati i titoli di giornale che annunciano l'incidente occorso all'aereo sul quale viaggiavano Totò e Peppino è possibile notare che i titoli non coincidono con i contenuti degli articoli sottostanti, che riguardano partite di calcio.
- Verso la fine del film, Totò e Peppino stanno nell'aereo. Totò si sente male, ha bisogno di vomitare e chiede a Peppino un po' di bicarbonato, e Peppino gli consiglia di chiamare la hostess per farselo dare. Ma quando la hostess arriva, improvvisamente Totò si sente bene e si lamenta per un altro motivo: secondo lui l'aereo è troppo lento.
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Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo. | |
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Il palazzo dove abitano Amalia (Gray) e il suo secondo marito Peppino Castagnano (De Filippo) e nel quale si troveranno a coabitare con il precedente consorte Antonio Di Cosimo (Totò), erroneamente dato per morto quasi vent’anni prima in Russia e improvvisamente ritornato a casa si trova in Via Crescenzio 12 a Roma. Nella sequenza d’apertura del film vediamo De Filippo parcheggiare davanti all’ingresso (alle spalle della macchina da presa). | |
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ed entrare nell’edificio, posto all’angolo con Via Virgilio. | |
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Villa La Quiete, la casa di riposo nella quale viene ricoverata Amalia (Gray), vittima di un esaurimento nervoso a causa della difficile convivenza con i suoi due “pretendenti” mariti, è in realtà la palazzina che ospitava la direzione dei Cinecittà Studios, in Via Tuscolana 1055 a Roma. | |
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La piazza dove Amalia (Gray), stufa dei litigi dei suoi due “pretendenti” mariti, propone all’avvocato Vacchi (Tieri) di andare a stare da lui è Piazza di Campitelli a Roma, che vedremo anche l'anno successivo in Una vita difficile | |
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La pensione Mimosa presso la quale Peppino Castagnano (De Filippo) e Antonio Di Cosimo (Totò), tentano di screditarsi l’un con l’altro agli occhi della comune moglie Amalia (Gray) si trova in Via Giovanni Nicotera 31 bis a Roma. In questo primo fotogramma ci troviamo all'esterno della palazzina che ospita la pensione, il cui ingresso è sulla destra, fuori campo. | |
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Totò fa capolino dall'ingresso, le cui ante sono le stesse di cinquant'anni fa |
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Laurenti Mariano
Lo strano ritorno del reduce di Natale (Epoca, 5 gennaio 1958): il caso Nicola Silvestro tra Ulisse, Penelope e «Letto a tre piazze»
Luce Angela (Savino Angela)
Peppino in tentazione
Rizzoli Angelo
Rustichelli Carlo
Scipioni Bruno
Steno (Vanzina Stefano)
Tieri Aroldo
Tinti Gabriele (Tinti Gastone)
Totò e... Lucio Fulci
Totò e... Mario Castellani
Totò e... Peppino De Filippo
Totò e... Steno
Totò premi e riconoscimenti
Totò, Peppino e... ho detto tutto (2001)
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "Al diavolo la celebrità. Steno dal Marc’Aurelio alla televisione: 50 anni di cinema e spettacolo in Italia" (Bruno Ventavoli) - Torino, Lindau, 1999
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- "Totò: principe clown", Ennio Bìspuri - Guida Editori, 1997
- “Sul set era lui a comandare”, Elisabetta Rasy, Steno e Monicelli, “Paese Sera”, 18 marzo 1973
- “Il terrorista dei generi. Tutto il cinema di Lucio Fulci” di Albiero e Cacciatore - Un mondoaparte editore ed. 2004. Pag. 45, nota n.11 pag. 388
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- Documenti censura Ministero dello Spettacolo - cinecensura.com
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- «Corriere della Sera», 13 gennaio 1959
- Giorgio Salvioni,«Epoca», anno IX, n.379, 5 gennaio 1958
- Vice, «Roma», 1960
- Claudio G. Fava, 1960
- Achille Valdata, «Stampa Sera», 6-7 agosto 1960
- Guglielmo Biraghi, «Il Messaggero», 8 agosto 1960
- Arturo Lanocita, «Corriere della Sera», 10 settembre 1960
- «Corriere dell'Informazione», 10 settembre 1960
- «Il Tempo», 12 settembre 1960
- «Il Messaggero», 12 settembre 1960
- l.p. (Leo Pestelli), «La Stampa», 23 settembre 1960