James Bond ha un rivale italiano

Adolfo Celi, considerato oggi uno dei più affermati caratteristi del cinema mondiale, è stato scelto come antagonista del fortunato “007". La sua carriera, da attore in cerca di fortuna a sovrainten-dente del Teatro dell’Opera di Rio de Janeiro, è stata un susseguirsi di avventure e di colpi di scena
Roma, febbraio
«Pregate per l’anima di James Bond, la prossima volta dovrà vedersela con me», mi dice Adolfo Celi, il più popolare caratterista del momento, assestandosi cazzotti sul costato e lanciandosi occhiate assassine e frizzi ribaldi. Essere l’antagonista dell’ "agente segreto 007” equivale, nel cinema. a essere toccati dalla grazia. Celi sarà, dal prossimo film della serie, il contraltare di James Bond. Il tedesco, il grassone rubizzo dall’aria stolida e iraconda, è stato licenziato. «E’ troppo antipatico», pare abbia sentenziato il produttore della celebrata collana di gialli desunti dai racconti di Jan Fleming, «dobbiamo trovare un avversario a Bond che gareggi con lui anche nell’attrarre la simpatia del pubblico e soprattutto delle donne».
Una indagine tra il pubblico inglese ha, infatti, rivelato che i film di James Bond piacciono moltissimo perchè l’eroe non è nè migliore nè peggiore del suo avversario. Entrambi uccidono con la stessa disinvoltura e mostrano scarso interesse per la vita del prossimo. Bond non è Abele e l’altro Caino; sono entrambi Caino. Ed è regola ormai stabilita nel cinema che Caino eccita la fantasia, mentre Abele la deprime.
Gli spettatori interpellati hanno detto di parteggiare per Bond perchè, grazie a Sean Connery, egli è più simpatico. Da questa constatazione è discesa per i produttori la necessità di trovare per l’agente 007 un avversario sottilmente diabolico, dotato di un gelido fascino e che possa contendergli anche le donne. Non è un mistero che Bond si giova troppo del suo irresistibile sex-appeal; per amore, le donne del nemico sposano la sua causa e gli facilitano il compito. Bella forza!
Va anche detto che in Germania, dove i film di Bond "vanno molto”, "molti si dispiacciono che il "cattivo" risulti sempre di nazionalità tedesca. Perchè, si domandano, questa parzialità? Per evitare complicazioni internazionali, si poteva ricorrere a un attore francese; s’è temuto, però, che De Gaulle, alla sola idea che un francese si faccia mettere nel sacco da un inglese, potesse intralciare l'afflusso delle pellicole "bondiste" in Francia. Per fortuna ci sono gli italiani. In Italia, ha arzigogolato il produttore, si fanno solo film che illustrano i difetti dell’italiano; Gassman e Sordi non fanno che questo. Nessuno in questo Paese prenderebbe cappello se a ordire machiavelliche trame fosse un italiano.
Ritornato in Italia, Adolfo Celi si è rapidamente affermato, a quarant’anni suonati, come uno dei più efficaci caratteristi dello schermo. Nella fotografia lo vediamo in costume cinquecentesco, accanto a Rosanna Schiaffino, che nel film è sua figlia, in una inquadratura di ”El Greco", di Luciano Salce, il regista che oltre ad essere suo compagno di corso all’Accademia d’arte drammatica, gli fu vicino per alcuni anni nell’avventura brasiliana. Dopo il film dedicato al celebre pittore spagnolo, Celi ha sostenuto una parte di rilievo, quella di Giovanni de’ Medici, nel "Tormento e l’estasi" che rievoca la vita di Michelangelo.
Celi sarà un osso duro per Bond. Ecco come sarà il suo personaggio: «Avrà estrema cura della sua persona. Un cervello troppo fine non gli consentirà di concepire gesti grossolani come l’assassinio e le sue mani saranno troppo delicate per eseguirlo. Giocherà al golf, bacerà la mano alle signore e manterrà a sue spese un asilo di orfani». Capite? Si macchierà di misfatti, perchè sarà un anarchico su scala mondiale, ma non farà mancare nulla agli orfanelli, cioè alla sua natura di personaggio subdolo e spietato. Bond, dovrà vedersela con un genio del male che nella grande industria del delitto introduce il galateo. Il crimine nelle mani di Celi acquisterà non so quale nobiltà, non so quale araldico aroma.
Eretto nel busto, come un cavaliere in sella, Celi ha un volto piuttosto bello, un viso da alto prelato cui la chioma argentea conferisce uno stravagante tocco di venerabilità. Un volto da gran signore, con un naso sproporzionatamente aquilino, che potrebbe stare benissimo sul collo di un proprietario di fazenda brasiliana. La fortuna ha preso una cotta per lui con L’uomo di Rio, proprio quando Celi si trovava in Brasile, e gli è rimasta fedele. «E’ il mio momento, mi dicono tutti — egli mormora con convinta umiltà —, e prima che passi debbo sbrigarmi e realizzare il maggior numero di film. Poi mi dedicherò tutto al teatro».
Il suo corpo possente è sempre stato una pentola in cui bolle qualche nuovo contagioso entusiasmo. Nel ’48, uscito dall’Accademia d’Arte Drammatica e dopo aver lavorato nel teatro — come regista e attore — e nel cinema, si spazientì. La Roma del dopoguerra gli sembrava una quaresima; così scelse il Brasile che, invece, incarnava il carnevale. Nel "romanzesco" della sua vita c’è un episodio che vale la pena di essere raccontato. Ufficiale d’aviazione nei pressi di Ancona, Celi ebbe l’incarico, 1*8 settembre del ’43, di portare a Roma la testa mozzata di un cane che aveva addentato il polpaccio del figlio del suo comandante. Di medici disposti a fare analisi in quel giorno non ce n'erano; il fagotto con la testa del cane finì nel Tevere. Si ignora quale sorte sia toccata al figlio del comandante di Celi, «Mi sono sempre chiesto come se la sarà cavata e spero tanto che il cane non fosse arrabbiato... Sono cose che succedono... Si parte per fare una cosa e invece se ne fa un’altra...».
Esatto: partito per il Sud America con il proposito di restarvi giusto il tempo di una tournée, Celi vi rimase quindici anni. Imbarcandosi era fermamente convinto di trasportare oltre Atlantico solo il corpo, non il cuore e l’anima. Ma le recidive fornicazioni con l’ "anima” brasiliana, soprattutto quella che alberga nelle donne, lo hanno tenuto ancorato laggiù tanto tempo. Accortosi che accanto a tante bellezze naturali, il Brasile ne possiede poche di artistiche, Adolfo chiese e ottenne di creare un teatro e con mano felice snidò un gruppo di ottimi attori. «Ora sono i migliori del Sud America... Attori direi di scuola anglosassone, compassati, seri non, come si immagina, latinamente melo-drammatici». A Rio, grazie a Celi, è nata una tradizione teatrale con spettacoli da far invidia.
Nessuno lo avrebbe strappato da Rio se il regista De Broca non lo avesse preso di forza per fargli fare la parte di un nababbo brasiliano nell’Uomo di Rio. c In Brasile in tutti questi anni è stato un via vai di cineasti italiani che giravano film e documentari... Mai nessuno che mi abbia chiesto di interpretare una parte...». Gli italiani sono fatti così; pagano milioni per avere un attore straniero mentre di un connazionale, che potrebbero avere per poche "palanche", neppure si accorgono. Belmondo, divenuto grande amico di Celi, cercò di capire come mai Adolfo non tornasse in Italia e tentò di persuaderlo che aveva torto. «Tu non li conosci quelli di Roma!...», tagliava corto Celi.
A Roma, nel dopoguerra. Celi aveva lasciato un segno non esiguo nel teatro e nel cinema; aveva fatto parte dei Gobbi prima dell’arrivo di Franca Valeri; era stato uno degli animatori del "teatro da camera"; aveva diretto I giorni della vita di Saroyan con la compagnia di De Sica, Be-sozzi e Vivi Gioi, aveva interpretato Le cocu magnifique. Nel cinema rappresentava, tanto era magro, l’italiano a mala pena sopravvissuto agli stenti della guerra in film come Natale al campo 19 di Francisci accanto a De Sica e Peppino De Filippo, e Emigrantes di Aldo Fabrizi.
Nel film della serie ”007" Adolfo Celi sarà l’antagonista di Sean Connery, l’ormai popolare James Bond. Celi, che ha frequentato assieme a Vittorio Gassman la Accademia di Arte drammatica di Roma, nell’immediato dopoguerra si era trasferito a Rio de Janeiro, dove si affermò come attore e regista teatrale. Fu il regista francese Philippe de Broca, giunto in Brasile per girare "L’uomo di Rio", a "scoprirlo” come attore cinematografico.
A convincerlo a tornare non è riuscito in tutti questi anni nemmeno il suo più grande amico, Luciano Salce che, pur di riportarlo indietro, sarebbe andato a prenderlo con una valigia. Salvo poi a essere preso dal panico quando, sulla scia del successo dell’Uomo di Rio, Celi decise di fare ritorno. «Oddio! — ripeteva Salce nei giorni che precedettero l’evento — oddio!... terna Celi...».
Il suo timore, condiviso dagli amici, era il racconto che Adolfo avrebbe fatto dei suoi successi strepitosi in tutti i campi, specie in quelli del teatro e delle donne, con aggiunta di relazioni potenti e astronomici guadagni. Nel ’61, e non sono storie, Celi è stato nominato dal governo brasiliano Sovrintendente del Teatro dell’Opera di Rio, incarico mai affidato, in Brasile, a uno straniero. Tornando, Celi si tenne invece nell'unico atteggiamento consentito all’uomo di gusto; il suo "De bello brasiliano” è scevro di boria.
La sua età veleggia da qualche anno oltre la quarantina. L’Uomo di Rio lo ha strappato da una posizione sicura e di alto prestigio e gli ha restituito il piacere della vita arrischiata, della vita randagia e delle sistemazioni di fortuna. Dopo il film di De Broca la sua stella non ha mai cessato di rilucere. Come caratterista Celi ha fatto un altro film in Francia accanto a Geraldine Chaplin, Un bel mattino d’estate. Lo abbiamo visto con Totò e la Milo nelle Belle famiglie. Lo vedremo accanto a Mel Ferrer ne El Greco nei panni del padre di Rosanna Schiaffino, nei panni di Giovanni de’ Medici in Michelangelo accanto a Charlton Heston, in Von Ryan Express accanto a Sinatra, e in Slalom con Gassman.
Ora gli amici lo guardano con un zinzino di invidia. Per fortuna c’è il naso carnoso e grosso. Grazie a questo naso, Celi ha sempre qualcosa da farsi compatire e per farsi deridere. Altrimenti insorgereb-
be spontaneo il sospetto di una slealtà della sorte e a Roma, si sa, si fa fatica a perdonare chi è stato troppo ben fornito dalla sorte. L’eccesso di generosità della dea bendata è sempre stato, tra noi, gravido di pericoli per chi ne benefica. Quel naso che è oggetto di scherno, Celi lo porta con il piglio aggressivo e con intenzioni polemiche. Ora che in Italia s’è accesa la crociata contro il "bondismo”, corruttore e disgregatore, e qualcuno è arrivato a definire l’eroe di questi film "fascista" alla Starace, Celi ribatte che tutto questo moralismo lo diverte.
«L’Italia è sempre la stessa, piena di virtuisti su cose di second’ordine. I film di Bond sono film che hanno successo non perchè istigano all’imitazione ma perchè eccitano lo spirito d’avventura. Del resto molti pedagoghi hanno dimostrato che i film di violenza lungi dal far del male, servono a scaricare gli animi troppo turbolenti». E chi sostiene queste tesi non sono certo delle eccezioni pittoresche. Ma il diavolo, si sa, stimola la crociata. L’ultimo modernissimo belzebù è ora James Bond. Per spiegarne il successo si dovrà sospettare che, nel subcosciente del pubblico è rimasta acquattata una gran nostalgia del diavolo.
Maurizio Liverani, «Tempo», anno XXVII, n.7, 17 febbraio 1965
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| Maurizio Liverani, «Tempo», anno XXVII, n.7, 17 febbraio 1965 |
