Virna Lisi, bionda programmata

1964 07 11 Tempo Evi Marandi f0

Le lettere "scontrose" di Arpino

Gentile signora Virna Lisi,

la sua immagine ci ossessiona cortesemente da gran tempo. Grazie a film, a pubblicità, a servizi giornalistici colorati e no, a interviste di ogni genere, sappiamo tutto dei suoi gusti, delle sue pellicce, dei suoi affetti. La sua organizzazione ”made in Hollywood” funziona come una macchina calcolatrice, come un progetto industriale: uno spicchio di lei ce lo ritroviamo in ogni angolo della giornata. Magari fossero altrettanto minuziosamente programmati i piani e le intenzioni del nostro governo!

Al di là di ogni possibile dubbio, di ogni accesa o tiepida simpatia, ci leviamo il cappello: una bionda che procede con tanto di codici, di schede perforate, di futuro studiato fino al più piccolo particolare, merita rispetto...

Ci mancava una bionda come lei nel nostro cinema, una bionda che sapesse essere astuta, signora, sorridente, serpente, dolce-agra eppure anche madre di famiglia, anche buona moglie, anche affezionata agli spaghetti. Le nostre seduttrici tradizionali, seppure vampiresche, sono sempre state più o meno nere, con nere sottovesti, neri lampi negli occhi. Una ”sofisticated lady” nostrana non credevamo di potercela permettere. E invece ecco lei, signora Virna, bene intenzionata a scalare il firmamento divistico e a incutere rispetto e desiderio ai soldati come ai commendatori.

Un dentifricio oggi, un film con Jack Lemmon domani, e i suoi affari procedono con un andamento che i giocatori di Borsa non osano augurarsi neppure alla vigilia di Capodanno. Tutte le ridicole imitazioni delle varie "Hollywood sul Tevere” risultano di cartapesta davanti a lei e ai suoi plurimi obbiettivi.

Virna Lisi 1964 L

Lei irrobustisce un mondo che credevamo ormai pericolante, quello della commediola americana ed ex-viennese tutta sorrisi, inghippi, divorzi, balletti, scenari, piume di cigno, baci sotto la luna e lieto fine. E' un genere davvero immortale, dura oltre le guerre, le pestilenze, le rivoluzioni, i cataclismi politici. Pare, anzi, necessario. Pare che dopo ogni guerra, ogni rivoluzione, ogni cataclisma, i cittadini di Istanbul e di Varese, di Nuova York e di Hong Kong, non abbiano bisogno d’altro che d’una buona, onesta, decorosa, vecchia commedia con tante pellicce, tanti virtuosismi, tanti ammiccamenti del primo attore e della prima attrice. Il primo attore deve far ridere, la prima attrice deve far sognare. A lui le battute, a lei i vestiti, le coppe di champagne. Muoiono teatri, tradizioni culturali, vanno in crisi poesia e romanzo, nasce l’opart, ma la commedia all’americana si difende a denti stretti, seguita a offrire la sua rimasticata macchina di sogni a vecchi e giovinetti di ogni continente. Quando sembra defunta, la riscoprono le televisioni di venti paesi e le procurano così una seconda, una terza ondata di successo.

E’ un genere che fagocita tutto: Freud e il jazz, la pubblicità e la sociologia, i complessi della donna moderna e l’arte militare. Grazie alla commedia cinematografica americana abbiamo visto ballare ammiragli, abbiamo visto come si fa la cura del sonno, abbiamo seguito attori e attorucoli per i meandri del disegno industriale, ci siamo sdraiati su divani di illustri psicanalisti, abbiamo avuto rapporti fraterni con medici, marines, spogliarelliste, suocere di provincia, maniaci di ogni genere e bionde, bionde, bionde, di tutte le misure, di tutti i pesi, di tutti i sorrisi.

Sempre rosea

L’ultima caramella che oggi ci viene regalata da questa commedia ipocrita e a volte deliziosa forse proprio perchè ipocrita, è lei, signora Virna. Lei si è fatta levigata, aerea, quasi priva di autentica sostanza umana, si è angelicata in vista di questo prodotto a getto continuo. Lei è pronta ad essere accanto a Jack Lemmon o Cary Grant e tutti gli altri, oggi infermiera, domani miliardaria, e poi sguattera e poi ladra di gioielli e poi hostess, ma sempre così rosea, così sorridente, così a posto, così sicura del matrimonio finale e della sistemazione di ogni guaio.

E va bene, accettiamo. Naturalmente sappiamo già che lei si dispone a qualche ruolo di riserva: tutti i complici del mondo della commedia rosa e giallo-rosa hanno bisogno di mostrarsi, almeno una volta ogni due anni, con panni diversi. Così sfruttano due filoni, si creano un alibi artistico, e possono tranquillamente, poi, tornare nella culla di piume di cigno e sfornarci un altro film natalizio che dovrebbe far ridere dal principio alla fine.

Ma che importa? Noi siamo qui per credere, per applaudire. Non domandiamo neppur più «cosa danno al cinema, stasera?», domandiamo soltanto se i cinema sono aperti. Tutto quello che ci viene ammannito, ben ci sta: ercoli, cow-boys, commediole, mari del sud, elefanti, danze malesi, pirati, coppie alienate, vite alla rovescia, seduttori, bambini infelici, omicidi, rapine, cartoni animati, mostri fantascientifici, abbiamo imparato a ingoiare ogni boccone messoci nel piatto. Ci salva la memoria, che confonde i dati ed espelle via via queste indigestioni di facce, di mosse, di parole. Ci salva, forse, l’assuefazione.

Lei ha capito tutto, signora Virna. e ha curato se stessa fino all’ultimo centimetro di pelle proprio per entrare in questa bolgia, sfruttarla.
uscirne non solo viva ma dotata di ciò che per noi è finzione scenica: le piscine, le pellicce, i giardini pensili, i divani lunghi fin laggiù, i tappeti su cui rotolarsi reggendo bicchieri colmi, per noi spettatori sono lo scenario d’obbligo della commedia, per lei, alla fine, saranno il risultato pratico di tanta fatica, di tanto impegno artistico.

1961 Virna Lisi 1961

Giusto anche questo. Noi, come folla, vogliamo che almeno certi nostri esponenti maggiori possano consumare tutti i nostri desideri. Guai se la diva di Hollywood non inventasse la piscina a forma di cuore, il bikini di pelle di serpente, le ciabatte di visone, guai... Non potremmo perdonarla, non potremmo adorarla. La diva — lei l’ha capito subito, signora Lisi, vero? — ha da essere o terribilmente disgraziata e predestinata a morte violenta, oppure viziata dalle ricchezze e dalla fortuna per decenni. E’ un vecchio argomento, ma serve sempre ripeterlo.

Lei, però, è più brava ancora. Lei gioca e vince su due tavoli, contemporaneamente: lei ha capito che la diva d’oggi deve sapersi programmare secondo un doppio piano. Da una parte il visone, sì, la Rolls Royce, senz’altro, ma dall’altra parte deve lasciare aperto uno spiraglio domestico: ed ecco la diva che ci mostra i bambini, che si fa fotografare in cucina, che non dice "recito" ma "lavoro”, che offre una sua ricetta per la frittata, che insomma confida alle lettrici dei settimanali femminili: sono come voi, e voi siete quasi come me, vedete?, siamo quasi pari, c’intendiamo...

Zucchero all’asino

Be’, questo è un po’ più grave, signora Lisi. Perchè le false parità così sbandierate offendono un poco, rischiano di sembrare un insulto. Ci è più facile e ci sembrerebbe più giusto accettare una condizione di palese disparità. Ci è più facile e simpatico essere divisi che uniti, in questo campo. Questa fraternità così ben studiata e messa in vetrina ha un poco il sapore dello zucchero in bocca all’asino...

Sia sincera e spietata, signora Lisi, sia la diva che vuole essere. Sia cattiva con noi, non provi il sospetto e il desiderio di ammorbidirci. Siamo già morbidi e ben disposti, quindi lei regni secondo le leggi divistiche che hanno da essere dure e aspre. Noi non le chiediamo ordine, fedeltà, sentimenti di buona sorella, ma siamo in attesa di sregolatezze, di macchine dorate, di bagni con diamanti, di sciocchezze strane e violente. Ci dia retta, signora Lisi, esageri, commetta gesti clamorosi, può darsi che il suo avvenire prenda una piega ancora più sostanziosa. Nella sua oculata programmazione, signora Lisi, cerchi di inserire qualche goccia di avventura nuova, imprevedibile. Assuma degli esperti e si faccia consigliare in questo senso. La gente è stufa degli attori che sugli schermi e poi nella vita rappresentano piccole vicende, e tuttalpiù si trasferiscono da un divorzio all’altro.

Ma è possibile che per ritrovare qualche follia si debbano rileggere certe pagine di D’Annunzio, con i bagni ricolmi di petali di rose? Ma è ammissibile che un esponente dei nostri tempi non pensi che a mettere da parte, a tesaurizzare, a correre in banca, e si conceda al massimo un motoscafo o qualche amichetta di terz’ordine? Ma è giusto che tanta gente di buonsenso venga illecitamente privata del gustoso e benefico oblio che i potenti, gli arrivati hanno il dovere di procurarle?

Non possiamo chiedere queste cose alle donne politiche, alle astronave, alle industriali, alle artiste. Se ora ci vengono a mancare anche le dive, addirittura le bionde, allora è la fine.

Non pretendiamo certo degli scandali, perchè niente ormai ci scandalizza più. Non c’è nudità, non c’è avvenimento erotico, non c’è amore perverso o contrastato o distorto che possa colpirci. Chiediamo una diversa, fantasia, un grano di sale che sovverta i nostri quotidiani prono-stici, una spinta bizzarra che rompa l’orizzonte così perennemente limitato.

Lei non ha pensieri, signora Lisi. Ma allora, visto che ha infilata la commedia rosata e levigata, dia libero sfogo a questa commedia, la porti alle ultime conseguenze, alla irrealtà, all’assurdo eletto come norma e come diritto.

I giornali femminili francesi, con quelle loro aggettivazioni premeditatamente iperboliche, vanno paragonandola a Marilyn Monroe. Be’, faccia qualcosa per meritarsi tutto questo favore che la circonda... Lo so, lo so, ho scritto così ad altre attrici, anche a loro ho chiesto un briciolo di bizzarria, di diversità, di giustificazione divistica. E’ un motivo che ritengo adatto, e certo con lei, che vive nella commedia, non posso scambiare opinioni sulla politica americana o sulle crisi delle filosofie contemporanee. Forse lei amerebbe discutere di queste cose, ma come riuscirvi se il brillio e lo sfarzo della commedia ci separano?

Addio, signora Lisi, so che questo discorso è stato inutile. Lei ha troppi programmi per poter concedere a se stessa e a noi un attimo di irrealtà. Addio.

Ci rivolgeremo altrove quando ancora ci pungerà voglia d’incontrare la figlia del Corsaro Nero...

Giovanni Arpino, «Tempo», anno XXVII, 5 maggio 1965


Tempo
Giovanni Arpino, «Tempo», anno XXVII, 5 maggio 1965