De Sica è rimasto senza amici

1964 07 11 Tempo Evi Marandi f0

Per poter finalmente girare un film come voleva lui, il regista ha dovuto rivolgersi a un produttore straniero, lo stesso che ha reso famoso James Bond. Così la sua polemica con i produttori italiani continua: gli Oscar che ha conquistati al nostro cinema non gli sono serviti a nulla

Parigi, maggio

De Sica non lo sa, ma da quando porta gli occhiali rilucenti, con la montatura in metallo argenteo, lo chiamano la limousine. Sotto le luci dei riflettori, nello studio di Billencourt, questi occhiali mandano barbagli, lanciano iridiscenze come le automobili lucidissime. Quando si siede sulla poltrona dinanzi a Christine Delaroche, la sua nuova scoperta, De Sica somiglia a un professore benevolo. E’ vestito di un solido abito grigio, a doppio petto, di taglio un po’ antiquato. I polpastrelli del pollice e dell’indice della mano destra accarezzano il lobo dell’orecchio, in un gesto meccanico come se ne assaporasse la consistenza con coscienziosità. Sul set francese, tra francesi, egli non è il "regista”; è sempre anche là il "commendatore”. Un commendatore che non mortifica gli interpreti; e, paterno, muove lento e ieratico la mano per intimare il silenzio. «Questo è un Paese civile — mi bisbiglia, — questo è il Paese della politesse». Con gli attori si comporta con molto garbo. Alle ragazze dice invariabilmente un vous ètes aimable, o jólie, o charmante. In Italia avrebbe dato del "tu” a tutte, passandole in rivista con l’aria del pascià che valuti le sue schiave per il suo harem o di un mercante di cavalli nell’atto di soppesare un puledro. «Sai — mi dice continuando ad accarezzarsi il lobo dell’orecchio, — in Francia le ragazze non vogliono fare il cinema tanto per fare qualcosa, o perchè attratte da un facile successo». «No — aggiunge con una voce che mi pare un soffio, — no... qui fanno tutto seriamente... Il cinema può aprire loro una carriera... E loro percorrono questa strada con impegno e serietà... Direi, con amore». Come rallegrato di aver trovato la parola esatta, ripete: «Sì, con amore... Ecco, con vero amore...». Seguitando a conversare con me non perde di vista la scena, dietro i vigili occhiali. «Stia calma, Christine, non abbia timore... Lei è stata resa madre da un paparazzo italiano, non da un mostro!...». E accenna con tono affettuoso a Nino Castelnuovo che se ne sta accucciato su una scala come un pappagallo sul trespolo e sorride compiaciuto per questa scena nella quale la ragazza, dopo aver perso per colpa sua la prerogativa provvisoria della purezza, apprende che sarà madre.

«Bisogna avere pazienza», mi dice accavallando le gambe e mettendosi un po’ di sghimbescio in modo che il suo volto risulti di tre quarti. «Zavattini non è un cineasta, è un artista... Questa volta ha fatto un lavoro coi fiocchi... Ce l’ha messa tutta...». Leggo una parte del dialogo e immagino la fatica che un attore deve fare per rigirarsi in quella serqua di subordinate e coordinate, al cui rimorchio ho l’impressione di precipitare in una voragine piena di concetti sulla vita e sul mondo d’oggi, e invano cerco un punto e una virgola che mi conceda un minuto di sosta. «E’ un dialogo concettoso... — mi dice mentre il suo volto diventa sfingeo, — è un dialogo preciso, senza compromessi, che non concede nulla al facile effetto... E’ rigoroso...». E ripete, come colto da una leggera vertigine alla scoperta di questi aggettivi: «Ecco, è rigoroso... Sì, veramente rigoroso...». Si stacca dalla poltrona, passeggia sul set dando disposizioni che tutti eseguono senza discutere; poi, le mani appese al bavero della giacca. torna a sedersi. «Cosa vogliamo raccontare con Mondo nuovo?», riprende con voce soave. Mi guarda come per sincerarsi che imprimerò bene nella mia mente quello che sta per dirmi. «Vogliamo raccontare una piccola storia, semplice, umana, la storia di una ragazza francese... E da questa storia chiederci, a proposito della gioventù, se da essa ci venga una prospettiva di chiarezza...».

Si interrompe per ascoltare il saggio in cui si sta producendo una giovane aspirante ai fastigi dialogici di Zavattini. «Che ne dice, commendatore? — farfuglia la sua assistente al suo orecchio. — E’ un’attrice, non le pare?». «Ecco, recita — ribatte De Sica con tono schifiltoso, — recita... Non va...». Ma alla ragazza che in quel momento finisce di lamentare la sua parte, si rivolge con un sorriso dolcissimo: «Brava, brava, molto bene...». «La mandi a casa», sussurra alla sua assistente.

Christine Delaroche è la nuova scoperta di Vittorio De Sica. L'ultima fatica del nostro regista è terminata proprio in questi giorni, a Parigi. Il personaggio di Christine avrebbe dovuto essere interpretato dalla figlia di Charlie Chaplin, Geraldine, ma all’ultimo momento la sua candidatura è caduta. Produttore del film "Mondo nuovo" è Harry Sultzmann, lo stesso che ha portato sullo schermo - con successo di critica e soprattutto di incassi - il personaggio dell’agente 007, ossia James Bond.

«Stavamo dicendo?», mi fa portandosi il pollice e l’indice al raccordo tra il naso e gli occhi, concentrandosi per riprendere il filo delle sue considerazioni. «La ragazza francese è emancipata, ma è una emancipazione che ha qualcosa di molto morale... La società francese è nell’insieme più seria e più morale della nostra. E’ sorretta da principi... Forse è più sana». Mi fissa leggermente preoccupato, forse sospettando di aver esagerato nel dipingere su un fondo aspro la società italiana. Quasi a riparazione aggiunge: «Sai che cosa c’è di bello in Italia?...». Prima che io possa dire: «Cosa?», mi incalza, sollevando il volto verso l’alto quasi ad alludere a una bellezza che da morale diventa fisica. «Il proletariato... Sì, il proletariato... Quanto sono belli i nostri operai, quanto sono belli...». La sua voce ha l’andamento di un peana, di un’apologia. Sorride sempre, senza minimamente dubitare che, se non fosse il regista che è, con quel sorriso somiglierebbe a propagandista di dentifrici. E ogni tanto, macchinalmente e senz’accorgersene, porta la tenaglia del pollice e dell'indice alla congiuntura del naso con gli occhi. Una sola volta un’ombratura d’uggia gli annuvola il volto. Ed è quando gli ricordo Ponti e Geraldine Chaplin. «Geraldine Chaplin? Ah, si... Doveva interpretare il film... Poi le cose si sono guastate». Per la figlia di Charlot si sono raffreddati i rapporti con Ponti. Però c’è di mezzo Sofia che, presto o tardi, li metterà nuovamente d'accordo, «Cara Sofia! — sospira De Sica — Che donna generosa!, che donna straordinaria!...». Insiste su questi attributi con voluttà, con accenti da innamorato: «E com’è bella, com’è bella!...».

Reso omaggio alla "regina”, si dichiara non più ingordo di dirigerla. «Adesso basta, torno ai miei film, al mio lavoro... Non voglio perdere il contatto con la realtà... Dirigere Sofia è stato delizioso, perchè è una donna adorabile, brava, generosa...». A questo punto sento che le parole di De Sica hanno finalmente peso e sostanza. Verbo non volant. E ad esserne più preoccupata è proprio la Loren che, dopo un incerto inizio hollywoodiano, con De Sica è riuscita veramente ad imporsi. De Sica è stato sempre gentile e buono con tutti. E’ sempre stato incline a perdonare. Ora è deciso. Ponti non gli ha voluto dare Geraldine Chaplin? Ebbene, lui non dirigerà più Sofìa Loren. Ponti non ha voluto produrgli Mondo nuovo? Non avrà più la sua firma da mettere in calce a un suo film. Il senso di questa presa di posizione è chiaro. «Sono bastati due miei film a rendere Sofìa la "star” che dieci film americani non sono riusciti a fare. Ma quando chiedo a Ponti di produrre un film tutto mio, lui tergiversa, si tira indietro». In fondo non gli si può dare torto, se crede di essere stato derubato. Non è più disposto a regalare nulla. D’ora in poi "starà sulle sue” e non defletterà. «Un conto dirsi tuo amico e un conto poter contare sulla tua amicizia — mi fa prendendo decisamente un tono risoluto. — Fammi questo film che poi ti farò fare quello che vuoi tu»; così per anni, senza vedere mantenute le promesse. «Quante volte ho ripetuto questo discorso? —mi dice con accento veramente addolorato. — Vi faccio i film di cassetta che volete, ma di tanto in tanto concedetemi di girare i film che voglio». E per fare il film che vuole, s’è dovuto rivolgere al produttore dei film di James Bond, Harry Sultzmann. «Ecco un uomo intelligente — mi dice De Sica. — Ha prodotto film che hanno incassato miliardi, ma è un uomo di gusto... Sa che il cinema è anche un’arte...». E’ in polemica con i produttori italiani, dunque? «Non me ne parlare...», e lascia la frase costellata di puntini di sospensione.

Maurizio Liverani, «Tempo», anno XXVII, n.20, 19 maggio 1965


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Maurizio Liverani, «Tempo», anno XXVII, n.20, 19 maggio 1965