De Sica in riformatorio
I ragazzi traviati sono il triste lascito di ogni guerra; dopo ogni guerra si parla di loro, si trova loro un nome, si fanno libri e film sulla loro vita: dopo l'altra guerra erano i «besprizorni» russi che attiravano l’attenzione e la curiosità (sempre un po' morbosa) del pubblico; oggi è la volta degli «sciu-scià» italiani. In Russia, verso il '32, Nicolai Ekk fece un film sui «besprizorni»: era un film ottimista e sereno che mostrava come questi piccoli delinquenti possono essere rieducati; quest’anno De Sica ha fatto un film sugli «sciu-scià», ma la sua opera è tragica e pessimistica. E' un film che vuole richiamare l’attenzione del pubblico sulla necessità di affrontare anche da noi questo problema.
Dopo le ultime prove cinematografiche di De Sica come regista si poteva aspettarsi da lui un buon film; quanto egli ha saputo realizzare supera invece di gran lunga ogni aspettativa e lo porta di colpo in primo piano tra i nostri migliori resisti.
All'Istituto Bcccaria di Milano sono stati trasferiti i minorenni rimasti a San Vittore dopo la rivolta, nei sotterranei, in orribile promiscuità con gli altri detenuti, con le cimici, con i topi. Il direttore del «Beccaria» telefonò a De Sica di venirli a trovare.
Sono una quarantina, rinchiusi ora in celle pulite e fresche, ma che hanno ancora sui loro volti la durezza e il rancore delle pene e del disordine patito. Gli uni sono lì da mesi per aver venduto sigarette americane, altri per rapina a mano armata, tutti lì, ad aspettare interrogatori che non vengono mai, processi che non si fanno mai. «De Sica, De Sica. De Sica...»: il nome corre bisbigliato di cella in cella, e De Sica incomincia a interrogarli.
Un volto cupo, rosso e cinico s’illumina, vedendo De Sica, d’un sorriso radioso; «Buon giorno, De Sica!». È un saluto cordiale come tra due vecchi amici. «Beh! che ti è successo?». «Tentata estorsione», risponde il viso rosso e sorridente. «Quanti anni hai?». «Diciassette». «E come hai fatto?». «Ho scritto al direttore della Pirelli che volevo trentamila lire». «E lo minacciavi di morte?». «Sì». «E lo avresti ucciso?». «No». (Risponde un «no» che non lascia ombra di dubbio ). Andò poi all'appuntamento e il direttore della Pirelli gli consegnò un pacco di giornali; poi sbucarono i carabinieri e tutto è finito lì. Suo padre era pasticcere, non stava male. «Perché l’hai fatto? Perché?» Il viso rosso tace impacciato. «Una ragazza?...». Il viso rosso non risponde.
Questo è un caso raro; la maggior parte sono vittime dei grandi, che hanno messo loro in mano un mitra e hanno insegnato loro a sparare, promettendo favolosi guadagni. Quasi sempre i grandi sono scappati, e i piccoli sono stati presi. Come nel film «Sciuscià».
De Sica ha ritrovato nel riformatorio di Milano (tuttora in gran parte requisito dalle truppe alleate) la tragica realtà del suo film. «Ma — ci dice De Sica — qui si vede già un’intenzione di seria educazione; lo si vede dalla modernità del fabbricato, dalla pulizia dei locali, dall’abnegazione dei sorveglianti (300 lire al mese di stipendio!); a Roma era un'altra cosa, a Roma era terribile, i ragazzi erano trattati peggio delle bestie».
Uscendo, una mamma che aspetta di entrare con la borsa gonfia di panini e di arance, lo guarda lungamente, lo ferma timida. «Scusi lei è il direttore?». «No», risponde De Sica, «no». La mamma lo guarda perplessa. «Scusi allora, credevo proprio di conoscerla».
Luigi Comencini, «Tempo», n.19, 1 giugno 1946
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Luigi Comencini, «Tempo», n.19, 1 giugno 1946 |