Approfondimenti e rassegna stampa - Silvana Mangano
40 domande a Silvana Mangano
Silvana Mangano cominciò la sua strada da quei concorsi di bellezza del 1946-47 che hanno dato al cinema italiano la maggior parte delle sue dive. Interpretando "Riso amaro" nel 1949, a diciottenni, si impose immediatamente al pubblico; poco dopo sposò uno dei produttori del film, Dino De Laurentiis. Tutti i suoi film successivi sono stati successi finanziari. Ha due figlie e un maschietto; vive in una villa sull'Appia.
Domanda. - Qual è, nella vita, la cosa che la spaventa di più?
Risposta. - La folla (dalle dieci persone in poi).
D. - E nella sua professione?
R. - La prossima inquadratura.
D. - C’è un personaggio che ha sempre sognato (e mai potuto) interpretare?
R. - No.
D. - Se non fosse divenuta attrice, che cosa avrebbe voluto essere?
R. - Quando mi hanno fatto diventare attrice, avevo diciotto anni. Allora sapevo solamente quello che non dovevo diventare.
D. - Qual è stato, nel corso della sua carriera, l'omaggio più gradito?
R. - Ne ho avuti?
D. - Durante una recente gala del cinema, in Inghilterra, Fattrice Ava Gardner intervenuta in abito da pomeriggio, non ha eseguito la riverenza d’obbligo davanti alla regina limitandosi invece a stringerle la mano. Come giudica questo atteggiamento? In una analoga situazione, come si sarebbe comportata lei?
R. - Avrei fatta la mia riverenza; altrimenti non ci sarèi andata.
D. - Sarebbe disposta a sacrificare la sua carriera per qualcuno o qualcosa?
R. - Sono tante le cose per cui sarei disposta a sacrificare la mia carriera, e non una soltanto.»
D. - Qual è l’avvenimento cui rimpiange di più di non avere assistito?
R. - Non essere stata in fondo al mare quando ci andò il prof. Picard.
D. - Se la principessa Margaret si fosse, a proposito della sua nota vicenda sentimentale, rivolta a lei per un consiglio, che cosa le avrebbe suggerito di fare?
R. - «Lo sposi», le avrei detto, tanto sono sicura che non lo farà.
D. - Avendo deciso di incominciare una nuova vita, con quale "atto” la inaugurerebbe?
R. - Prendere una decisione non è già un ”atto"?
D. - Fra le attrici italiane, lei è considerata una delle più schive di pubblicità e più difficilmente avvicinabili. A che cosa si deve questa sua ritrosia?
R. - Stessa risposta che alla prima domanda (La folla, N.d.R.).
D. - In quali occasioni, nella vita naturalmente, sente di essere "meno” se stessa, ovvero in obbligq di recitare una parte?
R. - Tutte le volte che mi si costringe ad agire contro la mia volontà ( ma poi finisco sempre col fare ciò che mi pare).
D. - Qual è secondo lei il segreto del successo di una donna?
R. - La personalità.
D. - Lei vede precipitare in questo preciso momento una stella. Farebbe anche lei, secondo l’uso, un voto? Se sì, quale?
R. - Lo farei, ma senza riuscirvi. Non si fa mai in tempo.
D. - Chi è la sua eroina nella vita reale?
R. - Che cosa significa?
D. - Se le venisse concesso un titolo nobiliare, quali simboli le piacerebbe far inscrivere sul suo stemma?
R. - Un cipresso con sopra una civetta.
D. - L’interpretazione di un personaggio le ha mai per caso insegnato qualcosa sul suo conto?
R. - No, mai.
D. - Ritiene anche lei che sia un bene offrire continuamente un’immagine falsa e convenzionale delle attrici, anziché presentarle al pubblico tal quali sono, con i loro errori debolezze ecc., come delle donne insomma?
R. - Ritengo che sia un male inevitabile. Il pubblico purtroppo ci vuole come non siamo.
7)7 - Vuol dirmi la ragione per cui, a suo giudizio, i matrimoni fra attori sono spesso così poco felici?
R. - Non ho sposato un attore. In ogni caso penso che la unica ragione possibile sia da ricercarsi nella gelosia professionale.
D. - Una soubrettina in mal di pubblicità vuol far parlare di sè: a tale scopo ingerisce una certa quantità di sonnifero; ma sbaglia dose e muore. Quale sarebbe il suo commento, nel leggere questa notizia?
R. - Mancare un suicidio è grave, ma il contrario è addirittura idiota.
D. - Qual è la più grossa idiozia scritta dai giornali sul suo conto?
R. - Tutte le digressioni sui vari tipi di bombe.
D. - In una intervista, qual è la domanda che la imbarazza di più?
R. - Che cosa penso di Sofia Loren.
D. - Che cosa pensa dei giornalisti?
R. - Che anche il carnefice di solito è un brav'uomo.
D. - Qual è, secondo lei, la virtù fondamentale per una attrice?
R. - La pazienza.
D. - E di una donna, in genere?
R. - Ancora la pazienza, con un pizzico di intelligenza.
D. - Qual è, in società la situazione che la imbarazza maggiormente?
R. - Sentirmi dire: «Ma è vero, signora, che lei ha già avuto tre bambini? Davvero non si direbbe».
D. - Quale delle due figlie di Rita Hayworth avrebbe, secondo lei il diritto di essere più infelice, Yasmine o Rebecca?
R. - Hanno tutt'e due il diritto di essere infelici.
D. - Dovendo narrare una favola ad un bambino, quale sceglierebbe?
R. - Non si devono raccontare favole ai bambini.
D. - Se improvvisamente la radio si mettesse ad annunciare che i marziani stanno invadendo la Terra, quale sarebbe la sua prima e spontanea reazione?
R. - Affacciarmi alla finestra.
D. - C’è un suo film che, se potesse, darebbe alle fiamme perchè non fosse più veduto da nessuno?
R. - Molti, ma quello che conta è averli fatti. Bruciarli non serve, come non serve il rimorso dopo una cattiva azione.
D. - Se le venisse accordato un atto di potenza assoluta che cosa farebbe?
R. - Lo metterei in serbo.
D. - Quando lei chiede un giudizio su una sua interpretazione, desidera che sia sincero?
R. - No. Per questo non lo chiedo mai.
D. - Invitata ad intervenire ad un ballo mascherato, quale travestimento sceglierebbe?
R. - Non accetterei. Ci mancherebbe anche che mi travestissi nella vita privata.
D. - Qual è lo spettacolo naturale che le suscita maggiore emozione?
R. - La pioggia.
D. - Se, dopo morta, le fosse concesso di reincarnarsi in qualche personaggio vissuto prima di lei, su chi cadrebbe la sua scelta?
R. - Su Leopardi.
D. - E per quale ragione?
R. - Aveva anche lui qualcosa per cui si voltavano a guardarlo, ma dietro.
D. - Quale colpa è più propensa a perdonare in un uomo?
R. - Non saprei: può dipendere dal mio umore di quel giorno.
D. - Immagino che lei si sia più volte posta la domanda: «A che cosa debbo la mia straordinaria popolarità?». A quale conclusione è giunta?
R. - Se sapesse...
D. - Marilyn Monroe ha detto: «Ho imparato quanto basta a una attrice: fare la propria firma sotto ad un contratto». Qual è la sua opinione in proposito?
R. - Sì, è vero, ma non si devono dare regole all'imbecillità.
D. - Se il giorno del giudizio universale le venisse contestata la colpa di seminatrice di scandali, come si difenderebbe?
R. - Farei uno scandalo.
Commentare le risposte di Silvana Mangano è troppo facile; direi perfino sleale. Al di là del contenuto delle risposte c’è la forma con cui sono date: questa rivela "ad abundantiam” il suo temperamento. Il suo tono è sovente aspro, talvolta perfino aggressivo. Non è raro il caso che ad una domanda essa risponda con un’altra. Nel caso specifico, tale ritorsione non è un segno né di abilità diplomatica nè, tanto meno, di imbarazzo. Anzi queste sue domande sono spesso più significative delle risposte stesse. «Chi è la sua eroina nella vita reale». «Che cosa significa?» risponde l’attrice. E’ questa la più amara, e la più desolata delle sue risposte. Tra le più significative cito la risposta sull’atto di potenza assoluta: «lo metterei in serbo». Dovrebbe essere la riprova che al presente, non ci sono desideri per lei. Ma poco prima, quando le avevo domandato se vedendo una stella cadere dal cielo avrebbe formulato, secondo l’uso, un desiderio, la sua risposta era stata affermativa. Ma aveva anche aggiunto: «non si fa mai in tempo». Fatalmente, ella è indotta a generalizzare il suo caso personale. Come tutto il resto dell’umanità anche lei ha dei desideri da esprimere ma non sa con precisione quali essi siano. Nel frattempo la stella scompare approfittando della sua indecisione. La sua amarezza che qualche volta confina con un compiacimento spinto fino all’autolesionismo (il giudizio sulle attrici, la frase su Leopardi) nasce appunto da questo suo turbato stato d’anime. Osserverò da ultimo come la Mangano in un gioco come questo partisse in un certo senso sfavorita; la sua sensibilità acutissima l’ha avvertita che c’era un solo modo per salvarsi, quello di affidarsi anziché alla battuta alla più spietata sincerità. Questo non sarebbe ancora bastato se alla sincerità non si fosse aggiunto il pregio e la freschezza di una "spontaneità”, che costituisce il centro motore della sua personalità, di quella personalità in cui come lei stessa ha osservato, deve ricercarsi il segreto del successo di una donna.
Enrico Roda, «Tempo», 1955
Dopo un mese trascorso con i figli nella suntuosa villa di Cap Martin, Silvana Mangano s’imbarcherà per l’America e poco più tardi per l’Estremo Oriente, dove l’attende “La diga sul Pacifico”
Da alcuni anni la famiglia De Laureutiis trascorre le vacanze nella sua stupenda villa di Cap Martin, situata poco oltre il confine italo-francese di Ventimiglia, fra Mentone e Montecarlo. Là Silvana Mangano, perfettamente protetta da ogni sguardo indiscreto, sfugge a quella particolare forma di vita mondana che piace a molte attrici e non è mai piaciuta a lei. La villa di Cap Martin ha un nome ibseniano: ”la casa del mare". Fu costruita mezzo secolo fa da un lord inglese, appartenne più tardi a Donegani. E’ a due piani con venti stanze, piscina e parco.
NELL’ISOLAMENTO DELLA VILLA il gioco delle bocce assume una parte importante. L'attrice vi si dedica con la governante dei propri figli. Silvana Mangano è giunta sulla Costa Azzurra ai primi di luglio, terminate le riprese di "Uomini e lupi”. La lascerà fra pochi giorni, per imbarcarsi a Le Havre col marito, per Nuova York. Qui assisterà alla prima mondiale di "Guerra e pace”. Vi resterà un mese.
«Tempo», 1956
In questi otto diversi «momenti» di Silvana Mangano riflessa nello specchio, ecco una breve sintesi espressiva delle sue capacità d’attrice. Anche a «freddo» come in questo caso, la Mangano ha una carica emotiva che l’obbiettivo rivela malgrado ella si difenda » posando con quel disinteresse e quella noncuranza di chi consideri il proprio mestiere (ed il successo) motivi assai laterali della vita. «Sono un’attrice involontaria — dice — m’interessa soprattutto sentirmi a mio agio con me stessa. E questo non possono darlo nè il denaro nè la popolarità». Forse nasce proprio da questa paradossale considerazione della propria professione il suo modo di recitare che è tra i più intensi e convincenti del cinema internazionale. I suoi personaggi si muovono infatti con quella semplicità espressiva che è una dote dell’attrice vera.
«Le Ore», anno VI, n.260, 3 maggio 1958
«Gazzetta di Mantova», 21 gennaio 1960
Morta la Mangano, mito del dopoguerra
La protagonista di «Riso amaro» era entrata in coma dopo una grave operazione a Madrid. L’attrice aveva cinquantanove anni - Le figlie: «E’ stato un tumore, se una sola persona smetterà di fumare saremo confortate» - Il corpo sarà cremato e le ceneri riposeranno accanto alla tomba del figlio morto in un incidente aereo
MADRID — Silvana Mangano è morta alle 2.10 di ieri nella cllnica «La Luz» dove era stata operata il 4 dicembre per un tumore al mediastino. Aveva 59 anni. La protagonista di «Riso amaro» era malata da tempo e in marzo, a Parigi, una cura radiologica le aveva leso l'esofago. Entrata in coma alcuni giorni dopo l'operazione, l’attrice è stata assistita sino all’ultimo dalle tre figlie Veronica, Raffaella e Francesca: «Nostra madre — hanno detto — aveva un tumore da filmo. Sciogliamo ora il nostro silenzio perché, anche se una sola persona smetterà di filmare, saremo confortate». Il corpo verrà cremato oggi a Madrid e l'urna con le ceneri sarà tumulata nel cimitero Pawling di New York accanto alla tomba del figlio Federico, morto in un incidente aereo in Alaska nell’81. Tullio Kezich, «Corriere della Sera», 17 dicembre 1989
Tullio Kezich, Maurizio Porro, «Corriere della Sera», 17 dicembre 1989
Nel 1948, negli studi romani della Lux iniziai a fare i provini per trovare le protagoniste di «Riso amaro». Ricordo bene la prima volta in cui incontrai Silvana Mangano: entrò nella stanza tutta truccata, con i capelli cotonati, una gonna a corolla strizzata in vita da un alto cinturone. Aveva un colore di rossetto molto forte sulle labbra, gli occhi pesantemente bistrati: le dissi che non era la persona giusta, che non avrei mai potuto scritturarla. Quattro giorni dopo passai per via Veneto e incrociai una ragazzina struccata, con il viso pulito, un cappottino da poco prezzo indosso e una rosa tra le mani. Mi salutò sorridendo e rimasi interdetto.
Ci fermammo a parlare sotto una pioggia sottile e mi ricordò il nostro incontro alla Lux. Le dissi di tornare perché cercavo esattamente una ragazza con il suo volto, con gli occhi spauriti e con il corpo esile e forte al tempo stesso. Da allora diventammo amici e ci ritrovammo poi sul set di «Uomini e lupi» nel 1956.
Cara Silvana: mi restano nel cuore la tua riservatezza, la tua timidezza e quell’immagine di una giovane donna con una rosa in mano che sorrideva sotto la pioggia.
Giuseppe De Santis
Silvana Mangano non era soltanto la persona introversa e riservata che molti ricordano: era anche una donna ricca di humour e spesso era contagiosa nella sua allegria, nella sua vitalità. Preferisco ricordarla cosi: una ragazza semplice, nata da una famiglia piccolo borghese nel quartiere di San Giovanni e dotata di una bellezza mediterranea poi esportata in tutto il mondo.
Per Silvana, prima di dirigerla nel 1959 in «La grande guerra» nella parte di una prostituta che aveva con Vittorio Gassman un incontro, avevo scritto con Steno diversi copioni prodotti da Dino De Laurentiis: «Il brigante Musolino», «Il lupo della Sila». Il nostro cinema, allora, non cercava attrici, ma presenze femminili, «maggiorate», immagini.
Noi registi solo in un secondo tempo «tiravamo fuori» dalle presenze delle maggiorate, scelte per lo più nei concorsi di bellezza, le attrici. Silvana fu abilissima e accorta, in seguito, nel costruire la sua seconda carriera e lavorò sempre e soltanto con autori che stimava, affinandosi sempre più. Ma, al di là dell’apparenza da «lady» di stampo Viscontiano o della donna fatale e importante, restava la ragazza allegra, che a casa De Laurentiis preparava da mangiare per tutti
Mario Monicelli
Lo stupore doloroso alla notizia della malattia di Silvana non riesce a lasciarmi e mi vengono in mente alcuni Natali passati con la famiglia De Laurentiis a Los Angeles. Silvana, che si sentiva una «straniera» in America, aveva voluto portare tutti i suol mobili italiani in California e riceveva gli ospiti in quelli che, sorridendo con discrezione, con pudore, definiva «i miei angoli di Roma».
Per me, senza paura di apparire retorico o banale, Silvana rappresenta la giovinezza, l'esuberanza fisica, la sensibilità. Sul set di «Riso amaro» aveva gli entusiasmi, gli slanci, l'ingenuità di una bambina e uno sguardo caldo, mediterraneo, che le derivava dal padre di origine siciliana. Ma, al tempo stesso, rivelava sempre una forma inconfondibile di introversione, che probabilmente le derivava dalle origini inglesi della madre.
Non era ambiziosa, non lo divenne mai, ma quando incontrandola, molti anni dopo, le dissi che l’avevo giudicata una grande attrice In «Morte a Venezia» e in «Ritratto di famiglia in un interno» di Luchino Visconti, la vidi sorridere e arrossire come quando, sul carretto di «Riso amaro», voltandomi urtavo con il gomito il suo corpo giovane e sano.
Raf Vallone
La Mangano, bellissima e elusiva, gran personaggio: la vita, i film da «Riso amaro» a «Oci Ciornie» - Molto amata dai suoi registi De Sica, Pasolini, Visconti, ma timida, infelice, insicura. Diceva: «Non mi sono mai piaciuta» - «Sono un'attrice improvvisata. Recitazione? Mai studiata» «Nel mio lavoro ho sempre cercato calore, amicizia e vera stima»
Lietta Tornabuoni, «La Stampa», 17 dicembre 1989
Gian Antonio Orighi, «La Stampa», 18 dicembre 1989
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- Enrico Roda, «Tempo», anno XVII, n.32, 11 agosto 1955
- Stelio Martini, «Tempo», anno XVIII, n.10, 8 marzo 1956
- «Le Ore», anno VI, n.260, 3 maggio 1958
- Tullio Kezich, Maurizio Porro, «Corriere della Sera», 17 dicembre 1989
- Gian Antonio Orighi, Lietta Tornabuoni, «La Stampa», 17 e 18 dicembre 1989