Quando c’è la salute: Totò tra ipocondria, bacilli e sigarette

🎭 Il paradosso dell’uomo forte e fragile
Totò, il Principe della risata, l’uomo che sul palcoscenico poteva sconfiggere generali, sbeffeggiare potenti, inventare parolacce come capolavori di dadaismo linguistico, nella vita quotidiana si trasformava in un bambino impaurito davanti al più banale starnuto. Bastava un piccolo mal di testa, un giramento di stomaco o una corrente d’aria malandrina per trasformarlo in un caso clinico da manuale di psicosomatica. È l’eterna contraddizione dell’uomo che domina il mondo della comicità, ma vacilla davanti a un termometro che segna 37,1.
🩺 L’ipocondria come palcoscenico privato
Non bisogna però fraintendere: la sua ipocondria non era solo debolezza, ma una sorta di commedia parallela. Totò aveva il talento di teatralizzare anche i propri malanni immaginari, trasformando l’ansia per un colpo d’aria in una piccola pièce domestica. Per lui il malessere non era mai un sintomo, ma un copione: e chi gli stava intorno diventava pubblico involontario, spettatori di un dramma che finiva quasi sempre in farsa. Un’arte recitativa che sconfinava dalla scena al letto con la borsa dell’acqua calda.
🦁 Il leone ferito che non recita più
Ma quando arrivò la malattia vera, quella che nel 1957 lo colpì agli occhi con la ferocia di un destino beffardo, Totò mise da parte ogni sceneggiatura ipocondriaca. Non c’era più spazio per le smorfie, le lamentazioni o le suggestioni: di fronte alla cecità progressiva si scoprì guerriero. E lì il comico fragile, che fino al giorno prima tremava per un raffreddore, divenne un leone che non ruggisce per scena, ma per necessità. Non recitava più: resisteva, sopportava, affrontava con dignità un male che non concede sipari o applausi.
🕰️ L’ultima recita, senza maschera
E qui si rivela il paradosso più grande: l’uomo che aveva costruito la sua carriera ridicolizzando la paura, la miseria e persino la morte, mostrò nella malattia la sua parte più autentica. Nessuna battuta, nessuna smorfia, nessun “sciù sciù” a esorcizzare il dolore. Solo silenzio, lucidità e una consapevolezza che lasciava attoniti. Non più la fragilità del bambino, ma la forza austera di un adulto che accetta il proprio destino senza barare. Un’altra maschera si rompeva: quella del debole.
Totò come specchio dell’umanità
In fondo, questa doppia natura – il timore esagerato per il piccolo malanno e il coraggio leonino davanti al male vero – è lo specchio di ciascuno di noi. Chi non si è mai agitato per un dolore insignificante, salvo poi scoprire in sé energie inattese nei momenti più drammatici? Totò, con la sua vita e la sua salute ballerina, ha soltanto reso universale ciò che resta nascosto in tanti: la fragilità quotidiana e la forza straordinaria che ci sorprende quando davvero serve.
🏛️ Epilogo: l’eroe imperfetto
Così, il Principe che faceva ridere platee intere si rivela, nel suo rapporto con la salute, come il più umano degli esseri: un uomo che ha tremato per un raffreddore e affrontato la cecità con la fermezza di un eroe tragico. Un’eredità che va oltre la comicità: la lezione che la forza d’animo non si misura nei piccoli timori quotidiani, ma nella grande capacità di stare eretti, con dignità, quando la vita ci mette alle corde.
Quando la paura fa ridere: Totò tra bacilli e sigarette
Capitolo 1: L’Uomo che Temette Tutto… Tranne il Buonsenso
Se volessimo riassumere Totò in una sola immagine, lo vedremmo come un uomo che, con una sigaretta accesa da un lato della bocca e un caffè bollente nell'altra mano, si disinfetta compulsivamente le mani mentre ordina, con tono diffidente, di lucidare meglio il piatto. E magari di cambiare anche il tovagliolo, subito, prima che vi si depositi l'ascella del cameriere di turno. Sì, perché Totò, principe non solo della risata ma anche della paranoia sanitaria, viveva sospeso tra due mondi: da una parte l'autodistruzione silenziosa da nicotina e caffeina (con un’abitudine talmente carica che più che una dieta, sembrava un attentato), e dall’altra una fobia quasi coreografica per le infezioni, le polveri, i microrganismi e qualsiasi oggetto passibile di "contaminazione da mano sudaticcia".
Con una media giornaliera di:
- 2-3 pacchetti di Turmac (cioè l’equivalente di tentare la roulette russa col proprio sistema cardiocircolatorio),
- 15 caffè (che a confronto una Red Bull è una tisana rilassante),
Totò riusciva nell’impresa impossibile di ignorare l’infarto (che, puntuale, arrivò nel 1967) mentre combatteva eroicamente contro il famigerato "Tovagliolo della Morte" dei ristoranti italiani.
«Quante ve ne potrei raccontare. Quei fetenti, col salvietto ci fanno di tutto. Si asciugano le mani, lo stringono sotto l'ascella sudata, se lo passano sulla fronte madida di sudore eppoi ti arrivano davanti sorridenti e ti ci danno una lustrata al piatto. Per carità! E le cucine? Cia vete mai pensato a dare un'occhiata alle cucine di questi localucci pittoreschi con gli agli appesi o le tovaglie a scacchi e gli abatjour? Una zozza, novantanove su cento, un covo di scarafoni, da entrarci con stivali di gomma, mascera e guanti!». Quando proprio era costretto a recarvicisi appresso a qualcuno con cui non aveva potuto spuntarla, entrava circospetto, poi con un pretesto e l'aria svagata andava a girellare verso la cucina e, se ritornando al tavolo ordinava prosciutto e melone e niente più, il verdetto era estremamante negativo. Mai prosciutto e fichi «perchè i fichi li pelano con le mani ed io le schifo quelle mani dalle unghie listate a lutto di certi cuochi che forse hanno appena toccato chissà che, possono aver anche avuto un’urgenza idraulica, e probabilmente non se le sono neppure lavate!»
Franca Faldini
Capitolo 2: Al Teatro della Vita, Totò Recitava Anche da Malato
Curiosa creatura, Totò diventava sorprendentemente felice quando si ammalava. No, non sto scherzando. Costretto a letto, si trasformava da malinconico principe a protagonista assoluto, con tutto il palco domestico pronto ad acclamarlo. Una forma di vanità quasi terapeutica: se il mondo non ti capisce quando stai bene, tanto vale morire (metaforicamente) d'influenza con stile.
L’enciclopedia medica, per lui, non era solo un libro: era la Bibbia, il Codice Penale e il catalogo Ikea del dolore umano. Bastava un colpo di tosse e zac!: Totò si autodiagnosticava un morbo esotico sconosciuto alla scienza moderna. Dopo di che, chiamava il fido dottor Cusumano, un uomo che meriterebbe una canonizzazione solo per avergli risposto al telefono senza perdere il senno.
Cusumano sapeva: se l’autodiagnosi era plausibile, assecondava. Se era una delle solite apocalissi sanitarie immaginate, bastava una scrollata secca per riportarlo alla realtà. Un meccanismo ormai rodato, come quello tra un padre stanco e un figlio troppo fantasioso.
Capitolo 3: Congestione e Tetano, i Nemici Nascosti
Se la paura avesse avuto un nome e cognome, si sarebbe chiamata "Congestione Tetana". Totò evitava dopo pranzo qualsiasi attività che potesse, anche solo lontanamente, alterare il suo delicato equilibrio digestivo:
- Non si radeva,
- Non si lavava,
- Non faceva sesso ("nemmeno se incontrava la femmina più femmina del mondo", chiaro?).
A Rapallo, sotto una pioggia torrenziale, si fece addirittura trasportare a cavalcioni da un fattorino per evitare di bagnarsi i piedi. Altro che principe: qui si sfiora la santificazione del gesto teatrale.

Capitolo 4: L’Internazionale della Fobia
Il mondo, per Totò, era un enorme e minaccioso pronto soccorso.
- A Montecarlo, dopo essersi punto con una pianta tropicale, si convinse di essere prossimo a una morte lenta e velenosa. Soluzione? Treno immediato verso casa e Cusumano on-call.
- A Parigi, una semplice ordinazione di tè si trasformò in uno psico-thriller internazionale. Scoprendo che in città infuriava l'influenza ("la grippe"), Totò scattò come un gatto sulla via del ritorno, per evitare un'epidemia che nella sua mente aveva già assunto proporzioni da fine del mondo.

Capitolo 5: Quando il Vero Dolore Bussò alla Porta
Tuttavia, Totò non era solo il Re degli Isterici, era anche un uomo dal coraggio surreale quando si trattava di vere tragedie. Afflitto da una gravissima malattia agli occhi fin dagli anni '30, capace di ridurlo quasi alla cecità, Totò affrontò il declino fisico con una dignità e una forza che cozzavano clamorosamente contro le sue fobie da "domenica pomeriggio da ipocondriaco".
Generoso fino al sacrificio verso chi amava, riusciva a mettere da parte le proprie sofferenze autentiche per non pesare sugli altri, dimostrando che sotto l'ipocondriaco rumoroso si nascondeva un uomo di rara nobiltà d'animo.
Apparteneva alla categoria degli uomini timorosi di tutto, anche dei malanni o dei pericoli ipotetici che la sua fantasia visionaria trasformava in prossimi e probabili. Come l’estate in cui, alla vigilia della solita partenza in treno per la riviera francese, apprese dalla televisione l’incidente ferroviario avvenuto sotto una galleria nei pressi di Genova che aveva provocato una fuoriuscita di gas tossici e il conseguente avvelenamento di vari passeggeri.
Dormivo da un pezzo nella cuccetta della mia cabina quando fui destata dalla sua voce che mi ingiungeva: «Svegliati e indossala; caspita, fa presto! Sta per iniziare il tratto in cui il convoglio ci si infila sotto! » E spalancando gli occhi lo vidi già bardato con una maschera antigas mentre me ne sballonzolava un’altra sopra al viso. Se le era fatte comperare «per prudenza» dal cugino Edoardo, disse, e aveva vegliato in attesa della sequela di gallerie liguri per metterle al momento opportuno.
L’estrema cautela nel rapporto col proprio corpo, le precauzioni nei confronti di esso rendono la maggioranza degli attori dei malati immaginari, vuoi per via di una notevole ipersensibilità vuoi perché, dopotutto, quello è il loro ferro del mestiere. Qualsiasi sintomo in genere sparisce non appena essi, sotto la luce dei riflettori, entrano nel personaggio che devono incarnare.
Ebbene, da sano, Antonio rappresentava il parossismo di queste fisime: la pressione, peraltro sempre regolare e tendente all’ipoteso, controllata quotidianamente dal medico curante; l’elettrocardiogramma ogni due mesi benché puntualmente definisse il suo cuore da testo, bradicardico quanto quello di Bartali o di Coppi;

Elettrocardiogramma con prova sotto sforzo di Antonio de Curtis, eseguito il 24 agosto 1958 a Roma nello studio del Dott. Pazzini
il terrore per uno starnuto; la devitalizzazione di un dente paventata quanto una laparatomia; il rapporto sessuale mai nel corso della digestione perché «è come il bagno in mare. Ti può andare sempre liscia ma se una volta sei colto dalla congestione ci rimetti le penne. Come Musco che, poveraccio, ha smesso per sempre di dire che c’era abituato...»
Franca Faldini
🎭 Conclusioni
Tra ipocondria e ironia, Totò trasformò paure, visite mediche ed elettrocardiogrammi in materia comica. Questo ritratto della sua salute quotidiana – con sigarette sempre accese, i quindici caffè quotidiani e lavoro incessante – illumina l’uomo dietro la maschera: Antonio de Curtis, tra abitudini, ansie e disciplina di scena.
Riferimenti e bibliografie:
- "Totò, l'uomo e la maschera" (Franca Faldini - Goffredo Fofi) - Feltrinelli, 1977
- "Roma-Hollywood-Roma" (Franca Faldini) - Baldini & Castoldi, 1997
- Documenti: © Archivio Famiglia Clemente © Archivio Domenico Schembari