Lulli Folco

(Firenze, 3 luglio 1912 – Roma, 23 maggio 1970) è stato un attore, regista e partigiano italiano.

Biografia

Figlio del baritono Gino Lulli, fratello dell'attore Piero, compagno di scuola a Milano di Carlo Ponti, arrivò tuttavia al cinema casualmente e "neorealisticamente", scoperto nel 1946 da Lattuada che gli diede la sua prima parte in Il bandito. Da allora il suo fisico massiccio e la sua comunicativa immediata lo portarono, nel biennio 1946-1947, a vari ruoli di caratterista (Il delitto di Giovanni Episcopo, Il Passatore, La figlia del capitano) anche in film comici con Totò o con Macario. Ma in periodo neorealista il suo personaggio fu soprattutto quello del villain: gangster o bieco fattore o profittatore arricchitosi con la borsa nera. Lavorò con De Santis in Caccia tragica (1946) e Non c'è pace tra gli ulivi (1949), con Lattuada in Senza pietà (1948), con Matarazzo ne I figli di nessuno (1951). Nel 1953 Vite vendute di Clouzot gli aprì una carriera internazionale (film con Carnè, Decoin, Cayatte, ecc.), che declinò tuttavia nel corso degli anni Sessanta. Di quest'ultimo periodo si ricordano i film per Monicelli, da La grande guerra a I compagni (suo unico nastro d'Argento) a L'armata Brancaleone. Il suo amore per la professione lo portò a tentare anche la regia (Gente d'onore, 1967) mentre a San Gimignano, dove era andato a vivere, gestiva un ristorante. Nel 1971 usci postumo il singolare Tre nel mille, l'ultimo dei suoi cento film


Figlio del baritono Gino Lulli e Ada Toccafondi, partecipò alla guerra d'Etiopia maturando idee antifasciste e successivamente, dopo l'8 settembre 1943, entrò nelle file dei partigiani, i badogliani azzurri della brigata 1º Gruppo Divisioni Alpine comandata da Enrico Martini ("Mauri"), operante nelle Langhe, tra Murazzano e Mombarcaro, nella quale occupò ruoli di primo piano.

L'inizio della sua attività di resistente viene registrata in una riunione che si svolse a Val Casotto (frazione del comune di Pamparato - Cn) con alcuni sbandati (tra cui molti militari, sottufficiali ed ufficiali, tra cui il generale Perotti, poi fucilato a Torino nel '44). Tra i protagonisti della costituzione di questa prima banda di partigiani ricordiamo Duccio Galimberti (eroe della resistenza cuneese). La riunione si svolse a metà ottobre del 1943, ovvero circa un mese dopo l'8 settembre. Lulli rimase molti mesi in Val Casotto, dove comandò il distaccamento di Tagliante (piccola borgata sul versante del monte Alpet).

Catturato dai tedeschi, fu deportato in Germania ma riuscì a fuggire ed a tornare in Italia a guerra finita.

Dopoguerra

Scoperto da Alberto Lattuada, che nel 1946 lo volle nel film Il bandito, ha ricoperto nel cinema italiano soprattutto ruoli da caratterista. Nel 1967 ha scritto, sceneggiato e diretto Gente d'onore, una storia sulla mafia.

Sofferente di diabete e di difficoltà respiratorie, morì a 57 anni il 23 maggio 1970 al Policlinico Gemelli di Roma, dopo venti giorni di ricovero a causa di una tromboflebite.


Galleria fotografica e stampa dell'epoca

In questi giorni Folco Lulli è “morto” per l’ennesima volta ruzzolando da una scala: il buon “cattivo” dello schermo italiano riesce raramente a sopravvivere fino alla fine di un lavoro

Roma, novembre

C'è un solo argomento intorno al quale Folco Lulli preferisce sorvolare, lui che non ha mai avuto peli sulla Lingua; è quello dell’età dei suoi tre figli e perciò della sua; a questo riguardo è proprio suscettibile, e non perchè si consideri anziano o perchè ciò potrebbe danneggiarlo nella professione. Niente affatto. E' perchè questo contribuirebbe forse a sminuire il suo "charme” maschile al quale tiene più di ogni altra cosa. Al di fuori di ciò, il più sarcastico e divertente critico di Lulli è Lulli stesso. E’ lui il primo a prendersi in giro; a confessare le sue debolezze; a ironizzare per esempio sulle massicce proporzioni del suo corpo.

Evidentemente l’esperienza gli ha insegnato che non sono le dimensioni di un Apollo l’unico "atout” di un dongiovanni; e d’altronde quelle del suo corpo gli sono particolarmente care perchè su di esse riposa la fortuna del suo più celebre personaggio: il cattivo che insidi» le innocenti fanciulle.

Lulli entrò nei panni di questo personaggio vari anni fa, quando Mario Soldati lo prescelse per la parte del protagonista cinico ed egoista di "Fuga in Francia”. Prima di allora aveva interpretato solo ruoli secondari, di bandito simpatico e bonaccione; ma Lulli si era già stancato di far la parte di comprimario dove altri era tenore o baritono, di viaggiare in Topolino quando altri avevano la fuoriserie. Ci era arrivato per caso, al cinema, e aveva cominciato per gioco; ma poiché il gioco si prolungava senza eccessive soddisfazioni egli aveva deciso di abbandonarlo e di tornare al suo proficuo mestiere — interrotto dalla guerra — di fabbricante di medicinali.

Lo trattenne la prospettiva del film di Soldati sul quale puntò tutte le proprie carte. Il regista era disperato perchè non riusciva a trovare l’interprete adatto; aveva cercato per mesi; un giorno si era chiuso perfino con Lulli in una stanza buia e aveva studiato la sua faccia al lume di due candele; finalmente si decise a fargli un provino. Gli consegnò un copione e gli disse di preparare una scena per il giorno dopo. Lulli studiò il copione, afferrò perfettamente la' situazione del personaggio, e si preparò nel modo che ritenne più adatto: durante tutta la notte rimase in piedi, si ubriacò, ballò, corse, si stancò più che potè e la mattina si presentò per il provino con una faccia spaventosa, gli occhi pesti, cerchiati-, il pass» di un uomo stanco e braccato: Mario Soldati gridò al miracolo.

Il film rappresentò per Lulli la prova che egli cercava, la prova cioè che egli poteva considerarsi un attore. Folco è infatti un temperamento essenzialmente istintivo ma, al tempo stesso, è controllato, concreto; gli piace buttarsi, ma a ragion veduta, sapendo di possedere i mezzi per raggiungere uno scopo. La sua vita è piena di decisioni nette e audaci, e di successi. Alla morte del padre entro come impiegato in una Casa farmaceutica; poco tempo dopo era- divenuto produttore in proprio. Fatto prigioniero dai tedeschi e trasportato in Polonia, fuggì dal campo di concentramento e raggiunse le linee russe a Karkov. Così fece nel cinema: dopo "Fuga in Francia”, ormai sicuro del fatto suo, si buttò allo sbaraglio e iniziò una serie ininterrotta di film.

Questa fama l’ha perseguitato fino a poco tempo fa e non l’ha ancora lasciato. Ce n’è voluta, per staccarsela di dosso. E se non ci fosse stato Clouzot che nel film "Vite vendute”, la seconda grande occasione della sua carriera, gli assegnò una parte di povero deraciné, Folco sarebbe conosciuto, ancora e soltanto, come colui che provoca l’odio degli spettatori sensibili per le sue malefatte, stimola la simpatia inconscia dei brutti, e muore regolarmente ammazzato in ogni film. Oggi invece le cose sono un poco mutate. E' vero che Lulli non riesce ancora, o raramente, a sopravvivere a tutta la durata di un film (proprio in questi giorni ha interpretato per otto volte la sua ennesima morte ruzzolando da una scala); ma le sue più recenti interpretazioni lo mostrano sotto un aspetto più complesso, sentimentalmente sfumato, insomma più umano.

Stelio Martini, «Tempo», anno XVII, n.49, 8 dicembre 1955


«Corriere della Sera», 25 maggio 1970


E’ morto oggi in una clinica romana, per occlusione da embolo in vaso sanguigno, l'attore cinematografico Folco Lulli. Era nato a Firenze il 3 luglio 1912. Figlio del baritono Gino Lulli, ebbe una giovinezza avventurosa: nel '36 era a capo di una banda irregolare di indigeni in Africa, e più tardi (nel '43) comandò un gruppo partigiano nei pressi di Cuneo. Fatto prigioniero, riuscì a fuggire, riparando in Russia. Nell'immediato dopoguerra a differenza del fratello Piero che, come il padre, aveva intrapreso la carriera artistica. Folco Lulli abbracciò l'attività di rappresentante di prodotti farmaceutici. Fu un incontro casuale ' con il regista Alberto Lattuada ad aprirgli le porte del cinema. Il bandito segnò il suo esordio sullo schermo e subito pubblico e critica furono concordi nel riconoscergli talento. La sua forte maschera incisiva in breve diventò popolare. Il suo istinto di attore lo portò anche a diventare uno del caratteristi | piu precisi del filone neorealista. Ricordiamo Caccia tragica e Senza pietà (1948).

Però Lulli raggiunse l'apice del successo quando Henri Georges Clouzot lo chiamò a ì sostenere un ruolo di primo plano in Vite vendute nei 1953.

«Corriere dell'Informazione», 25 maggio 1970


Era nato a Firenze 58 anni fa - Il decesso in ospedale - Avviato al cinema da Lattuada

Roma, lunedi mattina.

L'attore Folco Lulli è morto ieri mattina alle 9 in una stanza del policlinico Agostino Gemelli. Aveva 58 anni e la salute mal ridotta da una vita intensa, « spremuta fino all'ultimo respiro », come egli stesso diceva senza scherzare. Venti giorni fa. una trombo-flebite lo ha portato in ospedale; i medici non si pronunciarono sulla prognosi: Diabete e qualche difficoltà respiratoria complicavano disperatamente il suo stato. Tuttavia, sembrava ancora poetsse farcela. Ieri, invece, un'improvvisa embolia lo ha ucciso. In quel momento era solo; la moglie, sposata in seconde nozze, si era appena allontanata con i due figlioletti per tornare a casa, dove l'ha raggiunta la notizia delal scomparsa del marito.

I funerali avranno luogo oggi e già nella notte e ancora stamattina amici e colleghi hanno reso omaggio alla salma dell'attore. Dal Veneto, è giunto anche il figlio maggiore di Lulli, che sta facendo il servizio militare di leva. Folco Lulli era toscano di Firenze e della sua gente aveva pregi e difetti, ma soprattutto i pregi. Impulsivo, generoso, ironico, anche « cattivo » nel rifiuto del conformismo e della finzione.

Anche nel cinema, al quale giunse già uomo maturo, propose questo suo modo di essere: e fu sempre un personaggio duro, o restìo a mostrare la propria natura di profonda umanità. Dei numerosi film in cui lo abbiamo veduto (Caccia tragica. Senza vietò, Non c'è pace fra gli ulivi), ricordiamo soprattutto Vite vendute, di Henry Clouzot. Perché l'abbiamo rivisto appena qualche giorno fa riproposto dal teleschermo, ma anche perché più degli altri riassume nella tragica odissea dei trasportatori di esplosivi Folco Lulli uomo e attore. Figlio dtl baritono Gino Lulli, Folco ebbe infatti una vita avventurosa fin da giovane: nel 1936 si trovò a comandare una banda irregolare di indigeni in Africa Orientale, dove rimase a lungo attratto dal fascino dei luoghi e della gente. Più tardi, nel 1943 fu tra i primi ufficiali dell'esercito a prendere la via della montagna e della Resistenza, assumendo il comando di un gruppo partigiano nel Cuneese. Fu fatto prigioniero, ma riusci a fuggire con l'aiuto di alcuni compagni e a raggiungere la lontana Unione Sovietica.

Nella vita di tutti i giorni si trovava un po' a disagio, « si rischia la noia », ripeteva spesso. Nel dopoguerra fece per qualche tempo il rappresentante di prodotti farmaceutici. Poi, il cinema venne ad offrirgli un modo per vivere in pace. Il regista Lattuada che cercava personaggi per il suo film Il bandito lo scelse per il ruolo di protagomsta. La figura massiccia eppure agile di Folco Lulli, il suo volto intenso ebbero successo sullo schermo e l'attore si impose come uno dei nostri migliori caratteristi.

Livio Zanotti, «La Stampa», 25 maggio 1970


1970 05 26 La Stampa Folco Lulli morte f1Nel nostro cinema i « caratteristi » non sono, come sono nel cinema americano, un punto di forza: i veramente bravi si contaron sempre sulle dita. Ma Folco Lulli avrebbe fatto spicco anche nella Hollywood dei bei giorni. Intanto quel suo corpo toroso, modellato dall'ascia, e quella sua faccia leonina, costituivano, riuniti in una sola persona, quasi un unicum. Poi Lulli portò nel cinema, cui giunse relativamente tardi, molteplici esperienze di vita, che avevan fatto di lui, prima che un personaggio cinematografico, un personaggio nell'ordine vissuto, sicché sul set egli poteva esser maneggiato solo a certi patti. Infine toscano di Firenze (dov'era nato nel 1912), la lingua non gli moriva in bocca, e in qualunque condizione sarebbe sempre stato un uomo e quindi un artista di pochissimi spiccioli.

Benché dotato di mi organo potente, non aveva seguito le orme del padre Gino, apprezzato baritono; ma appena trentenne s'era dato a menar le mani per cause che lo meritassero: nel 1936, in Africa Orientale, come capo d'una banda irregolare d'indigeni; nel '43 come prode co: ndmte d'un gruppo partigiano in Val Casotto nel Cuneese. Caduto prigioniero dei tedeschi durante un rastrellamento e deportato in un campo di sterminio in Polonia, non era uomo da marcirvi. Fuggitone al primo barlume d'occasione, si uni ad alcuni reparti dell'Armata Rossa, coi quali partecipò all'espugnazione di Berlino. La pace trovò Lulli a Tori- no, dove aveva la famiglia. Che cosa avrebbe fatto? Per nulla tentato dal promettente esordio cinematografico del fratello Piero, si sarebbe messo a fare il rappresentante di prodotti farmaceutici, se la montagna non fosse venuta a Maometto: vogliamo dire se il regista Alberto Lattuada (onore a questo Infallibile talent-scout), avendo nella mente una certa grinta per il suo film II Bandito, non avesse scelto proprio la sua.

Così nel 1946, durante il pieno rigoglio neorealistico, cominciò la carriera cinematografica di Folco, e cominciò appunto da un film perfettamente rispettoso della sua natura d'uomo, istintiva, sanguigna, aristocraticamente popolare. Continuando egli in questa intonazione, il neorealismo gli arrise ancora con Caccia tragica e Senza pietà (1948), con Fuga in Francia (1949) e con Non c'è pace fra gli ulivi (1950), opere che nel giudizio del pubblico, il quale gli s'andava affezionando come al pane, non avrebbero potuto prescindere, quale che fosse l'estensione della parte, dalla rude maschera lulliana, da quei suoi soprassalti di belva per lo più buona. A farlo uscire da quei confini un po troppo caserecci, pensò Clouzot, e fu per il Nostro la grande occasione di Vite vendute (testé ripresentato dalla televisione), in cui egli campeggiò protagonista, fra altri protagonisti, di un'atroce avventura mozzafiato, dove la nota più pateticamente umana (miseria e malattia che si mettono all'ultimo sbaraglio) fu forse quella che mise lui. Così laureato in campo internazionale, Lulli divenne inevitabilmente un « duro » o un «patetico» (secondo i casi) di routine; ma con almeno due eccezioni: Occhio per occhio (1957) e, più splendida, I compagni (1963), dove quello scosceso toscano seppe essere un piemontese pastosissimo, l'indimenticato operaio Pautasso. Nella regìa mise il dito nel '67 con Gente d'onore, ma il film del suo cuore sarebbe dovuto essere una rievocazione delle gesta partigiane nel Cuneese; film rimasto nel cassetto, salvo il titolo: Le stelle cadono d'estate.

Lui è caduto nel tardo autunno della vita, fiaccato da un lungo male. Lo ricordiamo quale lo vedemmo l'ultima volta ad Alghero abbiosciato al tavolino d'un caffè. Già non era più lui, sentiva di essere una forza che si andava scaricando, guardava le donne, per cui aveva avuto tanta gola, con occhio appannato e meri sfoghi verbali. Una forza Lulli è stato davvero nella stagione più felice del nostro cinema; una forza che non si sforzava, che aveva in sé il suo' freno.

Leo Pestelli, «La Stampa», 26 maggio 1970



Riconoscimenti cinematografici

Nastro d'argento al migliore attore non protagonista per I compagni (1963)

Filmografia

Regista

Gente d'onore (1967)

Attore

La primula bianca, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1946)
Il bandito, regia di Alberto Lattuada (1946)
Il delitto di Giovanni Episcopo, regia di Alberto Lattuada (1947)
Come persi la guerra, regia di Carlo Borghesio (1947)
La figlia del capitano, regia di Mario Camerini (1947)
Il Passatore, regia di Duilio Coletti (1947)
Caccia tragica, regia di Giuseppe De Santis (1947)
L'eroe della strada, regia di Carlo Borghesio (1948)
Vertigine d'amore, regia di Luigi Capuano (1948)
Fuga in Francia, regia di Mario Soldati (1948)
Senza pietà, regia di Alberto Lattuada (1948)
Il diavolo bianco, regia di Nunzio Malasomma (1948)
Occhio per occhio, regia di George Sherman (1949)
Come scopersi l'America, regia di Carlo Borghesio (1949)
Al diavolo la celebrità, regia di Steno e Mario Monicelli (1949)
Totò cerca casa, regia di Steno e Mario Monicelli (1949), l'ambasciatore del Kubistan (nei titoli è indicato come "il turco")
Gli uomini sono nemici, regia di Ettore Giannini (1949)
Lo sparviero del Nilo, regia di Giacomo Gentilomo (1950)
Non c'è pace tra gli ulivi, regia di Giuseppe De Santis (1950)
Luci del varietà, regia di Federico Fellini e Alberto Lattuada (1951)
Lorenzaccio, regia di Raffaello Pacini (1951)
Lebbra bianca, regia di Enzo Trapani (1951)
I figli di nessuno, regia di Raffaello Matarazzo (1951)
La ragazza di Trieste, regia di Bernard Borderie (1951)
Serenata tragica - Guapparia, regia di Giuseppe Guarino (1951)
Amore e sangue, regia di Marino Girolami e Hans Wolf (1951)
Colpa di una madre, regia di Carlo Duse (1952)
Altri tempi, regia di Alessandro Blasetti (1952)
L'infame accusa, regia di Giuseppe Vari (1952)
Menzogna, regia di Ubaldo Maria Del Colle (1952)
La peccatrice dell'isola, regia di Sergio Corbucci (1952)
Prigionieri delle tenebre, regia di Enrico Bomba (1952)
La colpa di una madre, regia di Carlo Duse (1952)
Vite vendute, regia di Henri-Georges Clouzot (1952)
Sposata ieri, regia di Gilles Grangier (1953)
Riscatto, regia di Marino Girolami (1953)
Maddalena, regia di Augusto Genina (1953)
Non vogliamo morire, regia di Oreste Palella (1953)
Noi cannibali, regia di Antonio Leonviola (1953)
Aria di Parigi, regia di Marcel Carné (1954)
La grande speranza, regia di Duilio Coletti (1954)
Orient Express, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1954)
Acque amare, regia di Sergio Corbucci (1954)
Carosello napoletano, regia di Ettore Giannini (1954)
Il tesoro di Montecristo, regia di Robert Vernay (1954)
Stella di Rio, regia di Kurt Neumann (1955)
Shaitan, il diavolo del deserto, regia di Bernard Borderie (1955)
La risaia, regia di Raffaello Matarazzo (1956)
Londra chiama Polo Nord, regia di Duilio Coletti (1956)
Creature del male, regia di Raoul André (1956)
Ritorno alla vita, regia di José Antonio Nieves Conde (1956)
L'eretico, regia di Francisco Bordja Moro (1957)
Il cielo brucia, regia di Giuseppe Masini (1957)
Gli italiani sono matti, regia di Duilio Coletti (1957)
Io Caterina, regia di Oreste Palella (1957)
Occhio per occhio, regia di André Cayatte (1957)
Nel segno di Roma, regia di Guido Brignone (1958)
La grande guerra, regia di Mario Monicelli (1959)
Lupi nell'abisso, regia di Silvio Amadio (1959)
La regina delle Amazzoni, regia di Vittorio Sala (1960)
Il ratto delle Sabine, regia di Richard Pottier (1961)
La spada dell'Islam (Wa Islamah), regia di Enrico Bomba e Andrew Marton (1961)
Marte, dio della guerra, regia di Marcello Baldi (1962)
Il giorno più corto (1962-1963), un ufficiale italiano
I compagni, regia di Mario Monicelli (1963)
Il segno di Zorro, regia di Mario Caiano (1963)
D'Artagnan contro i 3 moschettieri, regia di Fulvio Tului (1963)
Oltraggio al pudore, regia di Silvio Amadio (1964)
L'armata Brancaleone, regia di Mario Monicelli (1966)
Chi ha rubato il presidente?, regia di Jacque Besnard (1966)
Testa di rapa, regia di Giancarlo Zagni (1966)
Anche nel West c'era una volta Dio, regia di Marino Girolami (1968)
Non cantare, spara, regia di Daniele D'Anza (1968)

Doppiatori

Giorgio Capecchi in Nel segno di Roma, I figli di nessuno, La figlia del capitano, Menzogna, Londra chiama Polo Nord, La regina dei Tartari, Il ratto delle Sabine, Ester e il re
Mario Besesti in Fuga in Francia, Al diavolo la celebrità, Lo sparviero del Nilo
Michele Malaspina in Non c'è pace tra gli ulivi, Luci del varietà, Serenata tragica
Luigi Pavese in Sotto dieci bandiere, Gli invasori
Gaetano Verna in Il passatore
Vinicio Sofia in Aria di Parigi
Emilio Cigoli in La risaia
Enzo Liberti in L'armata Brancaleone
Carlo Romano in The Viscount: furto alla Banca Mondiale
Ignazio Balsamo in Gente d'onore
Mario Feliciani in Spara gringo spara


Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
  • Stelio Martini, «Tempo», anno XVII, n.49, 8 dicembre 1955
  • «Corriere della Sera», 25 maggio 1970
  • «Corriere dell'Informazione», 25 maggio 1970
  • Livio Zanotti, «La Stampa», 25 maggio 1970
  • Leo Pestelli, «La Stampa», 26 maggio 1970