Il mestiere di Mike Bongiorno
Il presentatore italo-americano spiega le ragioni, i vantaggi e gli inconvenienti della straordinaria popolarità da lui conquistata in poco più di un anno e che costituisce in Italia, nel campo della radio e della televisione, un fenomeno nuovo.
Davanti al televisore acceso stavano due giovani signore, una signorina, tre uomini e un bambino. Comodamente distribuiti fra divano poltrone fumavano e bevevano. Meno il bambino che sedeva sul tappeto succhiando una caramella. Sullo schermo Mike Bongiorno chiacchierava pianamente. Al termine della trasmissione il padrone di casa, rappresentante di una ditta di medicinali, disse: «Chissà perchè Bongiorno è diventato così importante. Più di parecchi altri presentatori, voglio dire».
«E’ simpatico e molto bravo» disse la prima signora.
«Ha un certo modo di fare, come dire, quasi timido ma con signorilità, anche se a volte indossa quelle orribili giacche di taglio americano» aggiunse la seconda signora.
«E' un bell’uomo» disse la signorina.
«Niente, su per giù, che non abbiano anche altri suoi colleghi» osservò un amico del padrone di casa.
«E' amico mio» disse il bambino mentre io portavano a letto.
Il giovane presentatore fu oggetto di conversazione ancora per diversi minuti. Ma. nel complesso, non risultò una ragione che giustificasse chiaramente la straordinaria popolarità che Mike Bongiorno ha saputo conquistarsi in un tempo relativamente breve. Giunto in Italia nel novembre del 1953, per la radio di New York, con l’incarico, viaggiando attraverso le varie regioni, di mettere in contatto gli italiani d’America con i loro paesi di origine (il programma è intitolato «Il vostro paese»), ha iniziato il suo lavoro alla televisione italiana nel dicembre dello stesso anno, quando questa non era ancora nata ufficialmente. E in poco più di un anno si è accattivato le simpatie di un pubblico che, come egli stesso afferma, è tutt’altro che facile. Riceve centinaia di lettere al giorno e distribuisce settimanalmente cinquecento fotografie con autografo. Fra le tante offerte, una Casa cinematografica italiana gli ha persino proposto di girare un film sulla sua vita nel quale egli sarebbe l’interprete di se stesso. Un film autobiografico di un uomo che ha da poco compiuto trent’anni.
Abbiamo allora chiesto a Mike Bongiorno le ragioni del "fenomeno Bongiorno”. Pare dunque che l’opinione del giovane presentatore coincida esattamente con quella del bambino che, pur non avendolo mai visto in carne ed ossa, lo considera suo amico personale.
«Vede», ha detto, «quando io all’inizio di una trasmissione radiofonica o televisiva, ma soprattutto televisiva, entro nelle case della gente, nei bar, nelle osterie di paese, me ne rendo perfettamente conto. Non m’interesso soltanto del pubblico in teatro. E desidero allora diventare amico di tutti e che tutti siano amici miei. Perchè la gente, le persone, costituiscono il lato più bello e sempre affascinante della vita. Ciò non mi costa alcun sforzo perchè io sono realmente fatto cosi. Voglio dire che la gente mi piace, per questo desidero automaticamente essere un amico per tutti, per quanto è possibile. Alcuni presentatori, e questo accade soprattutto in Italia, hanno la tendenza di "servirsi” del pubblico e, a volte, quando durante uno spettacolo chiamano qualcuno presso il microfono, lo prendono magari un po’ in giro. E’ troppo facile e non è giusto. E io credo che la mia popolarità sia appunto un fatto di amicizia. Perchè altrimenti mi scriverebbero pacchi di lettere chiedendomi e dandomi consigli? Le lettere di carattere sentimentale costituiscono una piccola percentuale. E le persone che mi fermano per la strada, che vogliono fare quattro chiacchiere con me in treno? Lo fanno perchè "sentono” che lo desidero anch’io».
Il modo di parlare, di muoversi, il sorriso di Mike Bongiorno mentre conversa diciamo privatamente, sono gli stessi che tutti ormai conoscono attraverso la radio e la televisione. Uguale anche il ritmo nel flusso delle parole. E ciò avvalora la sua tesi quando afferma che il suo successo è dovuto al fatto che si comporta in pubblico come nella propria casa romana, per la strada e nei caffè tra gli amici. Come, cioè, egli è realmente e sempre.
Mike Bongiorno è nato a New York da padre siciliano e madre piemontese. Figlio unico. Doveva, come il padre, diventare avvocato e il programma. anche se non lo entusiasmava eccessivamente, nemmeno lo disturbava. I genitori lo portarono per la prima volta in Italia, per un breve soggiorno, quando aveva quattro anni. In seguito lo accompagnavano soltanto all'aeroporto di New York ma hanno voluto che studiasse, sino al liceo, in scuole italiane. Ritornava a casa per le vacanze. In questo modo il piccolo Mike crebbe parlando due lingue come se ognuna di esse fosse la propria. Quando scoppiò la guerra frequentava il liceo di Torino e non ebbe la possibilità di raggiungere i genitori in America. Fece parte di un’unità partigiana dove la sua perfetta conoscenza delle lingue italiana e inglese venne sfruttata per stabilire e mantenere i collegamenti segreti con gli alleati. La notte del 14 aprile 1944, braccato dai tedeschi, tentò con altri di rifugiarsi in Svizzera ma venne catturato prima che potesse varcare il confine, mentre dormiva in un casolare. Con le spalle appoggiate a un muro stava per essere fucilato, già alcuni soldati tedeschi avevano puntato le armi, quando un ufficiale intervenne sospendendo l’esecuzione. Trascorse due mesi nel carcere di San Vittore, a Milano, e poi venne tradotto in un campo di concentramento in Germania. Soltanto nel marzo del 1945, in seguito a uno scambio di prigionieri, potè ritornare presso i genitori.
«E' stato un brutto periodo», racconta, «ma che mi ha fatto comprendere molte cose».
Giunto negli Stati Uniti dovette raccontare la sua storia ai giornalisti e lo fecero parlare alla radio. Era la prima volta che avvicinava un microfono «ma se la cavò benino» e così gli offersero di partecipare a un programma. In tal modo ebbe inizio la sua carriera. Da allora le esperienze del giornalista, radioannunciatore e presentatore Mike Bongiorno sono state molte. La sua professione non è nè facile nè priva di inconvenienti, tutt’altro. Ma più che i disagi e le avventure a volte spiacevoli di viaggio, lo rattristano le errate interpretazioni di alcuni atteggiamenti o frasi. L’essere frainteso, come del resto è inevitabile in un lavoro come il suo, lo fa stare veramente male. «Sono le uniche cose che possono non farmi dormire, tanto mi rattristano» dice.
In Sicilia, ad esempio, durante una trasmissione radiofonica, a una giovane signora che si era spontaneamente presentata al microfono per risolvere i consueti giuochi, porgendole in premio un pacco di prodotti di bellezza disse: «Lei conosce, è vero, il prodotto X?». Il prodotto X è una particolare marca di shampoo. Nessuno fra il pubblico disse nulla ma il giorno successivo, e per parecchi giorni, fioccarono da tutte le località della Sicilia lettere a centinaia nelle quali i suscettibili isolani si esprimevano, a proposito di quella frase, con termini di questo genere: «...cosa crede lei, che le nostre donne non si lavino mai i capelli?». Oppure: «...non avremo forse qui le ricchezze dell’America, ma le donne siciliane hanno i capelli altrettanto puliti delle americane...».
A noi, ascoltando, la storia suscitò il riso ma Mike Bongiorno non sorrise nemmeno, anzi era decisamente serio e si capiva che il ricordo lo preoccupava tuttora.
Un’altra volta, in una città dell’Italia centrale, per convincere una graziosa signorina ad avvicinarsi maggiormente al microfono affinchè la sua voce fosse udibile chiaramente, la prese per un braccio. La fanciulla indossava una camicetta di lana senza maniche. Giunsero lettere del seguente tenore: «...e non è bello profittare delle circostanze per compiere gesti consentiti soltanto a un fidanzato...». Oppure: «...era proprio necessario che lei afferrasse per il braccio nudo quella signorina?».
Anche qui Mike Bongiorno non sorride. «Non mi sono mai permesso», dice, «di prendere in giro qualcuno e tanto meno di compiere un gesto che non sia corretto. Ma è difficile, creda, specie quando si improvvisa, parlare in continuità costruendo frasi che non corrano il minimo rischio di essere fraintese».
E’ certamente una professione, quella di Mike Bongiorno beniamino di milioni di ascoltatori, che determina una certa tensione. Per riposarsi ha affittato Un villino a Salice d’Ulzio, a Sestrière, dove trascorre in assoluta tranquillità tutti i giorni, pochi, che il lavoro gli lascia liberi. Nel silenzio della montagna, legge molto, fuma la pipa, non beve alcoolici, e girovaga sciando tra le valli. Tre settimane fa è caduto e ha preso una forte botta alla spalla destra. Ancora adesso non può alzare completamente il braccio e gli dolgono i muscoli, tenendolo dietro la schiena.
«A proposito di braccia dietro la schiena...» diciamo.
«E dove le dovrei tenere?» ci interrompe. «Incrociate davanti non sta bene, lungo i fianchi se mi sfugge di gesticolare alla televisione rischio di coprire i volti di chi è accanto al microfono e in prospettiva le mani diventano enormi sullo schermo, in tasca meno che mai. No, non è questione di timidezza, anche se in un certo senso io sono timido. Non sono impacciato. Non c’è veramente altra soluzione».
Flavio Simonetti, «Tempo», anno XVII, n.13, 31 marzo 1955
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Flavio Simonetti, «Tempo», anno XVII, n.13, 31 marzo 1955 |