Totò come una passeretta nel suo film «Dov'è la libertà?»

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L'incontro più sensazionale della stagione cinematografica. È il Totò come una passeretta? - «Dov'è la libertà» come «Europa '51»: ovvero Rossellini fa la parodia di se stesso

Roma, dicembre

L’incontro più sensazionale dela stagione cinematografica è senza dubbio quello fra il tragico Rossellini e il comico Totò, rispettivamente regista e protagonista del film Dov’è la libertà. Inutilmente, come l’astuto barone di buona memoria, ho però cercato di raccogliere dalla viva voce dei due interessati le loro impressioni sul singolare avvenimento: niente da fare, peccato, e pensare che sarebbe potuto essere una cosa così curiosa e istruttiva. Rossellini, stanco morto per il gran daffare che gli dà la versione inglese di Europa ’51 cui sta lavorando in questi giorni, si limita a sorridere dichiarando di non aver nulla da dichiarare: «Non che voglia fare il misterioso — dice — non è il caso. Ma ogni volta che ho finito di girare un film, per un po' di tempo è come se questo film non esistesse più; anzi, non fosse mai esistito. Questione di prospettiva, credo: come i pittori che per rendersi conto del quadro debbono fare qualche passo indietro. Io debbo aspettare che ci passi su qualche settimana». Quanto a Totò, perdurantemente impegnato in aspra pugna per la successione al trono di Bisanzio, non mi è parso delicato andarlo a disturbare: sarebbe stato come se un cronista dell’epoca, nel pieno della battaglia di Marengo, si fosse permesso di tirar la giacchetta a Napoleone Bonaparte per dirgli scusi, generale, a che punto è con Giuseppina Beauharnais? Non son cose da farsi.

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Una passeretta

Di Totò attore nell’esercizio delle sue funzioni mi ha parlato invece l'informato amico E. A. (di cui non scrivo il nome per disteso all’umanitario scopo di evitargli eventuali rappresaglie). «E’ il Totò come una passeretta — mi ha detto con audace reminiscenza carducciana — il più incantevole simpatico sublime incosciente della cinematografia italiana ed estera. Davanti alla macchina da presa egli si comporta esattamente come l’intimità del suo stanzino da bagno o, meglio, come un amabilissimo innocuo tigrotto minorenne nell’ angolo più appartato della sua giungla: s’intrattiene, più che non lavori; ruzza più che non reciti. Segue i propri variopinti pensieri come farfallette e, dietro a quelli, svolazza fior da fiore con infantile imprevedibilità. Onde la fatica che si fa a tenergli appresso e alia quale ci si sobbarca peraltro volentieri in vista dei risultati. Perchè filmare Totò è come fotografare un bambino o un uccelletto in libertà: che per un po’ ti fa uscir pazzo, ma quando infine l’azzecchi al momento buono è una sparata tale e quale». Come da informazioni assunte — e salvo le rettifiche che, non sarebbe la prima volta, si potran fare dopo aver visto il film — pare sia questo Dov’è la libertà di cui, oltre ad assumere la responsabilità della regìa, Rossellini ha anche fornito il soggetto: un’opera cioè che. fortuna aiutando, potrebbe ripetere il caso felicissimo dei recente Cappotto dove un regista «serio» come Lattuada e un attore «buffo» come Rascel firmarono in solido qualcosa di assai vicino al capolavoro.

Ad ogni modo, e tanto per non mettere il carro avanti ai buoi ch'è sempre una faccenda rischiosa, di questo si tratta: che dopo aver trascorso venticinque anni al fresco per aver sgozzato l’amante di sua moglie. Totò vien scarcerato e si dispone a riassaggiare la bella libertà. Ma molte cose son mutate dal tempo in cui diede al mondo il suo addio coatto. Ed ha subito modo di accorgersene quando per soddisfare la gran fame di carne di femmina cresciutagli nel lungo soggiorno in carcere abborda per strada una vistosa tizia con sigaretta pendula all'angolo della bocca e tutta truccata e combinata sgargiantemente che essendo semplicemente, contro ogni aspettativa dell'ignaro, una signora di ottimi costumi vestita alla moda — lo respinge con ira e abominio esclamando non son colei, non con colei che credi. Dal che il Totò liberato dal carcere comincia col farsi, un’idea sbigottita ma abbastanza precisa sul come girano oggi le rotelle della nostra svitata società. Ma non è tutto. Altri edificanti particolari gli son riservati per il momento in cui rientra nel seno di quel che rimane della sua famiglia: la quale lo riceve bensì con grande abbondanza d’inchini e riverenze ma gli chiede in cambio»— come niente fosse — di assumersi l’incarico di ammazzare un certo tizio, un ebreo che strepita perchè gli sian restituiti i beni di cui i raccomandabili parenti di Totò s’erano impadroniti dopo avergli mandato il padre a morire in un campo di concentramento tedesco. Profondamente colpito da tanta nequizia, l’integerrimo ex galeotto si ripromette di far scempio dei suoi indegni congiunti: ma prima che egli si risolva a mettere in atto il tremendo disegno, l’ebreo provvede ad accordarsi con gli avversari e fa fronte unico con essi per dar la croce addosso al tapino Totò.

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L'evasione

Nè ciò basta: la servetta pudica e ingenua su cui il buon uomo ha posato i candidi occhi non tarda a rivelarsi in tutta la sua sordida cialtroneria confessando all'allocco che aveva accettato le sue attenzioni solo perchè, ritrovandosi clandestinamente incinta, era alla caccia di un merlo tappabuchi. Quest’ultima mazzata è eccessiva anche per la cervice di Totò. Che pertanto decide di tornare nel solo luogo donde si gode la vista, sia pure illusoria, di un mondo buono bello e puro. E realizzando un piano che aveva ruminato nei venticinque anni di reclusione. Totò evade alia rovescia: dal di fuori al di dentro, dalla libertà alla galera. Anche qui. naturalmente, gli fanno un sacco di storie: ch'egli non ha diritto di starsene in cella dal momento che i termini della sua condanna sono scaduti. che il carcere non è un ospizio né una casa di riposo, eccetera, eccetera. Martellato dalla disperazione il cervello di Totò sprizza faville e gli suggerisce la scappatoia: «Mi son reso colpevole di "violazione di domicilio” — comunica infine trionfante a un interdetto procuratore generale — sia pur esso ”domicilio coatto”: in prigione ci sono e legalmente fil di codice, accontentato».

Può essere solo un'impressione mia ma questo Dov’è la libertà mi ha tutta l'aria di riproporre in chiave comica il problema drammatico di Europa ’51 di cui - sia pure per tutt'altre vie e con tutti altri accenti - giunge alla stessa conclusione: che cioè alle anime candide si addicono i luoghi chiusi, prigione, manicomio o casa di salute. Doppiamente interessante, se cosi fosse: anzitutto, come si diceva, per la singolarità dell'incontro Rossellini - Totò, e poi per la curiosità di vedere come un regista illustre, forse inconsciamente e forse no. metta in parodia se stesso e fino a che punto spinga il gioco.

Gigi Caorsi, «Gazzetta del Popolo», 10 dicembre 1952


Gazzetta del Popolo
Gigi Caorsi, «Gazzetta del Popolo», 10 dicembre 1952