Sangue vero sul ginocchio di Silvana
A causa di un tuffo pericoloso Silvana Pampanini è stata costretta a interrompere la lavorazione del film "Noi cannibali"
Roma, agosto
Antonio Leonviola non è un regista portato agli scatti d’ira o alle chiassare. Eppure, il 25 luglio scorso, nella darsena di Civitavecchia, diede per qualche istante l'impressione di aver perduto il controllo di sé. Si abbandonò ad espressioni rabbiose; s’accanì contro il vecchio casco coloniale col quale esordì nel cinema, in Africa, quindici anni fa, che ha rispolverato in questi giorni per difendersi dal sole. I suoi collaboratori pensarono che la sua irritazione fosse dovuta all’interruzione dei lavori, alla quale li aveva costretti l’incidente occorso a Silvana Pampanini. Ma non era cosi. Anche Leonviola, come tutti gli altri, accoglieva quasi con sollievo quei due o tre giorni di forzato riposo. Il regista ce l’aveva invece con «la sorte nemica». Ripeteva continuamente mentre strapazzava il casco coloniale: «Ci sarebbe voluta la macchina pronta lì, al momento del tuffo di Silvana. Avremmo girato tre o quattro inquadrature "vere” nel senso assoluto della parola. Di quelle, insomma, che, a provarle e riprovarle per un mese di seguito, non si riesce mai a realizzare in maniera perfetta».
CIVITAVECCHIA. Silvana Pampanini tra Folco Lulli (a sinistra) e Vincenzo Musolino in una scena di «Noi cannibali». L’attrice fa la parte di una ragazza che rimasta sola finisce vittima dei disordini del dopoguerra.
Effettivamente, l’occasionale incidente capitato a Silvana Pampanini aveva avuto uno svolgimento tipicamente cinematografico. Mentre, nella darsena di Civitavecchia, si stava preparando una scena del film Noi cannibali, l’attrice aveva pregato Leonviola di autorizzarla a prendere un bagno. Senza permesso non si sarebbe mai azzardata a farlo; da tempo, infatti, per la sua disciplina sul lavoro, è stata soprannominata «Silvana, dieci in condotta». Per quanto avesse a disposizione circa un'ora di tempo, quella mattina Silvana non volle allontanarsi dalla darsena. Sempre tallonata dal fedelissimo «commendatore», cioè da suo padre Francesco Pampanini, che da anni ricopre il doppio ruolo di segretario e di guardia del corpo dell’attrice (spesso è stato scambiato per suo marito o per il suo amante, anche per il suo aspetto giovanile), Silvana si arrampicò sulla scogliera del vecchio porto. I marinai che stavano a cuocersi al sole le avevano detto che l’acqua era profonda. Alcuni, anzi, si erano immersi prima di lei, per rassicurarla. Da un’altezza di circa tre metri, l’attrice spiccò il salto.
SILVANA PAMPANINI e Vincenzo Musolino, i fidanzati del film, in una scena d’amore. In «Noi cannibali» Silvana Pampanini ritorna alla parte di donna provocante con cui iniziò la sua carriera di attrice.
Con stile perfetto, ma senza eccessivo slancio, si tuffò nell’acqua a meno di un metro dalla scogliera. Siccome tardava a tornare a galla alcuni marinai si diressero subito verso il punto dove s’era immersa. Ricomparve infine con la testa. Aveva il viso alterato da una zia. Nell’uomo, un ricordo domina su tutti gli altri: quello di Maria, la sorella di Virginia, alla quale era fidanzato. Con Maria aveva rincorso i sogni più belli, distrutti dalla guerra, come le loro case e le loro speranze. Per un po’, Aldo e Virginia si comportano da vecchi, quasi fraterni amici. Ma nel cuore della notte, dinanzi al loro mare, si lasciano improvvisamente sopraffare dai sensi. Si mettono poi a vivere insieme, in una baracca che Aldo ha costruito sui ruderi delle antiche mura romane lungo la darsena. L’uomo, ossessionato dal desiderio di farsi una vita come tutti gli altri, cerca disperatamente e invano un’occupazione. Virginia riesce ad avere un posto di sguattera in una trattoria; ma non regge a lungo perché il suo padrone non è diverso dagli altri uomini: la sua galanteria, anzi, è brutale ed animalesca. Dinanzi all’ostilità, al cannibalismo di chi li circonda, Aldo e Virginia si cullano in un fantastico sogno: quello di rimettere a galla un peschereccio affondato durante la guerra, per assicurarsi così un certo benessere.
VINCENZO MUSOLINO e Folco Lulli, che impersona il tipo dell'uomo brutale arricchito colla guerra, lottano per il possesso di Virginia. Il film è diretto da Antonio Leonviola.
Ma gli eventi precipitano. Tango, uno dei tanti cannibali della società moderna, ha messo gli occhi su Virginia. Vuol farla sua a tutti i costi. Non riuscendovi con la pura e semplice offerta di denaro, cambia tattica. Comincia col trovare per Aldo un’occupazione notturna, in modo che Virginia, la sera, rimanga indifesa nella sua baracca. Poi studia un piano per costringe la donna alle sue voglie. Ma un incidente viene a ritardare la attuazione dei suoi progetti: durante un ballo all’aperto, Virginia, che tutti considerano una prostituta, viene trascinata in mezzo ad un gruppo di ubriachi. Gli uomini se la passano uno con l'altro, finché lei non cade a terra estenuata. Virginia attende un figlie. In seguito a quei maltrattamenti, il bimbo nasce morto. La donna non s’è ancora rimessa dalla malattia, quando Tango, stanco di attendere, va di notte a trovarla nella baracca. Tenta con le buone. Poi, quando capisce che non potrà mai vincere le resistenze della donna, ricorre alla violenza. Nella lotta, Virginia cade e si ferisce mortalmente alla testa. Tango fugge. Nella darsena, però, qualcuno l'ha riconosciuto. Qualche giorno dopo, Aldo si ritrova, di nuovo solo, dinanzi alla tomba di Virginia, dove non ha potuto mettere che pochi fiori di campo. Mentre è lì, ormai vinto da un destino al quale non sa ribellarsi, un'altra donna cammina verso di lui, gli si ferma accanto. È Maria, l’antica fidanzata. Insieme lasciano il cimitero, tornano nel mondo dei cannibali. Forse insieme riprenderanno la lotta.
Renzo Trionfera, «L'Europeo», anno IX, n.33, 9 agosto 1953
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Renzo Trionfera, «L'Europeo», anno IX, n.33, 9 agosto 1953 |