Silvana Pampanini pedinata da un innamorato
Silvana Pampaninl, appena rientrata in Italia, ha scritto per “Tempo” queste rapide e gentili impressioni del suo viaggio in Russia con la delegazione del cinema italiano
Mosca, ottobre
Più giro il mondo e più lo trovo diverso da come lo immaginavo. Anche la Russia. Come avrei potuto pensare che nel Paese di Lenin e di Stalin mi sarebbe accaduto di incontrare un tipo come Vladimiro, l’ardente ammiratore di Leningrado? Un tipo che sopravvive forse al Messico e in Argentina: ma trovarlo qui, nella città di "Delitto e Castigo”, dopo quasi mezzo secolo di comuniSmo? Mi si appiccicò alle costole una sera che ci avevano portato tutti a ballare all’Astoria che è un grande ed elegante albergo vicino alla cattedrale di S. Isacco. In Russia c'è un’usanza che in fondo trovo carina: si invitano a ballare anche le ragazze che stanno ad altri tavoli senza chiedere il permesso dei loro cavalieri. E nessuno se ne offende. A Roma volerebbero schiaffoni.
Dunque Vladimiro si fa avanti e mi invita. Io accetto. Vladimiro è poliglotta e comincia a scaricarmi addosso un torrente di complimenti in inglese, francese, italiano e in qualche altra lingua ancora. Poi mi dice di essere scultore e che vuole farmi un busto di marmo. Gli rispondo che adesso non c'è tempo perchè gli altri suoi compatrioti vogliono vedermi per controllare se nella realtà sono come nello schermo o se mi manca qualcosa. Respinto, Vladimiro, che fra parentesi è un bel ragazzo e anche ben vestito, si accuccia ad un tavolo d'angolo e continua a fissarmi per tutta la serata. La mattina mi manda fiori. La sera lo ritrovo all'Astoria. La mattina dopo altri fiori: insomma un classico assedio. Poi parto per Kiev e ritorno a Mosca. Nel corridoio dell'albergo davanti alla mia porta trovo Vladimiro che mi aspetta. Mi guarda con quel suo sguardo alla Rodolfo Valentino e mi dice: «Io sono venuto per lei da Leningrado a Mosca, lei deve stare sempre con me». «Addolorata» dico io. Insomma la corte di Vladimiro è stata una cosa dell’Ottocento, una cosa che non si trova più nel mondo d’oggi. Ci mancava solo che si togliesse di tasca una rivoltella e si uccidesse lì, in piedi, nel corridoio.
A LENINGRADO, parallelamente a quello organizzato a Mosca, s'è svolto un ciclo di proiezioni nel quadro della "Settimana del film italiano”; e come nella capitale, anche nella grande città baltica la delegazione italiana è stata fatta segno a grandi manifestazioni di simpatia. Nella foto: Silvana Pampanini risponde agli applausi del pubblico che affolla il cinema "Velikan”, uno dei più grandi di Leningrado. Dopo la proiezione, centinaia di entusiasti spettatori hanno seguito gli attori e attrici italiani fino ad un teatro cittadino, dove in onore della nostra delegazione era stato organizzato uno spettacolo di balletti.
Bella figura che avrei fatto con i miei ospiti russi! Non vorrei esagerare, ma i russi mi son sembrati proprio personaggi dell’Ottocento: gentili, ossequiosi, rispettosi e cavallereschi oltre misura con le donne. Dovreste vedere come baciano la mano e come la stringono fra le loro, guardandovi negli occhi, e mormorando i propri complimenti più elaborati.
Ho ballato con vecchi dalla barba bianca e con giovanetti di primo pelo, gente che dall’aspetto, almeno a me che non sono pratica di questo Paese, pareva di ogni condizione e professione. Tutti si sono comportati da compiti gentiluomini e da perfetti cavalieri, anche se i loro abiti sembravano ignorare l’esistenza del ferro da stiro e dello smacchiatore.
Adesso dovrei dirvi quali sono state le mie impressioni e se la Russia mi è piaciuta o no. Mi è piaciuta molto. Ho provato una sola delusione: non c’era la neve. Sono sicura che anche voi non avete mai pensato che le cupole dorate del Cremlino, le statue di Leningrado possano essere mai libere dai loro cappucci bianchi di neve soffice. Invece, anche se faceva freddo e ho preso il raffreddore, c’era il sole quasi dappertutto.
Abbiamo visitato, sempre circondati da folle affettuose che si formavano dal nulla in un momento, Mosca, Leningrado e Kiev. Sono molto diverse tra loro: Mosca è una specie di Milano ed è la gente che conta e non le case. Leningrado è bellissima con tanti palazzi pieni di colonne: è solo un po’ triste come una regina che invecchia in esilio. Kiev è il Medio Evo con tante chiese ortodosse con cupole azzurre o dorate o con le stelle dorate sul fondo azzurro. Si starebbe ore ad ammirare i dolci volti delle Madonne nelle icone e i lunghi capelli biondi dei Pope che arrivano loro a mezza schiena.
Siamo andati da bravi turisti a visitare le catacombe dove sono sepolti i monaci imbalsamati e diritti contro il muro come statue di legno antico. Ognuno di noi aveva in mano una candelina e pareva di essere a una processione. Ci faceva da guida un Pope così bello che se Rasputin era bello metà di lui capisco tutta la storia della regina Alessandra. Il nostro Pope aveva capelli lunghissimi e soffici da far invidia a molte mie colleghe, la pelle fresca e colorita e gli occhi come due laghetti azzurri pieni di candore. Quando parlava la sua pronuncia era così dolce che pareva recitasse una poesia.
AL CINEMA "VELIKAN” di Leningrado, prima dell'inizio delle proiezioni una banda militare ha eseguito gli inni nazionali sovietico e italiano. Sul palco sono i componenti della nostra delegazione. Le prime cinque attrici da sinistra sono Silvana Pampanini, Clelia Matania, Eleonora Rossi Drago, Valentina Cortese e Gianna Maria Canale. In onore degli italiani, i rappresentanti della cinematografia sovietica hanno organizzato una festa danzante. Nel corso di essa Gino Cervi ha letto, applauditissimo. una poesia russa tradotta in italiano, Clelia Matania ha cantato una canzone in russo, e infine Paolo Stoppa ha declamato una poesia in romanesco. A Leningrado, al gruppo degli italiani si sono aggiunti Massimo Girotti e il regista Alberto Lattuada, giunti direttamente da Roma.
Davvero il russo parlato da certe persone è molto dolce e musicale. Ho imparato qualche parola per far piacere ai miei ospiti e per fare sfoggio della mia cultura internazionale fra i miei amici di Roma. So dire: da, niet, pagialuista, spasibo, dasvidania, cioè: sì, no, prego, grazie e arrivederci. Dimenticavo un'altra: ”mojna”; la parola che i russi usano di più, appunto perchè sonò gentili. Vuol dire "posso?”. «Silvana mojna ballare con lei?». «Silvana moina avere una sua fotografia?». «Silvana mojna sorridere?». A proposito di fotografie: ne ho firmate tante che quasi mi veniva il crampo dello scrittore. Qui c’è una strana usanza: quella di ricambiare il regalo di una foto con una propria foto con dedica.
Io lo trovo carino e profondamente ingenuo. Adesso porto in Italia una valigia piena di foto con dedica dei miei ammiratori russi. Sto facendo anche il calcolo approssimativo di quante foto mie ho regalato da quando lavoro nel cinema per vedere quante ne avrei dovuto ricevere in cambio se l’usanza russa fosse divulgata in tutto il mondo.
Ne avrei certo la casa piena e a pensarci bene non mi spiacerebbe. E a quale donna spiacerebbe avere una simile collezione di volti dei propri ammiratori sparsi in tutto il mondo? Il cinema si ficca proprio dappertutto, non c’è angolo della terra che non tocchi. Me ne accorgo in questo giro di propaganda della nostra produzione.
Per esempio. "Un marito per Anna Zaccheo” l’avevano visto anche i colcosiani dai quali ci condussero mentre eravamo a Kiev. Questi contadini, con le loro casette di tronchi, stavano in mezzo alla pianura di terra grassa e nera, a non so quante centinaia di chilometri dalla città e ci sono voluta ore di pullman per andarli a trovare. Ma hanno subito smesso di raccogliere i loro cavoli, o mungere le vacche, o qualsiasi altra cosa stessero facendo per correrci incontro e farci festa. Sembrava che andandoli a trovare avessimo fatto loro un grande regalo.
Sono questi episodi che mi rendono più contenta di me e del mio mestiere. Penso che almeno quello che faccio davanti alla macchina da presa, meglio che possa, serve a consolare un po’ della fatica quotidiana anche questi contadini sperduti nella loro pianura fangosa. I russi premiano i loro migliori artisti col titolo di "artisti del popolo”. Trovo che è l’espressione meglio scelta, che riflette bene i sentimenti di cui ogni lavoratore del teatro e del cinema dovrebbe essere più orgoglioso: quello di aiutare un po’ coloro che hanno una vita più dura e più difficile, a tirare avanti senza perdersi d’animo.
Oltre alle fotografie con dedica, i russi mi hanno fatto ogni sorta di regali, soprattutto bambole di ogni tipo e dimensione, e anche di quelle buffe vecchiette che qui chiamano "Matriovski" e "Babuske”, cioè nonnine, che servono a coprire la teiera con la sottana imbottita per tenere caldo il tè. Mi hanno regalato penne stilografiche, fazzolettini, disegni e addirittura qualche quadro. Certe ragazze, non avendo nulla, si toglievano lo spillone dal cappellino per regalarmelo. Anche questo mi ha molto commosso perchè sarei certo troppo orgogliosa se pensassi di meritare veramente un affetto così grande. L’omaggio era soprattutto al cinema del mio Paese e, penso, anche alle donne del mio Paese.
GINO CERVI, Teresa Della Noce e Paolo Stoppa fotografati sulle gradinate del grande stadio "Sergej Kirov” di Leningrado. Nel corso della "Settimana del cinema italiano” sono stati presentati sette film. Si calcola che a Mosca più di centomila persone abbiano assistito alle proiezioni, che hanno avuto luogo al cinema "Udamik”: una sala dotata di millecinquecento posti.
Un’altra cosa mi ha un po’ imbarazzata: ogni volta che andavamo a teatro, il pubblico ci riconosceva e ci applaudiva. A volte troppo a lungo, impedendo allo spettacolo di cominciare. Ciò non mi sembrava bello per i colleghi russi impegnati nel loro lavoro. Fra l’altro, sono molto bravi.
Molto bravi sono pure i ballerini, quelli classici e quelli delle danze popolari. Volano nell’aria, leggeri e bravi bellissimi, come se avessero le ali, senza fatica apparente. Non ho mai visto in nessuna parte del mondo spettacoli come quelli cui ho assistito a Mosca, Leningrado e Kiev. Eppure una cosa non la sapevano fare: la samba. Mi è toccato di doverla insegnare, figuratevi, al primo ballerino dell’Opera di Leningrado, Igor Priscinski. Insieme abbiamo fatto un numero alla televisione. Forse sono stata io ad importare la samba nell'Unione Sovietica: pensate che responsabilità. E poi, chissà cosa ne pensa Kruscev!
Quanto alla signora Bulganin, so che pensa bene di me, perchè quando le sono stata presentata al Bolscioj, mi ha tirata vicino e mi ha baciata su tutte e due le guance. Non me l’aspettavo proprio. In Russia ci si bacia moltissimo anche fra donne e persino fra uomini, come in Calabria. Per fortuna, le donne di solito non portano rossetto perchè mi avrebbero ridotta rapidamente ad un mascherone e, addio rappresentante della bellezza italiana!
Insomma, il nostro lungo viaggio nel Paese dei Soviet, ha avuto momenti interessanti e divertenti. E anche momenti commoventi come quando, a Leningrado, ritte sul palcoscenico davanti agli spettatori, alle prime note del nostro inno nazionale, noi attrici ci siamo messe a piangere come tante oche dalla commozione. Il pubblico che ha capito perchè piangevamo, giù ad applaudire ancora. Eravamo trasformate in fontane e non riuscivamo più a trattenerci.
Ritornando in Italia per riprendere il mio lavoro al film che è stato interrotto per permettermi di far parte della delegazione del cinema italiano in Russia (è un film sulla gioventù bruciata e s’intitola- "Saranno uomini”), sento che non dimenticherò facilmente l’accoglienza ricevuta e gli applausi di questo popolo che, vivendo così al nord, ha tuttavia un cuore così caldo. So che questi applausi erano soprattutto per il cinema italiano. Tuttavia, anche la parte di ambasciatrice riserva delle indimenticabili soddisfazioni.
Silvana Pampanini, «Tempo», anno XVIII, n.45, 8 novembre 1956
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Silvana Pampanini, «Tempo», anno XVIII, n.45, 8 novembre 1956 |