Ho sposato un ribelle
Nell’"Incantevole nemica" Silvana Pampanini fa la parte della figlia di un industriale che il padre, impaurito dai comunisti della sua azienda, dà in moglie a quello che egli ritiene il loro capo.
Roma, ottobre
I cronisti del cinema, che nel corso dell'anno debbono prendere in considerazione quella percentuale di film che rappresentano il meglio della nostra produzione, non fanno che incontrare sul loro cammino Silvana Pampanini. Da una regìa all’altra, dal genere drammatico al comico, Silvana è presente con una frequenza di circa il dodici per cento nelle pellicole d’un certo livello ed impegno. Si dice in giro: «Questo è il quarto d’ora di Silvana, la prima della classe nel cinema italiano». Ma il quarto d’ora dell’attrice dura ormai dal 1949. E, più il tempo passa, più diventa ingrato il compito del commendator Francesco Pampanini, il padre-segretario-guardia del corpo di Silvana, nell’adattare i programmi di lavoro della figlia alle pressanti richieste della produzione. Anche quest’anno, l’attrice ha rinunciato alle vacanze. Pino a primavera inoltrata ha lavorato con Beppe De Santis in Un marito per Anna Zaccheo, poi è passata nella troupe di Canzoni, canzoni, canzoni e, sotto il sole d’agosto, ha sostenuto il ruolo di protagonista in Noi cannibali. Mentre si girava questo film, a Civitavecchia, Silvana diceva spesso al padre: «Chissà, forse in settembre potrò farmi una settimana di bagni tranquilli...». Ma invece dei sette giorni a Capri o ad Ischia, era ad attenderla il contratto con il regista Claudio Gora per il film L’incantevole nemica.
Silvana Pampanini in una scena del film «L'incantevole nemica» di Claudio Gora. Insieme a lei recitano Buster Keaton, Robert Lamoreux e Carlo Campanini
Comunque, da un ruolo drammatico e faticoso, Silvana è passata alla commedia, con un regista calmo com’è Gora e con dei compagni di cast che le hanno reso indubbiamente divertente il lavoro. Accanto a lei, infatti, sono stati chiamati tra gli altri, Buster Keaton, Robert Lamoureux, Carlo Campanini, Ugo Tognazzi, Giuseppe Porelli, Nando Bruno. Lo stesso racconto cinematografico, tratto da un’idea di Marchesi e Metz, poteva esser considerato come una specie di vacanza, tanto per l’attrice, quanto per Francesco Pampanini, il quale, neppure sul lavoro, lascia mai sola la figlia.
L’incantevole nemica, che nonostante l’affinità del titolo non ha nulla a che vedere con un film interpretato nell’anteguerra da Irene Dunne, affronta un problema sociale in chiave di commedia. La vicenda è pressappoco questa: in una cittadina imprecisata e in un’epoca lontana (questo per evitare qualunque accidentale riferimento a fatti e persone reali dei nostri giorni) vivono due capi di azienda, uno progressista, l’altro reazionario. Entrambi sono proprietari di caseifici. Mentre il primo (Nerio Bernardi) non fa che concedere più di quel che gli si chiede e non si preoccupa d’altro che di migliorare le condizioni dei suoi dipendenti, il reazionario Albertini (Carlo Campanini) guida la sua azienda con una mentalità antiquata ed antidemocratica. Vive in uno stato di continua paura; in ogni operaio vede un terrorista e l’incubo d’una imminente sommossa rossa turba i suoi sonni. Effettivamente, i suoi dipendenti non vedono di buon occhio il «padrone»; ma nessuno sì sogna di organizzare rivolte o massacri.
Per l’ossessionato Albertini, ormai, la parola più semplice nasconde l’inganno e il gesto più innocente l’agguato. Invano la moglie (Pina Renzi) e la figlia Silvia (Silvana Pampanini) tentano di rasserenarlo. Basterebbe, gli dicono, che lui facesse come l’industriale progressista, per vedere attorno a sé, nella fabbrica, visi allegri e affettuosi. Ma ogni tentativo si dimostra infruttuoso. Albertini continua a nutrirsi della sua ridicola paura e quell’immaginario stato di pericolo creato dalla sua fantasia malata incombe sulla sua esistenza e su quella dei familiari. L’industriale, ad ogni modo, non intende subire le inesistenti trame dei terroristi. È convinto che nella fabbrica viva, sotto mentite spoglie, un temibilissimo capo rosso e, naturalmente, tutti i suoi sforzi tendono ad individuarlo. Prende, cosi, a spiare i suoi dipendenti per vedere dietro quale volto si nasconda l’animatore dello spirito rivoluzionario della massa Una serie di equivoci convince l'Albertini. che il più umile e candido impiegato della ditta (Robert Lamoureux) sia il terribile capo segreto che ossessiona i suoi sonni.
All’industriale si presentano allora due alternative: o estromettere l'estremista dall’azienda, con tutti i rischi che potrebbe comportare quel licenziamento; o rendere innocuo il dipendente, attirandolo nella sua orbita e, in un certo senso, corrompendolo. Naturalménte, il commendatore sceglie questa seconda strada, la meno pericolosa. Roberto Mancini, così, vede d’improvviso cambiare la sua esistenza. Il giovanotto non sa rendersi conto di quel che sia accaduto al principale.
non vede perché dovrebbe rifiutare gli inviti a pranzo, le passeggiate in automobile, le promozioni che il commendator Albertini gli offre ogni volta che lo incontra. L’umile impiegato passa a vivere l’esistenza che aveva sempre sognato e che, tuttavia, non avrebbe mai potuto esser la sua. Oltre tutto, avendo via libera in casa del principale, egli può frequentare anche la bellissima Silvia, verso la quale nutre da tempo un amore segreto e senza speranza. Dal canto suo, Silvia, conosciuta dal padre la doppia personalità del Mancini, finisce per idealizzare il candido impiegato, facendone il suo eroe. E la faccenda, com’era da aspettarsi, si conclude in un matrimonio. L’Albertini, nonostante le umili condizioni del Mancini, è stato il più acceso fautore di quelle nozze. Dentro di sé, egli segue un piano machiavellico: ammettendo nella sua famiglia l’impiegato, si troverà il campo sgombero del più temibile avversario. Non solo, ma il capo rivoluzionario diverrà un suo strumento per resistere alle agitazioni dei dipendenti. Durante il ricevimento che segue la cerimonia nuziale, Roberto però scopre i veri motivi che hanno indotto il padrone ad accettarlo come genero. Allora, per la prima volta nella sua vita, compie un gesto di ribellione. Inveisce contro i suoceri e la moglie e pianta tutti in asso.
Silvana Pampanini in un’altra scena del film insieme a Buster Keaton. Keaton svolge nel film una parte comica completamente muta.
L’Albertini, nonostante l’incidente, continua a credere di avere in pugno la situazione dell’azienda, avendo allontanato il Mancini. Assume, quindi, un atteggiamento talmente tirannico, da indurre gli operai della fabbrica a scioperare sul serio. Gli incubi che, senza fondamento, agitavano i sonni dell’industriale stanno diventando realtà. Tutto sembra andare a rotoli. Ma lo scioglimento felice della vicenda lo provoca Silvia. La ragazza, ritrova suo marito e riesce a dimostrargli di averlo sposato per amore e non per calcolo. Sempre Silvia, convince poi l’esausto Albertini a prendersi un lungo periodo di riposo in una stazione climatica alla moda. La smetterà così di correr dietro alle ubbie e darà modo alla coppia di prendere le redini dell’azienda. L’ex-impiegato Roberto Mancini, che ha subito per anni, insieme agli altri dipendenti, le tirannie del principale è la persona più qualificata per adeguare l’andamento della fabbrica alle esigenze di ehi lavora.
I personàggi al centro della vicenda sono soltanto la Pampanini, Lamoureux e Campanini. Tuttavia, Claudio Gora ha svolto il racconto cinematografico in modo che anche gli altri interpreti avessero ruoli di primo piano. Il regista, insomma, si è preoccupato di inserire nel film il meglio di ciascun componente il cast artistico. (Buster Keaton e Nando Bruno, per esempio, svolgono una specie di comica completamente muta). Non solo, ma ha inserito nel film anche uno spettacolo di varietà con attori dilettanti, per dare a Silvana quel che è di Silvana. L’attrice, così, ha avuto modo di mettersi in bikini e di esibirsi in una violenta, sensuale ed inedita danza brasiliana, il «Tocato», destinata, secondo gli esperti, a soppiantare la popolarissima «Batucada».
Renzo Trionfera, «L'Europeo», anno IX, n.45, 1 novembre 1953
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Renzo Trionfera, «L'Europeo», anno IX, n.45, 1 novembre 1953 |