La scomparsa di Valeria Moriconi

2005 Valeria Moriconi 108

Moriconi, una vita da primadonna

L'attrice è morta a Jesi. Aveva 74 anni. Una carriera segnata dagli incontri con De Filippo e Franco Enriquez. Indimenticabile Mirandolina

L'attrice Valeria Monconi è morta nella tarda serata di ieri nella sua casa di Jesi, la città delle Marche dove era nata nel 1931. Malata di tumore, per l'aggravarsi del male aveva dovuto interrompere nei giorni scorsi la tournée teatrale (recitava negli «Spettri» di Ibsen). Calda notte di luglio del 2003, a Pescara. Valeria Moriconi riceve il premio Fidano alla camera. Sul palcoscenico del D'Annunzio, l'attrice guarda se stessa in vecchi filmati. Alla fine, e sull'eco di un applauso lungo e affettuoso, le chiedono che impressione le facesse rivedersi giovane. Risponde: nessun effetto, «in quelle immagini non mi riconosco, non sono io». Spiega che quell'attrice non esiste più. Al suo posto, ce n'è un'altra che vive nel presente e per la quale conta soltanto il presente.

Ciò avveniva due anni fa. Una vita fa. In quella reazione c'era tutto il carattere di Valeria Moriconi. E c'era il senso di una carriera vissuta quasi sempre da protagonista. Sono state due le stelle che hanno segnato il cammino di questa attrice che una volta, da bambina, ebbe l'incoscienza di scrivere su uno specchio di casa: «Qui ha posato la mano la futura Eleonora Duse». La prima delle due stelle si chiamava Eduardo De Filippo; la seconda. Franco Enriquez. Nel 1957 Eduardo la sottrasse al cinema per farle interpretare «De Pretore Vincenzo». Valeria aveva 26 anni, aveva lavorato con Lattuada e Bolognini. Eduardo la chiamò e le offrì la parte che era stata di Titina. Vedendola sbiancare, le disse: «Non ti preoccupare perché ti aiuterò». C'era un scena complessa: la giovane protagonista, una contadina, riceve in regalo dal corteggiatore un paio di calze di seta, cosa, per lei, preziosa e inavvicinabile. Eduardo le disse: «Adesso ti facdo vedere come faceva Titina». Si mise lì, davanti a lei, e gesto per gesto, movimento per movimento, le mostrò quel che aveva inventato Titina. Ripetè la scena della ragazza che, infilatasi le calze, si accorge che sta per arrivare il marito con altra gente. Non vuol farsi vedere con le calze, e allora tira giù la gonna e cammina storta e zoppa.

Il lavoro con Eduardo concentrò su di lei un'attenzione nuova. Quella giovane rivelazione appariva intensamente e stranamente bella: aveva negli occhi una profonda allegria, ma la bocca sembrava chiusa in un caprìcdo, se non proprio in un cruccio. Per tre anni fu richiesta da registi di vario valore, finché, nel '60, arrivò Visconti per farle interpretare l'«Arìalda» di Te stori, e nel '61 Enriquez per il «Rinoceronte» di lonesco. L'incontro con Enriquez fu un fulmine. Non solo artistico. Con quel regista dall'aria spagnolesca e impunita, ricciuto come un angelo e dotato di una genialità immediata, scoccò un'intesa rara e potente. Enriquez la volle accanto a sé nelTeffimera avventura del Teatro Stabile di Napoli e la conservò come protagonista anche nella celebre Compagnia dei Quattro, nata sulle ceneri dell'esperienza napoletana. Insieme con Glauco Mauri e Mario Scacda, la Moriconi diede vita a una sequenza di interpretazioni altamente significative. Fu Emma ne «Il gesto» di Codignola, Caterina nella «Bisbetica domata» che, messa in scena nel '62, avrà repliche fino al '66. E fu Anna nell'«Edoardo n» di Marlowe.

Nel '65 la Compagnia dei Quattro entrò a far parte, in blocco, del Teatro Stabile di Torino. Non c'era più Scaccia, al suo posto, nella ragione sodale, era entrato Emanuele Luzzati. Ma lo spirito era rimasto identico. A Torino Enriquez e la Moriconi crearono forse lo spettacolo più celebre della loro carriera: quella «Locandiere» che diventerà un vertice nelle interpretazioni goldoniane del Novecento e certamente sarà il vertice della carriere artistica della Moriconi per quella commistione di popolaresco e di malinconico che l'attrice riuscì a infondere in Mirandolina.

Con la morte prematura di Enriquez la vita della Moriconi cambiò. Cominciò un percorso eclettico, segnato però da un'intelligenza e da un gusto per le sfide che poche primedonne possono vantare: uno stile «alla Duse», potremmo azzardare ricordando l'ingenua frase sullo specchio. Mario Missiroli, Massimo Castri, Luca Ronconi... La Moriconi lavora con i grandi registi, interpreta eroine come Hedda Gabler, è Medea nell'immensa cavea di Siracusa, ma non disdegna il repertorio brillante, come testimonia «La nemica» di Dario Niccodemi; si dedica al monologo e porta in scena per molti anni l'ambigua e morbosa «Emma B. vedova Giocasta» di Savinio. Nella sua carriera vince due premi, un premio Duse, non sappiamo quante Grolle. Tenta anche l'esperienza di organizzatrice culturale, dirigendo il Pergolesi di Jesi e creando nella sua regione, le Marche, il primo teatro stabile. Quando questa esperienza fallisce, non perde il buonumore, né il gusto per la lotta. «Sarò sempre primadonna, nel bene e nel male». Era la frase della sua vita.

Quest'anno avrebbe dovuto interpretare con Albertazzi e con la regia di Ronconi il «Diario privato» di Léautaud, ma la malattia aveva già intaccato il suo carattere di ferro. L'anno prossimo, avremmo dovuto rivederla a Torino nell'«Assassinio nella cattedrale» di Eliot messo in scena dallo Stabile di Palermo. E' con questo rimpianto che ci lascia, ma anche con la dolcezza di tutto il miele che ha saputo offrire in cinquant'anni alle folle dei suoi spettatori.

Osvaldo Guerrieri, «La Stampa», 16 giugno 2005


Valeria, attrice per ebbrezza

Valeria Moriconi è scomparsa nella notte di mercoledì a Jesi, sua città natale, a 74 anni. Ieri la camera ardente al Teatro Pergolesi, oggi alle 11,30 i funerali.

Valeria Monconi era una attrice di teatro nata, il che fu probabilmente scoperto da Eduardo prima ancora che da lei stessa. Al cinema aveva infatti debuttato a poco più di vent'anni con Lattuada, continuando con Mattoli, con Emmer, e con lo stesso Lattuada, come ragazza fresca, carina (molto carina!) e allegra. Quando Eduardo la scritturò come attrice giovane per «Il medico dei pazzb), aveva per l'appunto bisogno dì questo. Ma poi le affidò la parte della protagonista in «De Pretore Vincenzo», e come si dice, niente fu più come prima. Valeria scoprì l'ebbrezza del contatto col pubbbeo, chiamatelo pure esibizionismo, ossìa ìl carburante che alimenta la carriera dì molti suoi colleghi.

Soprattutto, però, ìl pubblico scoprì l'ebbrezza del contatto con lei: talmente energica, talmente vitale, talmente intensa e allo stesso tempo talmente beve, talmente intelligente e allo stesso tempo scherzosa, da produrre un effetto galvanizzante e riposante allo stesso tempo; da invitare alla complicità e al coinvolgimento mentre si sdrammatizzava. Sì fece notare in ogni sua apparizione sul palco in quei primi anni, un «Orso» di Cecov, un «Girotondo» dì Schhitzler, «Un amore a Roma» dì Patti; fu anche nella notoria «Arialda» testoriana diretta da Luchino Visconti. Il definitivo salto di qualità comunque glielo fece fare l'incontro col regista, poi a Valeria Morico Valeria Moriconi lungo anche suo sodale, Franco Enriquez: loro due più Glauco Mauri e lo scenografo Emanuele Luzzati - trovate quattro talenti così nel teatro dì oggi! - fondarono la Compagnia dei Quattro, generosa non meno che brillante, iniziativa privata ìl bilancio del cui repertorio oggi farebbe inorgoglire qualunque Stabile: Shakespeare, Garcìa Lorca, Goldoni, Feydeau («La Dame de Chez Maxim's», indimenticabile!), lonesco, Euripide, Oscar Wìlde, Sartre...

La ex ragazza carina delle commediole cinematografiche Anni Cinquanta diventò una leonessa del palcoscenico - la Bisbetica Domata definitiva - pronta a accettare qualunque sfida, compresa una parte da uomo (e non in un classico) quando il gruppo volle essere il primo a presentare l'interessante debutto di Tom Stoppard, «Rosencrantz e Guildenstem sono morti»; non di rado portando anche in tv, abora era possibile, qualcuno dei suoi successi teatrali, beninteso sempre diretta da Enriquez. Poi Enriquez morì, la Compagnia dei Quattro si sdolse, e Valeria continuò da sola e sempre memorabilmente - come «Fìlumena Marturano» in uno dei primissimi Eduardo dopo la scomparsa del grande attore-autore, come Cleopatra, come Serafina della «Rosa tatuata», quando restituì buonumore a questa spigliata commedia dì Tennessee Wilbams virata verso ìl tragico o quasi nel celebre film con la Magnani... ecc., ecc., ecc., fino a ieri, con uno spiritoso e perfido Thomas Bernhard insieme con Milena Vukotic e Umberto Orsini.

Con lei la scena italiana perde qualcosa di più di una attrice di grandi mezzi e dalla tecnica sopraffina - di una superba professionista. Perde una rarissima, luminosissima stella.

Masolino d'Amico, «La Stampa», 17 giugno 2005


La Stampa
«La Stampa», 16 e 17 giugno 2005