La piccola storia della tromba di Walter Chiari
Il giorno in cui Garinei e Giovannini interpellarono Walter Chiari per fargli sostenere il ruolo del protagonista nella loro nuova commedia musicale «Un mandarino per Teo», il popolare attore comico pose una condizione che sembrava piuttosto uno dei suoi soliti scherzi. «Ci sto», disse, «se mi fate suonare la tromba.» La «storia della tromba» non era nuova per i due autori-impresari, che si erano già sentiti avanzare da Chiari la stessa proposta altre volte, ma mai come quest'anno aveva avuto il tono di una condizione ben precisa.
Se quindi in passato gli avevano risposto: «Si, sì, stai tranquillo, ti faremo suonare anche la tromba», giusto per tenerlo buono, come si farebbe con un bambino un po' irrequieto, quattro mesi fa capirono che non sarebbe più stato possibile eludere l'argomento con una scusa qualsiasi. E poiché fino a quel momento avevano pensato di scritturare soltanto Walter Chiari, e non Walter Chiari con tromba, chiesero un paio di giorni di tempo per decidere. «Ma la sai suonare?», azzardo Garinei. «Benissimo», rispose Walter mentre gli occhi gli brillavano già di gioia: «Vuoi sentire?». «No, no», intervenne Giovannini, «ci crediamo, si faceva per dire».
Da parecchi anni Walter chiari sognava di potersi esibire sul palcoscenico anche come trombettista. Finalmente c'è riuscito. Nella rivista "Un malandrino per Teo" esegue un assolo per tromba, ma le capacità concertistiche si Walter sono piuttosto limitate.
La storia della tromba di Walter girava per i teatri da almeno tre anni : una volta l’attore era stato invitato in America per partecipare al programma televisivo di Harry James e, insieme con Mamie Van Doren, aveva dato una esilarantissima interpretazione della favola di Cappuccetto Rosso. Pur fermandosi negli Stati Uniti soltanto pochissimi giorni, Chiari aveva fraternizzato subito con Harry James, specialmente affascinato dalla sua tromba e dal suo modo di suonarla. Una sera, dopo lo spettacolo, gli chiese di suonare ancora solo per lui e James molto gentilmente lo accontentò, mentre Walter guardava quel suo meraviglioso strumento come un ragazzino guarderebbe il giocattolo più bello del mondo.
«Dove posso comperarne una uguale?», chiese più tardi. «Non è facile», rispose James, c c’è uno che le fabbrica solo per me». «Peccato, mi sarebbe piaciuto», rispose Chiari. «La sai suonare?», si informò allora James. «Un po’», fu la risposta. Due giorni dopo Walter Chiari festeggiava il suo compleanno ed Harry James, accompagnandolo all’aeroporto, gli portò «un suo piccolo ricordo». Walter aprì la scatola e ci trovò la tromba. In aereo Chiari moriva dalla voglia di tirar fuori lo strumento e suonarlo, ma pensava che sarebbe stata una pazzia troppo grossa.
Resistette ancora per qualche ora, finché non gli venne l’idea di andare a suonarla nella toilette. Tutto soddisfatto prese il suo pacco e con molta disinvoltura si diresse verso la coda dell’aereo. Una volta dentro si chiuse a chiave, tolse dalla scatola lo strumento, se lo attaccò alle labbra e diede fiato. Ne venne un suono talmente sgradevole che Chiari stesso ne rimase terrorizzato, rimise frettolosamente nella scatola lo strumento e tornò al suo posto, rosso come un gambero.
Garinei e Giovannini trovarono presto il modo di inserire anche la tromba nel copione che avevano già preparato, anzi ne fecero un elemento quasi indispensabile di tutta la storia. Walter avrebbe impersonato una comparsa di Cinecittà che vive alle spalle di una costumista finché qualcuno non gli dice di premere un bottone, perché in Cina muoia un mandarino e lui erediterà tutte le sue fortune. Il giovanotto, incredulo e distratto, preme il bottene, ma quando eredita un miliardo sente il rimorso per l’omicidio commesso. Da buono e superficiale che era, rischia di diventare astuto e cinico. Se ne accorge perfino dalla tromba, la sola fedele compagna della sua vita, che se suonava meravigliosamente in principio, comincia a dare sempre piò stecche, di pari passo con il suo decadimento morale
Una trovata abbastanza valida, se Walter Chiari avesse detto la verità. Ma quando, a quindici giorni dal debutto, Garinei e Giovanninì riuscirono finalmente a fargli suonare la famo sa tromba di Harry Jame; rimasero senza parole per dieci minuti buoni. E poiché ormai era troppo tardi per qualsiasi rimedio (lezioni di tromba o eliminazione dello strumento) tolsero la loro «trovatine» dal copione e lasciarono a Chiari lo strumento in un paio di scene «perché tutti finalmente sapessero quanto lo suonava male».
Il trombettista dell'orchestra Alvise Verzella fece del suo meglio per limitare lo strazio, ma Walter evidentemente non è un suonatore nato e non può dare in quindici giorni quello molti maestri non danno in quindici anni. Perciò, dopo le prime due o tre rappresentazioni, l'attore ha fatto un cambio con Verzella: la tromba di Harry James per la sua. «È una tromba che suona da sola», dice Verzella accarezzando il suo nuovo strumento e mostrandola rigogliosamente in giro. «È una tromba da trecentocinquanta dollari». Walter lo guarda con invidia, ma è talmente contento di poter sentire ogni sera «come avrebbe potuto suonare anche lui».
La presenza della tromba ha fatto parlare di un nuovo Walter Chiari ed è in parte vero che l'attore sta uscendo dalla macchietta per indirizzarsi ormai verso un genere di spettacolo all'americana, per intenderci, dove gli sia permesso di fare il comico ma anche di cantare, ballare e recitare seriamente. Con Garinei e Giovannini Chiari canta, balla e recita bene, trascinando come un ciclone nella sua scia tutti gli altri bravi attori che gli sono accanto, da Ave Ninchi a Sandra Mondaini, da Alberto Bonucci a Riccardo Siili a Carlo Delle Piane, a tutti gli altri. E poiché i due autori-impresari sono soliti inzeppare i loro lavori di divertenti innovazioni, un’altra sorpresa di quest’anno è rappresentata dalla partecipazione straordinaria di un pechinese ammaestrato, die dovrebbe essere la reincarnazione del mandarino Ti-Cin-Fu ucciso da Walter con una scampanellata.
Giorgio Salvioni, «Epoca», anno XI, n.525, 23 ottobre 1960
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Giorgio Salvioni, «Epoca», anno XI, n.525, 23 ottobre 1960 |