May Britt: «perchè amo un ne*ro»

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L'attrice svedese, che nel prossimo settembre sposerà il cantante Sammy Davis, confessa i motivi che l'hanno condotta all'impegnativa decisione.

Londra, giugno

Ogni volta che un ne*ro e una bianca decidono di sposarsi si crea attorno a loro un morboso interesse, specialmente negli Stati Uniti dove purtroppo esistono profondissime barriere razziali. Ogni volta poi che un ne*ro e una bianca un po’ noti parlano di matrimonio, il mondo sembra dividersi in due opposte fazioni, ambedue agguerrite. ambedue fortissime, ambedue con ragioni apparentemente valide. Ma tutti questi sconosciuti, che vogliono mettere il naso nella vita degli altri, sembrano non rendersi conto che se un ne*ro e una bianca hanno deciso di sposarsi, è segno evidente che si amano. Ora io vorrei porre a tutti i promessi sposi della medesima razza questa domanda: sposeresti la tua compagna o il tuo compagno se fosse di una razza diversa? Se la loro risposta è positiva, penserei che si tratta di un amore vero, ma se la risposta è negativa direi che si tratta di un amore relativo, comunque condizionato.

Io sono bionda, bianca, svedese, protestante e Sammy Davis è ne*ro ed ebreo: invece di odiarci, ci amiamo. Così abbiamo deciso di sposarci, dopo il 28 settembre prossimo, quando cioè sarà divenuto effettivo il divorzio dal mio primo marito. Poiché siamo di due religioni diverse abbiamo deciso che i nostri figli potranno crescere e scegliere la religione che sentono maggiormente di professare, senza costrizioni di sorta e senza fretta. Perché tutti e due desideriamo da tempo una famiglia. Vogliamo tutti e due una tranquilla, serena, comune vita familiare con una nidiata di bambini allegri attorno a noi. Sammy ha detto ad un giornalista, che gli prospettava il problema dei figli, di non volersi preoccupare dei loro colore: «Non importa se saranno bianchi o neri o a pallini, perché noi saremo i loro genitori e li vedremo solo come nostri figli».

L’attrice svedese, che ha soggiornato a lungo a Roma e che negli ultimi tempi si è conquistata una certa notorietà per aver interpretato una nuova versione hollywoodiana dell’"Angelo azzurro", ha confessato di aver trovato in Sammy la sua anima gemella. "Il nostro matrimonio sarà felice", ha detto con foga la bionda May Britt.

Tutto questo a molti potrà sembrare sconcertante ed eccessivo, ma, scherzi a parte, è questo il nostro modo di accostarci al matrimonio. Sentiamo che, amandoci e sposandoci, avremo dei grossi problemi da risolvere e delle grosse difficoltà da superare. Fanno parte, però, di una serie di domande che ci siamo già posti. Slamo convinti che il nostro matrimonio sarà uno dei più felici.

È possibile che esistano alberghi dove non potremo scendere insieme come marito e moglie. Stati dell’America dove non ci accetteranno nelle famiglie, locali pubblici dove dovremo separarci a causa del differente colore della nostra pelle. Bene, eviteremo di frequentare questi alberghi, questi locali, questi amici e non sarà un gran sacrificio per nessuno dei due. Qualcuno pensa che, se sposerò Sammy, in molti Stati e città non vorranno più proiettare i miei film o farmi lavorare: se questo dovesse avverarsi, tornerò a lavorare in Europa dove queste discriminazioni razziali non esistono o non sono così profonde. Qualche altro prevede che, sposando Sammy, le mie quotazioni sul mercato cinematografico subiranno un calo e troverò lavoro con sempre maggiore difficoltà. Anche questo è un rischio che mi sento di correre. È vero che amo il mio lavoro, ma è anche vero che accetterei di rinunciarvi per Sammy: perché lo amo più di ogni altra cosa al mondo.

Dice mio padre che, se fossi stata una ragazza americana, forse il mio punto di vista sarebbe stato diverso. Ma sono stata educata in una famiglia e in un Paese dove esiste una completa tolleranza razziale e dove il colore della pelle non rappresenta una barriera. Forse per questo non temevo il giudizio della mia famiglia sulla decisione presa. Infatti mio padre è venuto a prendermi a Londra, dove Sammy mi aveva accompagnato: si sono conosciuti e sono andati d’accordo. Si sono capiti subito e hanno scherzato come due vecchi amici.

Sammy è per me un ragazzo d’oro: onesto, aperto, sincero, dinamico, sempre pronto a scherzare su tutto e a prendere in giro tutti, compreso se stesso. In America o in Europa, quando inizia il suo spettacolo ed i riflettori si accendono su di lui, il pubblico rimane come ipnotizzato. E per i novanta minuti dello spettacolo ride, si commuove, si diverte. È come se egli possedesse un radar per captare ogni sera gli umori degli spettatori e comandarne tutte le reazioni. È un sesto senso che solo alcuni grandi attori hanno e Sammy, che è ballerino, cantante, mimo, attore, giocoliere, lo possiede in pieno.

Credo che, vedendolo lavorare, tutti trovino Sammy bello e simpatico, perché dietro le sue smorfie, le sue risate, le sue imitazioni, i suoi giochi c’è l’uomo che ha capito il segreto per superare la barriera razziale, per partire da zero e arrivare alle stelle, per essere un divo in senso assoluto a dispetto delle sue origini e della mentalità ristretta di molti. Gli americani lo hanno soprannominato "the running man", perché corre sempre, è sempre indaffarato, sempre attivo, sempre in vena di scherzare, di divertire.

I biografi dicono che tutta la sua vita è stata una continua sfida per dimostrare agli altri e a se stesso che la sua pelle non è sinonimo di inferiorità. Io penso invece che Sammy si sia sentito sempre tremendamente solo, da quando era un povero ragazzo di Harlem (poco più di trent’anni fa) a quando ha avuto i primi grandi successi con Sinatra e Mickey Rooney nel 1951. E più è diventato famoso, più si è sentito solo. Gli spettacoli di Sammy non finiscono quasi mai oltre le due di notte, ma di solito si fanno le otto prima che egli vada a dormire. Dimenticate le tavole del pai coscenico, le feste, gli scherzi, le chiassate degli amici, viene con ogni alba anche per lui il momento di andare a dormire ed è allora che si sente più solo che mai. Qualche volta grida ai suoi amici o al suo pubblico : «Saltiamo tutti dentro un taxi e finiamo la festa a casa mia».

Tutti credono che sia una battuta per concludere la nottata, ma il più delle volte è un invito amichevole che pochi o nessuno capiscono. In una di queste occasioni mi sono trovata vicino a Sammy e per un attimo ho sperato che quell'invito fosse rivolto proprio a me, perché mi sentivo terribilmente sola come lui e non potevo sfogarmi con nessuno. Anche io avevo bisogno di tanto amore. Cosi abbiamo cominciato con il passeggiare per la più grande e la più affascinante città del mondo, scoprendo i mercati generali già in fermento, gli uomini che lavavano le strade, gli operai assonnati che correvano al lavoro, i poveri che dopo aver dormito nel parco riprendevano la loro vita di accattonaggio. Chiacchierando, tacendo, passeggiando, divertendoci a seguire questa o quella scenetta, questo o quel personaggio, abbiamo cominciato a sentire che stavamo bene insieme, che ci completavamo, che non eravamo più tanto soli e tristi. Contrariamente a quanto succede per la maggior parte degli esseri umani, il nostro amore è nato con l’alba, con il primo raggio di sole.

Ora io so che quando torneremo negli Stati Uniti, qualunque cosa accada, Sammy farà il possibile per non dare esca ai facinorosi che intendono creare attorno a noi qualche clamoroso incidente. Sammy è un ragazzo tranquillo che non ha mai fatto male a nessuno e vuole vivere in pace amando il suo prossimo. L’incidente avvenuto a Londra, dove alcuni scalmanati hanno tentato di provocarlo, mi ha tranquillizzata in questo senso. Si erano riuniti in piccoli gruppi davanti al locale in cui lavorava, sbandierando cartelli ingiuriosi per lui e per me. Sammy non ha voluto nascondersi ed evitare la dimostrazione entrando da una porta di servizio; non ha preteso che quei dimostranti venissero dispersi dalla polizia, perché ognuno è libero di professare civilmente e senza la violenza le proprie idee. Perciò, all’ora stabilita, si è presentato al lavoro, ha attraversato la folla dei dimostranti ed è andato a prepararsi per il suo numero. Naturalmente non è stato, quella sera, l'uomo più felice del mondo, perché non si attendeva di trovare anche a Londra tanta intolleranza. Quando mi ha visto sorridere e di nuovo stringergli la mano, ha capito che manifestazioni e insulti di questo genere debbono ormai entrarci da un orecchio e uscire dall’altro. Infatti, per ogni dimostrante che pretendeva di offenderci, cento altri inglesi ci hanno scritto per presentarci le loro scuse, anche a nome dei connazionali che ci avevano maltrattato. Ogni sera gli inglesi affollano il «Pigalle» per applaudire senza flemma un attore di talento, che sembra far rivivere l’indimenticabile Al Jolson.

May Britt, «Epoca», anno XI, n.507, 19 giugno 1960


May Britt, «Epoca», anno XI, n.507, 19 giugno 1960